Il tempo multiplo dell’uomo in fuga dall’effimero, un’intervista inedita a Jacques Le Goff

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    Nella mia testa lo immaginavo nel silenzio operoso di un chiostro o di una biblioteca, a lume di candela, intento a decifrare un manoscritto. Invece, per raggiungere Jacques LeGoff a Parigi, un caldo pomeriggio di fine agosto nel 2013, ho preso la metropolitana fino al Canal de l’Ourcq, raggiungendo il 19simo arrondissement della città, una delle parti più moderne della capitale, dove il medievista mi aspettava circondato da pile di libri, nel suo studio.

    Le Goff sarebbe morto pochi mesi dopo, lasciando dietro di sé una produzione letteraria e accademica vastissima, la sua interpretazione lucida e ragionata di un mondo in evoluzione, “in fase di transizione”, come ha ripetuto più volte nell’intervista, conservando sino all’ultimo una fiducia incrollabile nelle magnifiche e progressive sorti dell’umanità, coltivando lo sguardo d’insieme di uno storico, che non bada alle singole annate ma abbraccia intere epoche.

    Per incontrarlo, lessi e mi preparai per settimane, per poi realizzare, con gioia, che una conversazione con il più grande storico dell’Europa occidentale non sarebbe stata un esame d’università ma un piacere intellettuale, un’ariosa passeggiata nei secoli, la scoperta di un immaginario inedito, impensato, l’incontro con un rivoluzionario dai modi eleganti e dai pensieri limpidi.

    Professore a Lille, poi ricercatore, direttore dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes e tra i fondatori del prestigioso istituto dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, Le Goff ha riscritto temi e metodi della ricerca storiografica, innovandoli, ampliandoli, fondendo la storia con l’antropologia, non smettendo mai di chiedersi il perché delle cose e mantenendo sempre viva la curiosità, la voglia di andare a vedere, e conoscere, l’uomo, nascosto dietro il personaggio storico. Svelare il corpo, il quotidiano, dietro la patina del tempo e del mito.

    Questa intervista è stata pubblicata in inglese nel 2013 sulla rivista di Pirelli, World Magazine, recapitata a domicilio su poche elitarie scrivanie. Oggi cheFare la ripropone in italiano, in libero accesso. Le Goff approverebbe.

    “Che cosa è allora il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so”, scriveva Sant’Agostino. Bussare alla porta di Jacques Le Goff, 89 anni, illustre storico francese, significa porsi la stessa domanda. Nel suo studio riservato, incorniciato di libri, con vista sul canal de l’Ourcq nel 19simo distretto di Parigi, le ore scivolano ancora tra clessidre e meridiane e le città si mutano in agglomerati urbani, sedi di chiese, leghe e corporazioni.

    A differenza di ciò che accade nella maggioranza delle interviste, Le Goff non tenta di persuadere ma di spiegare, affermando socraticamente di non sapere, a ogni domanda che sguscia via dal suo campo d’azione principale, il Medio Evo. Snocciolando date, biografie e vite di santi, racconta il lento lavorio dei secoli, trova un significato allo scorrere irrazionale del tempo e alla casualità degli avvenimenti storici, facendo della storia la più umana delle scienze. Memoria e realtà si mescolano alla fantasia, fino all’immaginazione di nuove forme di tempo, minuti inediti, secondi al rallentatore, inconcepibili per i piccoli uomini di oggi.

    C’è una sorta d’inquietudine di cui gli storici non possono fare a meno. Come se la sola dimensione cronologica del tempo non fosse loro sufficiente. Da dove nasce questa irrequietezza?

    Il tempo è un fenomeno multiplo. Gli uomini hanno cercato di imprigionarlo, attraverso strumenti che si sono perfezionati nei secoli, dai tre minuti di sabbia della clessidra alla meridiana, all’invenzione rivoluzionaria dell’orologio meccanico. Ma il tempo umano sfugge a tali misurazioni. È il tempo sbiadito del ricordo, quello lento dell’attesa, è il tempo veloce della paura e dell’amore, è raramente solo naturale, ma si connota anche da un punto di vista sociale o culturale. L’esempio più eloquente è il campanile, simbolo del tempo legato alle esigenze spirituali, o il calendario. Per noi storici, il tempo è l’oggetto di una scienza essenziale per l’uomo, che pur fondata sull’obiettività e sui fatti, non riesce a sbarazzarsi delle loro manipolazioni sociali e culturali, costringendoci a fare i conti con più volti dello stesso istante.

    Per noi storici, il tempo è l’oggetto di una scienza essenziale per l’uomo

    Con l’evoluzione delle comunicazioni, l’accorciarsi delle distanze da un emisfero all’altro, le varie concezioni del tempo sono destinate ad assomigliarsi sempre di più o si va verso una nozione del tempo sempre più soggettiva?

    Nell’epoca attuale, si assiste a un’evoluzione dei rapporti temporali nell’universo, che va verso la mondializzazione, di cui purtroppo non possiamo predire i risultati: l’avvenire resta un enigma. Il tempo ha la lentezza delle ere geologiche, ma è anche il tempo rapido e individuale delle nostre piccole vicende quotidiane. Ogni uomo è una meridiana e il tempo individuale s’intreccia agli altri tempi, alle altre esistenze e confluisce nello scorrere della storia. Esiste, tuttavia, un tempo assoluto, proprio di Dio, che i mercanti sin dal Medio Evo cercano di svendere, ma è un tempo sacro e appartiene a un’altra dimensione, lontana da qui.

    La dimensione dello spazio influenza quella del tempo?

    Sì, il tempo è coordinato, quasi ancorato, allo spazio. E, in epoca contemporanea, la dimensione del tempo apporta una riflessione fondamentale sulle problematiche attuali, come quella dei trasporti in comune (Le Goff è stato consultato dalla RATP, società dei trasporti pubblici francese, per una serie di dibattiti aventi lo scopo di adattare la rete dei trasporti alle esigenze dell’uomo moderno, ndr).

    Oggi, due persone residenti in due capitali, ad esempio Roma o Tel Aviv, si ritrovano ad avere più cose in comune rispetto a due persone residenti nello stesso stato ma in campagna o nella provincia. E le reazioni o le soluzioni trovate ai problemi metropolitani spesso finiscono per assomigliarsi, perché sono figlie della stessa epoca. L’uomo ha acquisito nei secoli la capacità di influenzare tempo e spazio, fino all’invenzione di trasporti sempre più veloci ed economici.

    Fino agli aerei, che hanno introdotto il concetto, più che contemporaneo, di democratizzazione dello spazio: l’altro capo del mondo è accessibile a tutti. Un’evoluzione dell’umanità che ha permesso lo sviluppo di fenomeni come la migrazione e ha creato individui dalle patrie multiple.

    L’Europa, secondo lei, è nata nel Medio Evo, con le prime agglomerazioni urbane. Com’è l’Europa odierna, in cosa è cambiata?

    Il Medio Evo è il momento in cui l’Europa nasce e si differenzia rispetto agli altri continenti, con valori comuni a tutte le nazioni, con attitudini simili, dall’industria all’urbanismo, e personalità forti e diverse. Oggi, si dovrebbe puntare a un’Europa delle nazioni, per non soccombere al monopolio dell’America e all’avanzata dell’Asia, un’Europa che faccia dei continenti emergenti non dei nemici ma dei partner, ma purtroppo dobbiamo confrontarci con una grande ignoranza, conseguenza inevitabile della mediocrità delle classi politiche attuali.

    Qualche anno fa, Umberto Eco faceva notare come il mondo proceda a passo di gambero, ritornando sui vecchi errori del passato, dall’attitudine alla guerra al populismo mediatico. Stiamo davvero tornando indietro nel tempo?

    Io direi che il gambero cammina. Al contrario, ma cammina. Trovo sia sbagliato minimizzare i passi che sono stati fatti. Impariamo ad allargare i nostri orizzonti temporali, prendiamo in considerazione le epoche, non le singole annate: abbiamo avuto l’Erasmus, la scomparsa di molte frontiere doganali con gli accordi di Schengen, la creazione di una Banca Europea.

    Se ci sbarazzasse del peso politico di Angela Merkel, ci si libererebbe finalmente di una dominazione subdola

    Sono cambiamenti che, in un’ottica temporale ravvicinata, non siamo in grado di percepire. Spesso si pensa che sia il tempo da solo ad apportare un cambiamento, invece il tempo fornisce solo una possibilità, un’occasione all’avvicendarsi di uomini, idee, intuizioni, che ci condurranno, passo dopo passo, verso un’Europa più aperta e vivibile.

    La frequenza delle rivoluzioni negli ultimi anni, l’adozione dell’austerity e i tagli dei salari hanno spinto molti a parlare di morte del capitalismo. Siamo vicini alla fine di un’era, secondo lei?

    In Europa, c’è chi lotta contro il capitalismo dai tempi di Marx. Benché io sia anti-capitalista, non credo sia il principale nemico da combattere. È l’austerità l’errore più grave: occorre ritrovare l’attitudine alla crescita e non intimidire gli slanci, reprimere le iniziative, demoralizzare le menti. Penso inoltre che se ci sbarazzasse del peso politico di Angela Merkel, ci si libererebbe finalmente di una dominazione subdola, quasi oscurantista. Non è la fine di un’era, ma un periodo di transizione: la stessa frontiera tra tempo privato e professionale sta cambiando, il lavoro scivola sempre di più nella nostra vita personale e viceversa.

    Lei ha individuato in Baudelaire l’araldo della modernità, di un’era segnata da tutto ciò che è aleatorio e sfuggente. La supremazia dell’effimero, dalla comunicazione all’informazione ai rapporti umani, è una caratteristica anche dell’era contemporanea?

    Sì, non siamo ancora usciti dall’effimero. Credo che l’avvento di un’Unione Europea compatta e coesa si accompagnerà all’abbandono del reame dell’effimero per entrare in un’era di movimento e sviluppo, costante ed evolutivo. E questo non è l’unico retaggio dell’era moderna che pesa sull’umanità: siamo invischiati nei nostri angusti mondi quotidiani, nelle problematiche della vita personale, vittime di un certo narcisismo, diventato quasi un’ossessione per i nostri piccoli drammi. Novelli romantici, rannicchiati nel nostro sé, a confezionarci una perfetta immagine di noi stessi.

    Ha dichiarato di preferire alla frenesia del giorno la calma della notte, alle giravolte veloci del presente lo scorrere lento della storia, di avere insomma una predilezione per il tempo decelerato. Vivere un tempo al rallentatore è ancora possibile?

    Sì, è possibile. Soprattutto, nel senso più letterale. Pensiamo agli astronauti: corpi sparati nello spazio alla velocità della luce, costretti a muoversi come in una moviola una volta dentro l’astronave. Questo è un nuovo modo di vivere il tempo che di certo nel Medio Evo gli uomini non avrebbero neanche concepito. Sono sicuro che nuove forme di tempo ci aspettano, più veloci sicuramente, ma anche più lente, che adesso non riusciamo neppure a scorgere all’orizzonte, ma che verranno presto a sorprenderci.

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