A più di vent’anni dalla fondazione tutti sono convinti che Indymedia sia finita anche perché sono altre le piattaforme che nel frattempo hanno assunto maggiore importanza nella comunicazione elettronica, anche di quella usata dagli attivisti politici. Una veloce ricerca, senza alcuna pretesa di completezza, permette di scoprire che ci sono ancora alcuni siti che riportano il logo di Indymedia, tutti hanno più o meno lo stesso aspetto grafico e sembra continuino a funzionare nello stesso modo di sempre. Quella che invece è probabilmente sparita è la rete di collegamento che stava dietro a questo progetto e i siti sopravvissuti sono solo una pallida ombra di quello che, per più di dieci anni, è stato il più importante network diffuso a livello internazionale dedicato all’informazione indipendente.
Alcuni sono convinti che la fine di Indymedia sia stata causata dall’avvento del cosiddetto “web 2.0”, altri che sia un effetto della sparizione del movimento che nel 1999 aveva fornito le energie vitali per farlo decollare. Probabilmente la risposta non è univoca e forse non ha nemmeno molto senso affannarsi a cercarla. Resta, incontrovertibile, il fatto che quel progetto è stato sicuramente il più importante tra quelli portati avanti dai movimenti per dotarsi di propri strumenti di comunicazione e contrastare a livello globale l’egemonia del sistema mediatico dominante.
Non è possibile raccontare davvero cosa è stato il network di Indymedia in poche pagine, un progetto frutto di un’intelligenza collettiva, che ha sperimentato un tipo di comunicazione autogestita e orizzontale, che ha provato a ribaltare – riuscendoci – il paradigma dell’informazione ufficiale, che ha dato voce a chi non l’aveva mai avuta in precedenza, che ha resistito per anni, anche se in altre forme, all’interno di un panorama mediatico diverso da quello del 1999 ma ancora saldamente dominato della comunicazione ufficiale. Basta dare uno sguardo allo stato della comunicazione nell’era dei “telefonini intelligenti” e dei social network per rendersi conto che il potere dei mass media commerciali oggi è predominante più di quanto già lo fosse nel 1999 ai tempi del predominio di giornali e televisioni.
Indymedia è stato un progetto frutto di un’intelligenza collettiva.
Inutile nascondere che questo progetto ha avuto le sue contraddizioni, i suoi problemi, i suoi brutti momenti e le sue mancanze ma crediamo che, anche mettendoli tutti insieme, gli aspetti negativi non riusciranno mai a bilanciare quanto di importante e positivo è stato fatto in quegli anni. […]
Si possono raccontare le giornate del 2001 a Genova in molti modi. Le cose che sono successe sono state tante e altrettanti i punti di vista dai quali è possibile ricordarle e analizzarle. Un punto fondamentale però, a Genova e dopo, riguarda l’informazione. Basta ricordare un episodio in particolare per spiegare l’entità della sfida: la conferenza stampa indetta dopo il massacro perpetrato dalla forze dell’ordine contro persone inermi che dormivano all’interno della scuola Diaz. Sul tavolo dove erano raccolti i materiali che avrebbero dovuto confermare l’etichetta di “black bloc” affibbiata a tutti i fermati c’erano anche due bottiglie incendiarie che – solo dopo – si scoprirà esser state raccolte da tutt’altra parte e non trovate nell’edificio assaltato come invece sostenuto davanti alle telecamere. L’inchiesta penale, anni dopo, svelerà la verità ma fin da quella mattina era chiaro che sul racconto, la memoria, l’informazione, si apriva una partita destinata a durare anni e che avrebbe coinvolto anche Indymedia.
In questo libro ci siamo concentrati non tanto su quello che accadeva nelle strade ma sulla costruzione e il funzionamento del Media Center e sulle testimonianze di chi era a Genova per partecipare alle manifestazioni e per raccontarle tramite gli strumenti dell’informazione indipendente.
Il primo Media Center in cui il gruppo di Indymedia Italia si era imbattuto fu quello di Praga, il secondo quello messo in piedi nella facoltà di architettura a Napoli durante il No Global Forum. Crearne uno a Genova in occasione delle iniziative contro la riunione del G8 era una grossa sfida, vista la portata internazionale dell’evento, soprattutto se si voleva farlo diventare un luogo aperto e disponibile a ospitare tutti quelli e quelle che sarebbero arrivati in quei giorni in città. Un luogo dove garantire la presenza contemporanea, anche fisica, di persone che avevano idee molto diverse tra di loro.
Il modello genovese sarà poi replicato, anche se in dimensioni ridotte, negli anni successivi, quando le mediattiviste e i mediattivisti documenteranno gli appuntamenti di movimento, dai più importanti a livello nazionale a quelli piccoli a livello locale, con lo stesso impegno e determinazione per dare voce a chi non l’aveva mai avuta in precedenza. A Genova il Media Center si estendeva su tutti i cinque piani della scuola Pertini e ospitava anche Radio Gap, il settimanale Carta, il quotidiano Liberazione e altri gruppi impegnati a fare informazione.
Indymedia ha stravolto la gerarchia delle fonti di informazione prima della presenza dei social network.
Oltre a Indymedia anche altre realtà nell’informazione via radio o nella documentazione video contribuirono a costruire una narrazione in diretta di quello che stava accadendo. In quelle giornate le strade di Genova si riempirono di attivisti armati di telecamere e macchinette fotografiche, spesso digitali. Senza uno strumento di diffusione aperto come Indymedia, però, le informazioni raccolte nelle strade di Genova sarebbero state di fatto gestite solo dalle grandi redazioni o destinate agli archivi individuali. Un sito web aperto e senza filtri, che pubblicava materiale in continuazione, ha permesso alle testimonianze di quei giorni di arrivare dappertutto e ha costretto la comunicazione ufficiale a fare i conti con un nuovo modo di “fare informazione”.
Soprattutto dopo le giornate di Genova tutti i mezzi di informazione si accorsero dell’esistenza di Indymedia. Le televisioni, pubbliche e private, mostrarono ripetutamente parti più o meno lunghe di un video girato e diffuso da Indymedia perché erano le uniche immagini esistenti che documentavano l’assalto della polizia alla scuola Diaz-Pertini.
Ad agosto uscì Aggiornamento #1, un documentario firmato Indymedia le cui immagini verranno ancora una volta usate da numerose televisioni italiane ed estere. Raccolte di filmati curati da altri usciranno nei mesi successivi e una parte di questi sono disponibili su Ngv-New Global Vision.
È vero che anche senza Indymedia le giornate di Genova sarebbero comunque state il primo avvenimento a essere documentato da una quantità di immagini che non aveva precedenti (almeno non in Italia) questo perché in quegli anni iniziava il sorpasso, nelle tecnologie di ripresa delle immagini, degli strumenti digitali rispetto a quelli analogici. Ma la presenza di Indymedia ha stravolto la gerarchia delle fonti di informazione prima della presenza dei social network proprietari.
In quei giorni a Genova sono nati o si sono rafforzati molti dei legami che poi avrebbero costituito il collante che ha tenuto insieme la comunità di Indymedia in Italia negli anni a seguire. Qualcosa che sopravvive ancora adesso, dopo vent’anni. In quel periodo tutti e tutte hanno anche imparato una lezione importante: la decisione di cosa documentare è una scelta politica che non può essere lasciata al caso o all’improvvisazione. Le immagini sono strumenti delicati il cui uso, in contesti diversi, può avere conseguenze gravi per le vite dei loro protagonisti.
[©Edizioni Alegre 2021]