Societing 4.0 è il nuovo libro di Alex Giordano ed emerge come tentativo di leggere l’innovazione e il suo potere trasformativo tramite un’ottica profondamente originale, quella “mediterranea”. Si tratta di un punto di vista non-lineare che ha come fulcro la dimensione della complessità, la sinergia tra sfera economica, sociale e ambientale, la rilevanza dei processi storico-culturali, l’emersione di soluzioni non-convenzionali, la centralità dei processi comunicazione, scambio e meticciato.
Per dirla con le parole dell’autore, “Il Mediterraneo, dunque, come una prima forma di Internet: un mezzo di comunicazione che fa incontrare e scontrare culture diverse, con un sistema valoriale che favorisce l’accettazione tragica del conflitto cioè l’elaborazione dei conflitti e delle differenze.”
L’obiettivo del libro è anche quello di elaborare metodi per adattare le nuove tecnologie di frontiera, dalla robotica alla stampa 3D, dall’intelligenza artificiale al bio-hacking, al contesto di paesi come l’Italia dove per ragioni storiche e sociali non è possibile copiare pedissequamente i modelli di sviluppo della Silicon Valley o della Cina.
“Il Mediterraneo, dunque, come una prima forma di Internet: un mezzo di comunicazione che fa incontrare e scontrare culture diverse.”
Si potrebbe obiettare che agganciare la prospettiva culturale “mediterranea” alle questioni di innovazione tecnologica sia una forzatura. Forse in parte lo è, ma anche in questo caso sviluppare tale chiave di lettura può essere arricchente. Concetti come misura, lentezza, autonomia e maieutica vengono declinati in applicazioni creative, toccando molti settori di rilievo per il miglioramento della nostra vita come l’innovazione in agricoltura, i modelli di nutrizione, l’arte, l’urbanistica, la costruzione di comunità, la produzione di artigianato e di beni di nicchia ad alta qualità. Una linea di riflessione che parte dal marketing, passa attraverso la sua fusione con la sociologia o “societing” e poi attraversa riflessioni generali in campo economico, ecologico e culturale.
Il testo ha anche il merito di ricombinare in modo intelligente paradigmi concettuali e autori che raramente sono citati nello stesso contesto: dal pensiero meridiano di Franco Cassano all’intelligenza collettiva di De Kerckhove, dalla prospettiva radicale dello Chthulucene di Donna Haraway all’antifragilità (concetto più profondo rispetto a quello spesso abusato di “resilienza”) di Nassim Taleb. Questa varietà di stimoli riflette la tesi centrale del libro: la prospettiva mediterranea come punto di vista capace di abbracciare la complessità e di mettere in comune risorse eterogenee.
Il Mediterraneo, il Sud, la sua dimensione rurale e le sue città, in particolare l’archetipo-Napoli, non sono più concepiti come soggetti che subiscono passivamente le correnti di trasformazione socio-tecnica provenienti dall’esterno. Allo stesso tempo, non sono nemmeno musei legati a un passato a cui certamente non si può tornare e che, essendo spesso idealizzato, non rappresenta una meta verso la quale è auspicabile dirigersi. Il Mediterraneo, inteso quindi come bacino creativo, capace di valorizzare il proprio percorso storico ma senza un eccesso di identificazione e attaccamento, in grado di trasformarsi, di superare i propri limiti, di trovare soluzioni profondamente originali a problemi enormemente complessi. In sintesi, si tratta di scoprire nella prospettiva mediterranea pratiche ad alto impatto e idee originali che sarebbe molto più difficile identificare e sviluppare in altro modo. Nella nostra fase storica di crisi, si tratta di un punto di vista a cui non possiamo rinunciare.