Interconnessione, ossia che diavolo è l’acqua?
Una serie di notifiche dal tuo cellulare. Un tuo amico ti ha appena scritto, mentre l’app meteo sentenzia pioggia imminente.
Mentre cammini verso la fermata della metro, il tuo smartwatch vibra di entusiasmo per segnalarti che hai centrato l’obiettivo di passi giornalieri, mandando in automatico un messaggio sui tuoi social network, da cui già ricevi molteplici reazioni.
In viaggio ti incazzi perché la tua videochiamata si interrompe di continuo, cercando di spiegare al tuo interlocutore londinese che sì, lì da te in metro la rete non prende, che ci vuoi fare, l’Italia è così. Appena rientrato in casa, il tuo partner non manca di salutarti con un commento stizzito sul fatto che potrai fare anche 10mila passi al giorno ma l’ago della bilancia rimarrà sempre al suo posto, soffermandosi poi sul like sospetto di quella tua ex, ma poi chissà cosa ci trovavi in quella, ho visto le foto della sua vacanza in Grecia, davvero una meta poco originale.
Lo scenario appena descritto credo risulti normale a tutti noi, abitanti al nord dell’equatore. È infatti parte della realtà in cui stiamo vivendo, una realtà che ci vede tutti connessi: io con voi, voi tra di voi, voi con altri, altri con macchine, macchine tra macchine, macchine con South Park.
Nel 2005, lo scrittore David Foster Wallace, durante il suo discorso per la cerimonia di laurea al Keyon College, esordì con una storiella diventata poi famosissima e pluri-citata:
«Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: “Salve ragazzi, com’è l’acqua?” e i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e alla fine uno di loro guarda l’altro e fa: “Che diavolo è l’acqua?”»
Foster Wallace prosegue dicendo «Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare.»
Passando dai pesci alle reti, i social network sono una delle manifestazioni più chiare del nostro essere costantemente connessi. Facebook stessa si definisce come la piattaforma che “helps you connect and share with the people in your life”, e già questo basterebbe. Ma nel complesso e vasto mondo di servizi e piattaforme a cui abbiamo accesso, e con la sempre più predominante presenza di tecnologie IoT nelle nostre vite, i social network sono solo la punta dell’iceberg di quello che, da ora in avanti, chiameremo interconnessione.
Sappiamo quindi che esiste l’acqua, ma non sappiamo benissimo come si chiama, né abbiamo una chiara idea di cosa farci.
Lo scorso anno ha avuto l’opportunità di partecipare come tutor a La Cura Summer School, un percorso in cui questo tema è stato preso di petto attraverso due domande principali: che cosa succede quando l’interconnessione si manifesta sul mio corpo, cosa succede quando si manifesta nella città?
Questo articolo è il principio di un piccolo percorso in tre atti: interconnessione e immaginario, interconnessione e territorio, interconnessione e corpo.
Se nominare significa identificare un oggetto e contestualmente distinguerlo da altri, allora la valenza del termine Interconnessione diventa improvvisamente molto importante nel nostro percorso.
Il termine “interconnessione” deriva dal latino, dall’unione di Inter = tra e Con-nèctere: con = cum insieme, nèctere = unire, intrecciare. Indica il rapporto “tra cose unite insieme”, definendo in prima istanza una “connessione reciproca tra fatti, fenomeni”. A discapito di un’esaustiva descrizione del fenomeno, il termine “interconnessione” è usato molto poco nel linguaggio comune. A titolo esemplificativo, questo è il risultato che ci offre Google Trends riguardo ai termini Connesso e Interconnesso.
Un possibile indice, questo, che la percezione del fenomeno non sia ancora del tutto assimilata e presente nel nostro immaginario. In quest’ottica è curiosa l’esistenza del termine inglese interconnectedness, una parola che non trova traduzione in italiano, e che acquisisce delle sfumature più vicine al misticismo e alle culture orientali (un po’ alla Sense8, se vogliamo). Deriva che non deve essere confusa con la Telepatia che, sebbene sembri essere il next big thing (o forse no) non centra in pieno le domande che ci siamo posti all’inizio di questo viaggio.
Provando a fare qualche passo in avanti rispetto alla storia del frigorifero che ci scrive la lista della spesa, questa assenza di consapevolezza si manifesta anche nella scarsità di immaginari, e di desideri, rispetto a questi temi. Siamo quindi in balia delle grandi corporate che guidano i mercati di piattaforme e tecnologie, in attesa della prossima start-up che ci “risolva” qualche problema?
A ben guardare, fortunatamente, anche questo non è del tutto vero. L’interconnessione, ben prima dell’arrivo di Internet, è stata materia di studio di artisti, filosofi, scrittori (qualcuno ha detto P.K. Dick?), attivisti. Dalle più rigide derivazioni trans-umaniste fino alle esplorazioni più pop, passando per il cyber-punk, l’interconnessione, comunque venga chiamata, è un tema che ha interessato e sta interessando molti, moltissimi, arricchendo il nostro bagaglio di domande e punti di vista.
Ma l’idea nata durante La Cura Summer School, che prosegue questo anno con GarBAOTAZ, è ancora diversa. È cercare di confrontarci con il tema dell’interconnessione immaginando quello che potrebbe accadere tra pochissimo. Perché davanti a un’innovazione tecnologica esponenziale, il confronto con il cambiamento si misura in mesi, più che anni. E quando nel mio lavoro si parla di design del futuro prossimo, si intende proprio questo: la capacità di confrontarsi direttamente con scenari che potrebbero avverarsi in un lasso di tempo brevissimo.
In che modo? Attraverso un percorso di ricerca partecipata, di sperimentazione e progettazione condivisa. Una strada che non cerca risposte definitive ma che sia in grado di far emergere nuove domande, di stimolare nuovi immaginari e riesca a far percepire come concreta e presente l’interconnessione nelle nostre vite.
BAOTAZ, nato da La Cura Summer School, è stato il primo passo: un vero e proprio traduttore di emozioni digitali in segnali per il nostro corpo, esposto sia alla XX Esposizione Internazionale della Triennale di Milano che al Neuromed, l’Istituto Neurologico Mediterraneo. Quest’anno invece con GarBAOTAZ proveremo a cimentarci con sfide nuove. Se l’anno scorso il tema era “abitare il pianeta” in questo nuovo laboratorio sarà il territorio a essere centrale. Una sfida che prenderà forma alla Garbatella, Roma, e di cui parleremo nel prossimo articolo.
Dal 30 ottobre al 5 novembre 2017 si terrà a Roma GarBAOTAZ, due laboratori per realizzare un’opera d’arte collettiva che esplori l’interconnessione tra nuovi immaginari e territorio, nell’area romana della Garbatella. Le iscrizioni sono aperte.
GarBAOTAZ è un progetto organizzato da Nefula e Roma Makers, con il supporto tecnologico di Human Ecosystems Relazioni, e la collaborazione di La Cura, Casetta Rossa, CivicWise, BAOTAZ.
Immagine di copertina: ph. Jordan McDonald da Unsplash