Influencer come? Una conversazione con Sofia Viscardi
Ci troviamo nella società dell’influencer marketing. Mentre l’autorevolezza dei media viene messa in dubbio e il riconoscimento nelle istituzioni politiche è sempre più controverso, alcune figure, grazie ai nuovi mezzi, sono riuscite a ritagliarsi uno spazio di visibilità e credibilità presso una sempre più ampia fetta di pubblico. Le personalità di spicco del web sono gli/le influencer, creator di contenuti digitali che emergono dal basso e si trasformano in punti di riferimento non soltanto per l’intrattenimento del pubblico ma, ormai, anche per i consumi culturali, le opinioni sulla società e le prospettive politiche.
Il peso degli/delle influencer nel web è largamente dibattuto e analizzato. Per scoprire le sfaccettature di questo ruolo innegabilmente centrale nella nostra mediasfera, ho intervistato Sofia Viscardi – una delle prime personalità italiane che dal mondo online di YouTube ha raggiunto notorietà e influenza su scala nazionale in tempi in cui i social network erano ancora una novità. Dalle forme di comunicazione possibile sulle piattaforme social al confronto diretto con gli utenti, ripercorriamo insieme il percorso di Viscardi per capire se la sua esperienza possa contribuire ad una rilettura dei processi di divulgazione contemporanea nel web.
Dal 21 al 23 ottobre si terrà a Rovereto la quinta edizione del festival organizzato dall’associazione Informatici Senza Frontiere, dedicato all’impatto sociale dell’innovazione tecnologica.
Tre giorni di incontri, dibattiti, conferenze, laboratori per riflettere sulla tecnologia come fattore di inclusione e integrazione per anziani, disabili, giovani, migranti, e per tutte le persone che la travolgente mutazione tecnologica in atto rischia di marginalizzare.
cheFare e Luca Sossella editore propongono un percorso di avvicinamento al festival con una serie di approfondimenti, dialoghi, recensioni che esplorano la frontiera lungo la quale linguaggi digitali e ridefinizione delle identità sociali si incontrano, interagiscono e si modellano reciprocamente.
La discussione è iniziata dalla trasformazione del suo canale avvenuta nel 2019. Dai video da vlogger, Sofia Viscardi si è reinventata in volto di un progetto più ambizioso dedicato alla divulgazione di cultura e costumi, Venti. “Per il pubblico è stato un passaggio abbastanza netto, da un’estate all’altra c’è stato il cambio formale del nome e l’inizio di Venti. Dentro di me è stato graduale”. L’incontro con l’autrice Irene Graziosi ha determinato un cambiamento radicale della struttura dei video e dei suoi contenuti, costruendo una cornice e un’impalcatura per il nuovo intento comunicativo. “Da quel momento c’è stata una rivoluzione oltre che nel canale anche nel mio modo di rapportarmi con il mio lavoro, più che il contenuto diventavo il mezzo”.
Nello stesso anno, Sofia ha tenuto una Ted Talk durante la quale si è ironicamente autoproclamata, in quanto web creator, come la causa del declino della società occidentale. Cosa sta creando dalle macerie il web creator? “Fruire in modo interattivo contenuti culturali e di intrattenimento è la differenza sostanziale rispetto a prima. In questo modo si è sempre potenziali protagonisti”. Da questo mi ha raccontato come nella costruzione di Venti ci sia alla base il confronto con la community. Il mezzo, YouTube, permette di ottenere numerose risposte in poco tempo dando la possibilità di rintracciare le esigenze di un gran numero di utenti, in qualche modo accomunati dall’interesse per questo tipo di confronto. I contenuti di Venti alimentano e, nello stesso tempo, rispondono al dialogo.
Prendendo ispirazione dal primo episodio della serie Girl, dove l’alter ego di Lena Dunham dice ai suoi genitori “Penso che potrei essere la voce della mia generazione o almeno una voce, di una generazione“, ho chiesto a Sofia come lei e il team di Venti si considerino in tal senso. Mi ha risposto che più che una precisa e grande narrazione, il suo canale fornisce uno spazio, un luogo dove la sua generazione può trovare le informazioni di cui ha bisogno, confezionate appositamente in un linguaggio comprensibile. Nel pensarlo così, Venti è in qualche modo anche un atto di traduzione che prova ad essere anello di congiunzione tra generazioni che non si parlano, mettendole in relazione tra loro tramite contenuti. Questo mi ha ricordato le sue parole sulla divulgazione che “dovrebbe essere fluida, gentile e divertente”, intento che sembra rispondere alla crescente necessità di un approccio alla cultura accogliente e inclusiva anziché rigida e elitaria. “Nel mio lavoro cerco di accompagnare le persone senza dare per scontato che sappiano. Penso che essere respingenti scoraggi chi ascolta e ostacoli la curiosità”. Un esempio concreto di questo approccio lo ritroviamo nel video di Venti dove è stata invitata Elisa Cuter a spiegare il femminismo partendo dalla definizione e approfondendone i diversi tipi.
In Venti, inoltre, riscontriamo una specifica attenzione alle emozioni, ai disagi, ai valori che cambiano, temi importanti ma spesso trascurati o considerati come minori. “Per me questa è la parte più importante della nostra mission. Abbiamo bisogno di mettere in dubbio tutta quella vergogna che abbiamo vissuto nei confronti di temi come i sentimenti. Prima di fruire contenuti culturali alti, è fondamentale sviluppare la conoscenza di sé e avere gli strumenti per esplorarla e raccontarla. Del resto, nonostante il linguaggio cambi, le emozioni e i sentimenti che ci accomunano sono gli stessi. Abbiamo bisogno di una educazione sentimentale“. Stabilita l’importanza di affrontare questa sfera, come facciamo a rendere questi contenuti davvero accessibili e fruibili? “Il fatto che comincino a essere elementi reperibili sui social è già un enorme passo avanti ma non basta, bisogna insegnare a maneggiare queste informazioni, a scegliere la fonte».
Abbiamo bisogno di mettere in dubbio tutta quella vergogna che abbiamo vissuto nei confronti di temi come i sentimenti. Prima di fruire contenuti culturali alti, è fondamentale sviluppare la conoscenza di sé e avere gli strumenti per esplorarla e raccontarla.
Il web permette di condividere contenuti e idee a prescindere dal luogo e dal momento; questo determina un’estensione delle possibilità di confronto e di co-costruzione della cultura ma anche fenomeni meno dialettici legati soprattutto ai rischi dell’assenza di mediazione del confronto, gli hater per dirne una. Forse è un’ambivalenza necessaria, forse semplicemente inevitabile. Di fatto, sembra mostrare una certa mancanza della cultura digitale che non si esprime solo in questi fenomeni specifici ma in generale per l’onlife, citando Luciano Floridi, che oggi ci troviamo a vivere. “È come se ci fosse stata letteralmente consegnata una nuova parte di realtà, noi siamo i primi che si trovano impreparati a gestirla”. Sofia mi ha spiegato come ritenga l’educazione digitale necessaria, oggi più che mai. Un punto di partenza potrebbe essere introdurre nelle scuole il tema, renderlo motivo di confronto e dibattito. Cita un’iniziativa dal basso, l’associazione Virgin & Martyr: il gruppo è nato su Instagram e si dedica alla divulgazione e all’educazione sessuale e digitale.
E per i tardivi digitali? “Non è necessario insegnare come utilizzare internet a tutti. Prima bisognerebbe capire l’utilizzo che si desidera farne. Mi vengono in mente i miei nonni ai quali un po’ di anni fa per Natale abbiamo regalato un iPad. Ad un certo punto mi ha fatto molto ridere capire che mia nonna non cogliesse proprio il concetto di condivisione pubblica, pensava per esempio che le cose che scrivevo su Instagram fossero indirizzate a lei e mi chiedeva come mai usassi l’inglese”. Se hai chiaro lo scopo e le conoscenze di base è assolutamente sensato approfondire lo strumento specifico, anzi diventa necessario se utilizzato nella vita quotidiana o per lavoro. Altrimenti forse non è per tutti necessario convertirsi alla digitalizzazione.
Alla domanda come senti la responsabilità da influencer, Sofia risponde che il concetto non si associa necessariamente alla possibilità di rendersi socialmente utili. Ogni individuo, che per un motivo o per un altro ha acquisito visibilità, dovrebbe essere legittimato a rimanere sul proprio linguaggio e sui contenuti che fa suoi. “Se esprimi un’opinione su un tema di attualità va benissimo perché stai dicendo la tua, consapevole che probabilmente tantissime persone non saranno d’accordo con te. Puoi invece scegliere di rimanere sui tuoi temi e va benissimo comunque. Invece diventare paladini per attivismo performativo rischia di essere meno costruttivo”.
Questo sposta l’argomento sull’emergere di fenomeni di snobismo culturale che tendono a concepire come minore tutta la cultura popolare e generazionale, soprattutto se veicolata con strumenti nuovi, tra virgolette, come i social. Sul tema, Sofia si trova molto a suo agio, l’etichetta di “culturalmente appropriato” non le appartiene. “L’importante è che il passaggio di informazioni funzioni: l’espressione dev’essere genuina ma inclusiva e accessibile”. In Venti, i piani intellettuali e accademici sono sapientemente mescolati con momenti meno strutturati. Il mix nasce dalla crasi dei due mondi delle sue creatici, Sofia Viscardi e Irene Graziosi, due figure dai retaggi e dalla formazione culturale diversa.
“È come se ci fosse stata letteralmente consegnata una nuova parte di realtà, noi siamo i primi che si trovano impreparati a gestirla.”
Alla domanda su quali contenuti tenga più a trattare e divulgare, risponde che a interessarle di più sono piuttosto le modalità. In particolare il format del podcast, da poco sperimentato con Senti20, permetterebbe all’influencer di affrontare la comunicazione in una forma più rapida e meno impostata. “Siamo veramente tre amici che si siedono intorno a un tavolo per confrontarsi, solo che ci sono dei microfoni e la discussione è legata a un tema specifico. Il fatto di non essere inquadrati da una videocamera ci permette di essere più rilassati, riusciamo a condividere in modo meno strutturato e programmato”.
Chiudo l’intervista chiedendo a Sofia come sia il suo rapporto con la propria immagine digitale. Nel farlo, le svelo che in un’intervista mi ha fatto sorridere che, nella sua gavetta da vlogger, abbia passato letteralmente ore a guardare la sua immagine per editare i video. Scrutare e studiare il proprio viso e le proprie espressioni può essere introspettivo, sebbene lo scopo sia dichiaratamente relazionale. “Forse è questa la vera difficoltà nello svolgere la mia professione, questo tipo di attenzione la definisco tossica e non ho ancora una soluzione, anche se intanto ne ho preso consapevolezza. È un lavoro che richiede una prestanza estetica impegnativa, mostrare la tua immagine su internet ti espone inevitabilmente al giudizio che, anche quando positivo, può avere la sua pericolosità”. Conclude dicendomi che anche questo aspetto dell’esperienza con i social andrebbe attenzionato, possibilmente includendolo nel processo educativo che si auspica venga sempre più esteso al digitale.