Il saggio di Pankaj Mishra Le illusioni dell’Occidente, alle origini della crisi del mondo moderno (Mondadori) ha un titolo molto diverso in inglese: Bland Fanatics. Il termine sta ad indicare gli ‘insipidi fanatici’, riferito a quei politici, scrittori e pensatori che dal Dopoguerra a oggi hanno fatto un tifo sfrenato, spesso al limite del razzismo e del suprematismo bianco, anche in aree non sospette tra gli intellettuali dell’establishment più rispettati, per i valori dell’Occidente percepiti e propagandati come superiori a quelli del resto del mondo. Nell’analisi costruita tramite 13 recensioni e tre saggi storici, Mishra sviscera i limiti di questo costrutto mentale instauratosi grazie alla dicotomia della Guerra Mondiale, figlio di una macchina di propaganda che doveva far fronte a quella sovietica. In questa lunga conversazione con l’autore indaghiamo i limiti di questa visione Occidente-centrica, di come sia nata e allevata in maniera premeditata e di come abbia fallito l’esame del contesto pandemico, che ha esacerbato i limiti del neo-liberismo, riaprendo le porte ai vantaggi delle social-democrazie.
Nel suo saggio lei affronta il tema dell’incapacità dell’Occidente di capire sé stesso e di vedere le contraddizioni nella sua narrativa. In cosa consiste questa incapacità e come ci si è arrivati?
Se si analizzano il pensiero e la letteratura in Europa occidentale e in America fino alla Seconda guerra mondiale si trova la necessità di rispondere a una crisi. Per molti la manifestazione di quella crisi è stata la Prima guerra mondiale che ha infranto tutte le aspettative del diciannovesimo secolo su progresso, prosperità universale e sviluppo. Henry James, Rilke, T.S. Eliot, Paul Valery, Virginia Woolf, la lista è infinita. Stanno tutti cercando un senso a questa grande spaccatura nella civiltà europea chiedendosi perché sia accaduta. C’è quindi un grande spirito di auto-critica che dominava anche la filosofia, sia quella dei filosofi spagnoli, che di quelli italiani o americani: stanno tutti cercando di capire questa crisi. Dal 1945 Gran Bretagna e Stati Uniti emergono come vincitori in Europa occidentale e subito si ritrovano coinvolti in un confronto con l’Unione Sovietica.
Inizia così la Guerra Fredda che, anche se spesso lo si dimentica, produce non solo un enorme investimento nelle capacità e basi militari ovunque, con missili nucleari installati in Turchia, a Cuba e altrove, ma vede primariamente un massiccio investimento retorico e culturale. Negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, nascono delle genealogie interamente nuove e ne vengono rispolverate di antiche che cercano di mostrare come l’Occidente sia la civiltà dominante, raffigurando il mondo libero, in particolare, come un sistema che può ritrovare le sue origini fino all’Antica Grecia, passando poi per il Rinascimento italiano e l’Illuminismo francese del 18esismo secolo.
L’antica Grecia non ci è di grande aiuto nell’affrontare, per esempio, i problemi della Grecia contemporanea…
L’obiettivo primario è dimostrare che il mondo libero è moralmente superiore al comunismo sovietico e ai Paesi che lo hanno adottato. Ci sono studi che hanno dimostrato come persino le scuole di scrittura creativa in America siano cadute sotto l’influenza di quest’ideologia e abbiano investimento nell’americanismo, cioè il messaggio dell’America come la grande speranza di tutti i popoli della Terra. E siccome la letteratura è un fenomeno molto pericoloso, poiché contiene la possibilità di criticare la società, queste scuole di scrittura creativa hanno avuto il compito di scollegare la letteratura dalla critica politica, focalizzandosi più sulla tecnica e sui valori estetici della scrittura.
Voglio dire che durante la Guerra Fredda siamo entrati in una modalità propagandistica di guardare all’Occidente e di pensare all’Occidente da cui non siamo ancora emersi. Il trumpismo, la Brexit e l’ascesa dell’estrema destra in molte parti d’Europa hanno reso evidente il fatto che da molto tempo ormai nel mondo libero le cose non stanno andando per il verso giusto e che i risultati della schiavitù e dell’imperialismo hanno gettato un’ombra molto lunga su queste nazioni e società dove i problemi generati nel passato, sono ancora ben vivi nel presente. Ma credo che la gente sia davvero scioccata oggi perché la loro stessa visione del mondo si è formata se non durante la Guerra Fredda senz’altro sotto l’influenza dell’ideologia del mondo libero che è stata creata in quel periodo. Ed è il periodo in cui gli sbiaditi fanatici dell’Occidente emergono, considerando le conquiste degli Stati Uniti e del Regno Unito come fossero qualcosa di unico, parte della grandi fortune ereditate dalla Grecia classica o dall’antica Roma e dal Rinascimento. C’è quindi un intero mondo di proiezioni di fantasia sull’Occidente come fosse l’unica isola al mondo di virtù che risalgono fino all’antichità. E penso che ci stiamo rendendo conto, oggi, che queste erano senz’altro delle considerazioni a dir poco molto ambiziose. Perché l’antica Grecia non ci è di grande aiuto nell’affrontare, per esempio, i problemi della Grecia contemporanea…
Però leggendo la “Repubblica” di Platone, si riconosce subito la società occidentale contemporanea…
Certo, nello stesso modo in cui si può argomentare che le idee del Buddha hanno avuto un ruolo molto importante non solo nelle società asiatiche, ma anche in altre società. Perché le idee viaggiano continuamente. Non abbiamo ancora scoperto il modo in cui le idee buddiste hanno viaggiato verso Occidente. Potremmo arrivare un giorno a scoprire che alcune idee asiatiche hanno influenzato le idee politiche occidentali. Sappiamo per certo che c’è stato uno sforzo deliberato per oscurare il contributo dell’Islam in Europa, nelle tradizioni dell’arte di gestire lo Stato, come accadde in Spagna, ad esempio. Trovarlo nell’architettura è inevitabile, sta davanti agli occhi, ma ci sono molti altri aspetti di cui non si parla, che non vengono proprio menzionati. Il fulcro del problema è la costruzione di genealogie sulla base dell’esclusione, dicendo: questo è unicamente nostro, unicamente occidentale. Ovvio che ci sono influenze che risalgono a Platone, ma quando entriamo a fondo nel problema…
…si ritrova l’eccezionalismo occidentale. Anche perché si potrebbe argomentare che alcune idee di Platone sembrano chiaramente provenire dalle scritture vediche o dalla filosofia induista, emersa prima che nascesse Platone. Penso ai concetti platonici dell’amore o di Dio che assomigliano in modo straordinario a quelli sviluppati in India alcuni secoli prima di Platone…come si può negare un collegamento, visto che non ci sono ancora studi sufficienti?
Sì, non è stato studiato abbastanza. E questa mancanza è dovuta al fatto che si pensa che il pensiero occidentale sia essenzialmente superiore alle filosofie e letterature di altre parti del mondo. Quindi non ci si sente nemmeno in dovere di fare lo sforzo di capire o imparare quelle idee perché, ovviamente, gli antichi greci avevano già capito tutto.
È la stessa cosa con l’arte. Troviamo un atteggiamento in Occidente dove il canone di bellezza dell’antica Grecia o del Rinascimento sono visti come l’unico risultato di quel kalòs kai agathòs della filosofia greca, ciò che è bello e buono, ovvero anche morale e valoroso, mentre i “mostri” che vengono dall’est sono visti come demoniaci, senza capire che in realtà sono forme che scacciano il concetto di male, cioè l’aspetto demoniaco. Sono un tentativo estetico di esplorare il lato oscuro. Mentre nell’Occidente questa ricerca viene repressa e si potrebbe anche ipotizzare che è forse anche per questo che certe pulsioni trovano poi uno sfogo attraverso maggiori conflitti.
Esatto. Ma penso che esaminare il punto di rottura della Seconda Guerra mondiale come origine di questo pensiero sia molto importante. Gran parte delle culture occidentali hanno avuto al proprio interno una forte critica negli ultimi 200 anni, fin dagli albori del diciannovesimo secolo quando le ideologie dell’industrializzazione hanno iniziato a influenzare il concetto di progresso nel mondo. Che fosse Carlyle, Nietzsche, Thomas Mann, Henry James o gli autori che ho citato prima, gran parte della letteratura e della filosofia di quel periodo, fino alla Seconda Guerra mondiale, è stata una critica delle ideologie dominanti di quel periodo. Marx è un grande esempio di questa critica. Quando invece si considerano gli ultimi 70 anni, il Dopoguerra, non si riescono a trovare personaggi paragonabili. E si capisce che questa è stata una cultura incredibilmente conformista in molti aspetti. Non si riescono a trovare pensatori paragonabili a quelli del periodo precedente la Seconda guerra mondiale che siano stati in grado di registrare il loro potente dissenso dall’ortodossia. Bisogna rovistare nel fango…i Beats, Allen Ginsberg…
O i post-strutturalisti.
Esatto. Foucault, Levi-Strauss o Sartre. Ma sono così pochi all’interno del canone occidentale. E intellettualmente c’è stato un declino. Perché le vite intellettuali sono state professionalizzate in Occidente a un livello mai raggiunto prima. Prima, la maggior parte della vita intellettuale in Occidente era sostenuta da pensatori non affiliati, dilettanti, non professionisti. Nietzsche non era un accademico. Invece, la filosofia oggi è interamente accademica. Non si trova un filosofo che non provenga o lavori per il mondo accademico.
Quindi lei sostiene che oggi l’accademia rinforza il canone. Durante la Guerra Fredda sappiamo che i servizi segreti pagavano artisti e scrittori per promuovere certe idee, compresi alcuni grandi autori americani a New York. Tutti sponsorizzati per osannare la norma.
Sì, e penso che ciò dimostri perché la cultura di questi sbiaditi fanatici sia rimasta così forte, poiché avevano un forte sostegno dalle istituzioni che nessuna cultura ha mai avuto prima.
Ed è riuscita a durare così a lungo per mancanza di vera critica.
Nessuna critica.
Però non direi proprio che Marx sia stato marginale, visto che le sue idee hanno creato quella stessa Unione Sovietica che è alla radice della Guerra Fredda di cui stiamo parlando.
Ma in Occidente è rimasto marginale. Certo, ha avuto una fortissima influenza fuori dal blocco occidentale, a parte qualche partito comunista qua e là, che non ha mai preso il potere, anche se in Italia ci sono arrivati vicini, ma senza arrivare davvero mai al mainstream.
Si potrebbe ribattere che l’Italia è un’eccezione avendo avuto un partito comunista che nel 1975 ottenne il 33,5 % alle elezioni regionali, ad appena 1,5% dal sorpasso sulla Democrazia Cristiana in quello che si chiamava il “bipartitismo imperfetto,” e che il Pci ebbe un’impronta potente in ambito culturale, al punto che dopo la fine della Guerra Fredda molti hanno criticato l’egemonia culturale del partito comunista in Italia, nutrito da un dominante e forte antiamericanismo. Tutto ciò dagli anni Novanta in poi è quasi svanito, naturalmente, quindi parliamo dei primi 40 anni del dopoguerra, prima che arrivassero Toni Blair e Massimo D’Alema.
Sì, in effetti, l’Italia è l’unico Paese in Occidente dove praticamente tutti i principali artisti, scrittori e editori erano o iscritti al Pci o comunque lo sostenevano. Nessun Paese ha avuto un fenomeno simile. Che fosse Pavese, Calvino o Moravia, erano tutti, uniformemente, nella sinistra radicale.
Anche perché era impegnativo pubblicare un libro in una grande o media casa editrice se non appartenevi a quell’area, pur trovando spazio in ambiti marginali. In Francia il partito comunista non ha mai decollato davvero. In Germania si è arrivati ad esempi di estremismo come la Rote Arme Fraktion, ma nessuno in Europa ha avuto un peso culturale come il marxismo ha avuto in Italia. Mentre in America c’era qualche sparuto gruppuscolo di socialisti…
In America credo davvero che l’eccezione fossero i Beats. Certo, c’erano scrittori in esilio come Gore Vidal che non sopportava l’idea di vivere negli Stati Uniti ed ha dovuto abbandonarla a causa delle forti critiche che subiva. O Paul Bowles, in un’altra categoria. Ma non si trova nessuna fiorente cultura del dissenso negli Stati Uniti in questi decenni, una cultura incredibilmente conformista.
Forse Ralph Nadar che con il suo ecologismo era in grande anticipo sui tempi, ma senza un impatto durevole…
Sì, esatto.
Allora potrebbe delinearci quali sono le caratteristiche del potere e della cultura dell’Occidente così come sono simbolizzate da metropoli come New York, Londra, Parigi o Venezia, in giustapposizione all’ascesa asiatica, anche nel contesto pandemico?
Il potere della cultura non è qualcosa che può avere un rapido declino quando le basi istituzionali che lo sostengono sono ancora intatte. Perché un film indiano o un romanzo indiano diventi importante in India dev’essere pubblicato anche in Occidente. Se diventa un film, dev’essere distribuito da Netflix o Prime Video. Quindi Hollywood o altre istituzioni simili basate negli Stati Uniti stanno ancora mediando le produzioni indigene in Asia. Le cose sono diverse in Cina, nel senso che lì hanno un grande mercato interno chiuso. Nondimeno né la Cina né l’India, anche se hanno i loro fan nel mondo, visto che ci sono appassionati di Bollywood anche a Marrakesh o nei Caraibi, hanno il potere culturale che hanno New York, Los Angeles o Londra.
Quindi non so se la pandemia abbia portato un cambiamento, ma credo che la trasformazione sia avvenuta nell’immagine di queste nazioni, soprattutto del Regno Unito e degli Stati Uniti. Erano nazioni percepite come modelli cui aspirare, politicamente, con le loro istituzioni presumibilmente democratiche. Ma hanno dimostrato di essere completamente carenti nell’affrontare un’emergenza di salute pubblica. Gli Stati occidentali si sono rivelati completamente svuotati, privi della più basilare capacità di prendersi cura dei propri cittadini. Questa è stata una presa di coscienza devastante per molte persone che vivono in Occidente. Ed è stata una rivelazione scioccante anche per molte persone che vivono fuori da queste nazioni vedere che in Occidente non riuscivano ad essere efficienti come il governo di Taiwan o del Vietnam. Ma allora cos’è tutta questa ricchezza e questo potere di cui ti vanti? Cos’è tutta questa democrazia di cui ti riempi la bocca, se non riesci a fare ciò che lo Stato dovrebbe fare come funzione primaria, cioè proteggere le vite dei suoi cittadini? Questo penso sia stato un gigantesco passo indietro. E non so se l’Occidente si riprenderà mai da questo accadimento. Ma questo è un aspetto molto diverso dalle basi finanziarie del potere culturale che sono ancora solide. E, intanto, la pandemia ha portato per forza a una riscoperta basilare delle funzioni dello Stato.
Perché molti avevano dato per scontato che il mercato sia la miglior garanzia del bene comune. Era una fantasia, naturalmente. Ma era una fantasia molto forte, quella di credere che lo Stato deve solo ritirarsi, vigilare lievemente e talvolta regolare il mercato, ma che altrimenti il mercato è capace di arrivare al bene comune mettendo i cittadini in una relazione di competizione gli uni con gli altri, e che gli individui che perseguono il proprio interesse personale arriveranno miracolosamente al bene comune. Di conseguenza, il ruolo dello Stato è stato sistematicamente eroso. La pandemia invece ha fatto capire alla gente che lo Stato è un agente molto importante. E solo lo Stato può coordinare le attività del settore privato e pubblico per fornire il necessario alla popolazione. E’ un concetto molto semplice che per molti è arrivato, oggi, come una grande rivelazione.
Nei suoi saggi lei sottolinea spesso queste illusioni e delusioni del neoliberismo, indicando che il boom economico in Giappone o tra le Tigri asiatiche in realtà accadde sotto la guida dei governi e del protezionismo, non grazie al libero mercato. So che non ama essere trascinato nel dare suggerimenti su cosa fare perché dice che il ruolo di uno scrittore è di essere un critico e non necessariamente di guidare il cambiamento politico, ma vorrei chiederle se lei sostiene che un controllo maggiore dello Stato sia un metodo migliore per gestire la politica? La sua critica sembra indicare che il bene pubblico non può essere appaltato ai privati.
Nessuna corporation può avere questo potere. La pandemia ha sviscerato queste tematiche. Ogni nazione dovrà trovare il giusto equilibrio, ma in generale appaltare i vaccini alle società private o alle corporations non è una buona idea. Forse a volte, in alcuni contesti, può funzionare, ma credo che appaltare ai privati i cui unici obiettivi sono i profitti…beh, portare quell’elemento in situazioni in cui le vite di così tante persone sono a rischio vuol dire confermare la dominanza del modo di pensare neoliberista. Non si possono esercitare queste scelte in un contesto simile, dove i ricchi vengono scelti al di sopra di tutti gli altri. Chi ha accesso a vaccini privati o che può pagare per avere vaccini privati sono coloro i quali si trovano avvantaggiati, in questo contesto.
Il che porta a pensare che alcuni Paesi asiatici abbiano interpretato meglio lo spirito del nostro tempo, innovando in aree che erano tradizionalmente parte della modernità occidentale, tanto che oggi forse siamo arrivati al punto in cui bisogna parlare di una responsabilità asiatica verso il mondo, più che di un potere asiatico. E’ d’accordo? E cosa pensa di questo concetto?
Non so se questa idea di responsabilità sia stata disseminata in modo adeguato, ma penso che dobbiamo allontanarci dal linguaggio dei diritti e scoprire ed elaborare meglio il linguaggio delle responsabilità e dei doveri. Perché quest’idea dei diritti è parte del concetto di possessività e di individualismo. Quando parliamo di diritti intendiamo sempre diritti di proprietà o diritti dell’individuo di fare qualcosa e ciò tende spesso ad essere il diritto alla proprietà. E questa non sembra essere mai una buona ricetta per una società funzionale o armoniosa.
Si è visto chiaramente nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti negli ultimi anni. Invece l’idea di una collettività dove le persone sono responsabili le une con le altre e che si aiutano, mi dispiace dirlo…ma la Cina durante la pandemia ha dimostrato al mondo che quando i cittadini sono motivati da una sincera preoccupazione per i loro concittadini possono essere ispirati a fare delle cose incredibilmente altruistiche. Ed è quello che stiamo scoprendo nell’indagare come hanno affrontato il contagio in varie parte della Cina e il ruolo dei volontari nell’assistere lo sforzo di contenimento.
Non credo che in molte parti dell’Europa occidentale o in America abbia prodotto anche solo una frazione dell’esempio cinese in tema di volontariato. Quindi cos’è diverso in Cina? La presenza del senso di appartenenza a una collettività che spinge ad aiutare i concittadini. Questa è una società che nonostante abbia adottato una forma di economia marxista mista a una forma di capitalismo è ancora leale all’idea di responsabilità condivisa e di una collettività che emerge e declina assieme, opposta al concetto dell’ognuno per sé e all’idea dei diritti personali che ti sono dovuti, che ha dominato l’Occidente recentemente.
E allora i diritti civili?
Penso che questo sia un grande problema, quando dai allo Stato così tanto potere e con le risorse tecnologiche oggi a disposizione allo Stato avrai ovviamente Stati che usano male quel potere e restringono i diritti dei loro cittadini. E’ una tentazione classica. Ma non è niente di nuovo nella Storia degli Stati e cioè che essi hanno sempre la tendenza ad accumulare potere. Per questo che è necessaria una società civile molto forte. Il problema è che in luoghi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti non ci sono né una società civile molto forte né uno Stato molto forte. E durante la pandemia si finisce per soffrirne da entrambi i lati, perché non si riscontra una sufficiente solidarietà sociale, mancando abbastanza gruppi civili autonomi che si formano spontaneamente nel soccorrere chi ne ha bisogno, e mancando anche una risposta soddisfacente dallo Stato. Quindi la questione dei diritti civili, certo, resta assolutamente importante.
Soprattutto in Cina, perché se la persona che guida la collettività, lo Stato quindi, si arroga il diritto di agire nell’interesse dell’armonia, ma trova che la diversità sia contraria al concetto di armonia, come ad esempio se sei di una religione diversa, allora ci si sente in diritto di imprigionarti in un campo di ri-educazione per farti cambiare religione. Ma questo è un problema serio, non trova?
Certo, certo. Ma credo che continuiamo a pensare ancora in un contesto di Guerra Fredda. Perché la Guerra Fredda ci spinge sempre a ragionare in termini di opposizione binaria. Democrazia contro autoritarismo, diritti civili contro la mancanza di diritti. Ma ci sono modi molto più sottili di pensare a questi problemi. E di riconoscere che un contadino nel Tamil Nadu o nell’Uttar Pradesh indiani, per esempio, sulla carta può avere più diritti civili di un contadino del Guangdong cinese, ma in realtà quei diritti non sono applicabili, perché un capo-commissario della stazione di polizia indiano può torturare e uccidere quel contadino in India e non gli accadrà nulla. In Cina, se succede una cosa del genere, la famiglia della vittima avrà molte più possibilità di chiedere giustizia.
Confrontare la Cina con l’Occidente è semplicemente futile perché serve solo a darti una brivido di superiorità morale
Quindi credo anche che ci si debba allontanare da quel discorso retorico che dà sempre per scontato che solo perché i diritti civili e il diritto d’espressione sono garantiti dalla Costituzione, sulla carta, sia automatico che siano anche rispettati davvero. In realtà, ci sono molte restrizioni su ciò che si può dire anche in Occidente. Se dici qualcosa di molto critico su Israele rischi grosso professionalmente e c’è gente che è stata licenziata negli Stati Uniti per quella motivazione, ad esempio. Quindi penso che le cose non sono perfette anche in quegli Stati che garantiscono specificatamente i diritti civili e il diritto d’espressione. Ci sono sempre limiti invisibili e restrizioni e proibizioni. Ed è per questo che è importante allontanarsi da una prospettiva moraleggiante in questi casi per vederli per quello che sono e cioè problemi che esistono in ogni società. Di più in certe società in raffronto ad altre, certo. Ma confrontare la Cina con l’Occidente è semplicemente futile perché serve solo a darti una brivido di superiorità morale. Ed è ciò che è stato creato con la Guerra Fredda. Ma non ha alcun senso congratularsi dei propri diritti civili mentre la gente muore a destra e sinistra attorno a te. Mentre, in altri luoghi, c’è uno Stato che sta attivamente salvando vite umane. E risulta che per gran parte delle persone il diritto di sopravvivenza sia più importante del diritto di criticare Xi Jinping. Certo si può dubitare di una scelta del genere, vista da lontano, ma in realtà, è una scelta molto semplice ed esistenziale per le persone che devono farla.
Cibo in cambio di libertà?
Brecht dice che si può filosofare solo a stomaco pieno.
Lasciando da parte Brecht e tornando invece al presente, vorrei chiederle in che modo il concetto di contemporaneità nell’aspetto economico, ecologico e culturale si è trasformato in Asia in confronto con l’Occidente e soprattutto con questa nostra Europa, intrisa di decadenza e nostalgia?
Per molti asiatici la modernità si sta ancora sviluppando e quindi non c’è un senso di decadenza o di nostalgia perché le cose sono ancora tutte nuove. Per molte persone lo smartphone è la prima esperienza con la modernità, ed è un oggetto tecnologico capaci di stregare e coinvolgere come pochi altri. L’infatuazione per lo smartphone è tuttora molto intossicante. Quindi per una maggioranza degli asiatici l’esperienza del presente è ancora contraddistinta da un senso di meraviglia e di piacere e un senso di espansione delle possibilità, soprattutto perché così tanti di essi iniziano da una punto di partenza così basso, da vite di deprivazioni materiali.
Quindi credo che siamo molto lontani, come esperienze della modernità, mentre in molti luoghi dell’Occidente si ha la sensazione che il contemporaneo sia qualcosa di consumato, di già obsoleto e da rimpiazzare. Allo stesso tempo credo che ci sia un certo settore della popolazione indiana che dà segnali di stanchezza nei confronti della promessa della modernità. Credo che molti quarantenni e cinquantenni oggi che hanno già attraversato il ciclo di accoglienza della modernità, che hanno lasciato casa, sono “diventati individui” secondo la definizione occidentale, e hanno acquisito molti oggetti e beni materiali, e conducono la bella vita, stanno ora percependo che c’è qualcosa che non va.
Il fenomeno dei guru di massa che si vive ora in India, come Sadhguru e vari altri guru che irretiscono un enorme pubblico di classe media e medio-alta, sono la testimonianza che per tante persone la modernità è già stantia o almeno inadeguata perché stanno tornando verso qualcosa che pensano sia più tradizionale ma che in realtà è una sorta di neotradizionalismo.
C’è qualche via d’uscita che l’Asia può offrire all’Occidente, una soluzione alla crisi che il mondo affronta?
Non credo esista una soluzione netta che l’Asia possa offrire. Ma credo che ciò che ha senz’altro dimostrato durante la pandemia è che l’azione di concerto gestita dallo Stato può certamente elevare le possibilità di sopravvivenza dei suoi cittadini e che uno Stato è un agente molto importante in praticamente ogni aspetto delle attività umane, che siano esse economiche o la salute pubblica. E credo che un Paese dietro l’altro, in particolare nell’est asiatico, il Giappone, la Corea del Sud, la Cina, Singapore o Taiwan, abbiano dimostrato che lo Stato è un protagonista molto importante nell’economia nazionale. Questa è una lezione che gli americani stanno ora imparando in ritardo. E che in Gran Bretagna, ora, il governo, i cittadini e l’intellighenzia stanno imparando in ritardo. Ma è una lezione molto basilare.
L’avevano in realtà già vista all’opera nel 2008 con il grande salvataggio delle banche dopo la crisi finanziaria.
E’ solo nei momenti di crisi che la gente ricorda il ruolo dello Stato centralista e dei suoi istituti. Quindi l’Asia ha solo rinnovato una lezione che era assolutamente disponibile anche in Occidente, ma di cui non si sentiva notizia o si dava attenzione da tempo.
E cioè che lo Stato e il contratto sociale sono indispensabili.
Assolutamente. Si può immaginare la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra mondiale senza il ruolo dei pesanti interventi economici dello Stato? Si può immaginare la re-industrializzazione di grandi parti della Francia, la Germania e dell’Italia senza il ruolo degli Stati social-democratici? Si può immaginare lo stato sociale dell’Europa occidentale o il welfare state degli Stati Uniti senza lo Stato e senza il New Deal? Gli ultimi tre decenni, iniziando con gli anni Ottanta, sono stati davvero instupidenti. Hanno letteralmente spazzato via interi periodi storici dalla memoria e trasformato la gente in robot che starnazzano quest’ideologia insensata del libero mercato, con gli slogan sullo Stato che si deve ritirare, l’individualismo, la deregulation, le privatizzazioni, questi mantra stupendamente banali che hanno preso il controllo la vita intellettuale spazzando via ogni altro genere di discorso. E in molti modi ora stiamo raccogliendo la tempesta di questa semina.
Le dirò la verità, quando si sente parlare di social-democrazia in Italia, almeno tra molti della nostra generazione, diciamo i quarantenni, ma più ancora i cinquantenni, di solito si ha una reazione ambivalente. Perché, pur consapevoli dell’importanza centrale della scuola e della salute pubblica, abbiamo vissuto sulla nostra pelle gli incredibili livelli di inefficienza e corruzione dello Stato. Io venivo da un ambito ben diverso, ma ricordo che persino i giovani amici democristiani si sentivano intrappolati dal sistema del partitismo dove dovevi presentare la tessera della Dc per ottenere un permesso se volevi fare affari e sviluppare l’azienda. Oppure se sognavi un lavoro nel mondo culturale, aiutava avere la tessera del Pci. Bisognava fare parte di un partito, di una famiglia politica per così dire. Quindi invitare la gente della mia età a tornare a un mondo del genere è normale che non trovi molti consensi, perché ci pare di averlo già vissuto e di aver sperimentato quanto soffocante fosse, perché non potevi immaginare molto sul tuo futuro poiché era tutto molto controllato da un sistema nepotistico all’interno di uno Stato altamente inefficiente e, com’è risultato poi dall’operazione Mani Pulite, controllato da partiti profondamente corrotti.
Credo che l’Italia sia di nuovo un’eccezione a causa della ricostruzione post-bellica. Se pensiamo alla Germania, lì hanno avuto una migliore ricostruzione post-bellica, con molta autonomia alle regioni, i Lander, e non si è creato lo spazio per uno strapotere dei partiti come in Italia. Credo che gli americani, mi dispiace doverlo dire, abbiano davvero rovinato l’Italia in quel periodo con i loro interventi pesanti e interferenze politiche alla fine della guerra e le loro diaboliche e ciniche manipolazioni. E’ una storia poco conosciuta all’estero, quanto la costruzione politica dell’Italia sia stata corrotta da forze esterne.
Con oltretutto il contributo della Mafia, in un contesto di Guerra Fredda dove da un lato i servizi segreti del KGB contribuivano a una parte politica e i servizi segreti americani foraggiavano l’altra.
Molti dei problemi della ripresa nazionale italiana nel dopoguerra sono dovuti al fatto che il vostro Paese ha pagato il prezzo di trovarsi al centro della Guerra Fredda.
Allora, per tornare al presente, come può l’Occidente ritrovare oggi l’intelligenza e l’umiltà per rigenerarsi, svincolandosi da questa mentalità da Guerra Fredda? Può svegliarsi da questo stupore nel quale sembra essere caduta anche a causa della pandemia? Quali sono gli scenari più probabili, un’alleanza o un conflitto con l’Asia?
L’attuale generazione al potere, quelli della nostra età, i cinquantenni, hanno davvero fatto un grande casino. Non c’è speranza per questa generazione. Perché la scoperta di essere stata così disastrosa la rende ancora più determinata nel nascondere a se stessa i suoi errori e pasticci, ancora più determinata a evitare l’esame della propria condotta in passato. Quindi la vera speranza ora è nei giovani. Sono loro che ci sveglieranno tutti con la loro energia e con la loro rabbia ben fondata contro il mondo che noi abbiamo creato per loro. Questa è l’unica speranza che vedo. Ci scrolleranno dalla nostra compiacenza. Perché sono consci dell’emergenza di questo pianeta, a cominciare da quella del clima, una di quelle crisi che abbiamo continuato a non voler vedere per gran parte della nostra vita e con la quale loro invece sono cresciuti. Quindi è solo di fronte a, in senso mefistofelico, il mondo che arriva alla sua fine che arriveremo a nuovi modi di concepire le cose. Se non lo fa quest’emergenza, non so cosa lo possa fare. Ma non ho davvero speranza nella nostra generazione o in quella più vecchia. Credo che abbiano entrambe davvero incasinato le cose e che stiano continuando a farlo.
Cosa possono fare, le nuove generazioni?
Credo che ci debbano scalciare via dal potere. Lo penso seriamente. Devono davvero rimuoverci. In realtà credo che noi dovremmo andarcene dal potere. Ho iniziato a dirlo pubblicamente, che chi ha una certa età, nel giornalismo, almeno nella mia professione, dovrebbero davvero considerare il pensionamento.
Eppure, eccola ancora qui, a pubblicare libri e scrivere saggi…
Lo so, lo so (ride) giuro che mi fermerò presto. Mi sono dato altri tre anni e poi andrò ufficialmente in pensione. Cioè credo che scriverò qualcosa ogni tanto, ma penso che sono stufo di me stesso e del mio mondo e devo sentire opinioni dai giovani.
Intravede delle voci interessanti tra di essi?
Certo, molte. E se ne devono incoraggiare di più. Quando mi chiedono di scrivere, cosa che ora accade spesso, in molte occasioni segnalo colleghi più giovani, fornendo proprio la loro e-mail. La nostra esperienza del mondo è stata già scritta. Ho provato a comunicarla al meglio delle mie possibilità. E non è rimasto niente da dire tranne il fatto che siamo stati un’orda disastrosa e che abbiamo fatto errori terribili. Non intendo io personalmente, ma so che la gente della mia generazione li ha fatti ed è ora di arrendersi.
In questo cambio della guardia generazionale, cosa può indicare come strada da seguire, a parte suggerire il ripristinino della social-democrazia?
La social-democrazia è d’obbligo. Senza di essa è difficile che le società possono sopravvivere. E’ piuttosto chiaro come la mancanza di social-democrazia abbia spinto intere società verso l’estrema destra e soluzione estreme, rendendole vulnerabili ai fondamentalismi. Lo abbiamo visto ripetersi tante volte. Ma ci sono altre tematiche. Si può avere un sistema social-democratico dove la ricchezza non è stata generata come lo è stata in passato? Quando l’economia è stata quasi interamente deindustrializzata… forse puoi creare una forte tassazione, ma più probabile ci voglia un sistema più ampio. Il punto è che, minacciati dalla prospettiva dell’estinzione, del mondo naturale e dell’ecosistema che diventano completamente disfunzionali di fronte ai nostri occhi, penso che sia necessario fare qualcosa di più che qualche aggiustamento politico.
È ironico che ora sia la Chiesa l’unica fonte di autorità morale in un mondo in cui l’Illuminismo non ha più alcun rappresentante convincente
Non è il mio ruolo dare la ricetta, ma è dove i giovani possono contribuire a nuove idee su come formare la società, su quanto è necessario davvero per vivere, quanto è necessario davvero consumare, qual è il ruolo della buona vita nella nostra esistenza. E penso che queste domande siano in discussione come mai prima d’ora. E mi avventurerò a dire che è la prima volta dall’avvento della modernità che queste domande sono diventate così urgenti e vitali. Perché si credeva che la buona vita sarebbe nata dalla nostra crescente capacità di controllare la natura, facilitata dalla scienza, che la buona vita sarebbe arrivata aumentando il nostro potere razionale di comprensione, o diventando più sofisticati e raffinati. Ma pare che non funzioni davvero mai così. E ora attraverso una serie di gravi errori, basati su queste idee, abbiamo messo in discussione la sopravvivenza stessa del pianeta. Quindi è senz’altro arrivato il momento di rivalutare tutto. Come scrittore posso solo indicare questo e dire che è ironico che l’Illuminismo, nato principalmente come critica alla Chiesa, ecco è ironico che ora sia la Chiesa l’unica fonte di autorità morale in un mondo in cui l’Illuminismo non ha più alcun rappresentante convincente. Viviamo in un mondo dove l’unica persona che viene in mente che sia in grado di comporre una vera critica dell’attuale sistema è il Papa!