Abbiamo ancora bisogno degli influencer?

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Rivista Studio in basso per leggere il testo completo.

Non troppo tempo fa avevamo già rilevato che gli influencer così come li abbiamo definiti negli ultimi anni, con la loro vita perfettamente storiabile su Instagram, altro non erano che un residuo di un modo di fruire internet invecchiato piuttosto male in un tempo relativamente breve, un archetipo a cui la pandemia ha dato il definitivo colpo di grazia. Gli influencer sono esauriti, nel senso che non esercitano più l’attrattiva di qualche anno fa, un po’ perché tutto quello che rappresentano è stato messo in discussione da eventi che hanno rimodellato il nostro rapporto con il digitale, un po’ perché si sono esauriti per davvero, cercando di stare dietro all’algoritmo e alle sue richieste. Ma ragionamenti antropologici a parte, è interessante guardare a cosa sta succedendo nell’economia che agli influencer si affidava, a cominciare dal settore della moda, che per primo li ha accolti e resi popolari.

A guardare le campagne degli ultimi mesi, sono stati sempre di più i marchi che hanno deciso di affidare la loro comunicazione ad ambasciatori ben diversi dai soliti volti noti, orchestrando iniziative e collaborazioni che molto spesso si allontanano di molto dai prodotti che intendono pubblicizzare. È il caso, ad esempio, del progetto lanciato lo scorso maggio da Valentino con la designer di gioielli Betony Vernon, autrice del best seller The Boudoir Bible, brillante guida al sesso che racconta ed esplora con uno stile fresco e senza pregiudizi usi e costumi sessuali, dal BDSM ai giochi di ruolo fino all’uso dei sex toy. Non esattamente il link più scontato per la promozione di scarpe e borse.