Le donne parlano d’amore. Già da bambine capiamo che le conversazioni sull’amore sono una narrazione di genere, un soggetto femminile. Le nostre ossessioni in materia d’amore non cominciano con la prima cotta o la prima caduta. Cominciano con quella prima ammissione che le femmine contano meno dei maschi, che, per quanto brave possiamo essere, agli occhi dell’universo patriarcale non lo saremo mai abbastanza. Nella cultura patriarcale la femminilità ci contrassegna fin dall’inizio come immeritevoli o non altrettanto meritevoli, e non dovrebbe sorprendere che impariamo a preoccuparci maggiormente come ragazze, come donne, del fatto di essere meritevoli d’amore.
Cresciute con madri competitive e colpevolizzanti e padri che non riusciamo mai a soddisfare veramente, oppure in un mondo dove siamo la «perfetta» cocca di papà ma temiamo di perdere la sua approvazione al punto di smettere di mangiare, smettere di crescere perché ci accorgiamo che papà perde interesse, perché percepiamo che non ama le donne, siamo incerte sull’amore. Per conservare il suo amore dobbiamo aggrapparci a ogni costo all’infanzia. Fin da piccolissime le bambine continuano a sentirsi dire, se non dai genitori dalla cultura in cui sono immerse, che devono guadagnarsi il diritto di essere amate – che la «femminilità» non è sufficiente. È questa la prima lezione che viene impartita a una femmina alla scuola del pensiero e dei valori patriarcali. Deve guadagnarsi l’amore. Non le spetta di diritto. Per essere amata deve essere brava. E quel brava è sempre definito da qualcun altro, qualcuno dall’esterno. Scrivendo del rapporto con il proprio papà nel saggio Dancing on My Father’s Shoes (Danzando sulle scarpe di mio padre), Patricia Ruff offre un resoconto accorato di come ha perso la sensazione di essere degna d’amore, di essere apprezzata, confessando:
«Mia madre mi disse che lui voleva prima di tutto una figlia e non avrebbe potuto essere più felice quando venni al mondo. Perciò ero impreparata quando il mio status di principessa, senza alcun preavviso, fu fatto bruscamente a pezzi, come un foglio di carta strappato da un quaderno. Successe qualcosa che nessuno mi spiegò. […] Non riuscivo a dare voce ai miei sentimenti ed ero senza parole per la rabbia e il dolore causati da quel suo essere d’un tratto fuori portata».
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