Il cambiamento del mondo provocato dall’attuale mutazione ecologica solleva domande di dimensioni mitologiche. I miti non sono altro che le storie che ci raccontiamo in continuazione e che costituiscono la materia viva dei nostri modi di abitare il mondo. Nessuna collettività ne è immune. La proliferazione negli ultimi anni di testi delle scienze sociali e umane che invitano a raccontare nuove storie, affermano la necessità di narrazioni originali o descrivono il proprio approccio in questo modo, testimonia questo particolare momento storico. Le critiche rivolte loro per aver abbandonato ogni ambizione scientifica o politica ne fraintendono la natura. Queste proposte narrative vanno probabilmente pensati come tentativi di rinnovare la cornice mitica che ci costituisce di fronte all’implosione della grande narrazione della modernità. L’ambiguità concettuale che circonda questi termini (“narrazione”, “storia”), così come il loro statuto epistemologico e la loro scala temporale non ne testimonia l’inconsistenza, esprime piuttosto la difficoltà di parlare nuovamente il linguaggio del mito all’interno di una tradizione occidentale che si è costituita nella sua radicale opposizione a questo regime di verità. Opposizione che da molti punti di vista è solo presunta ed evocata, perché in realtà si tratterebbe anch’essa di una mitologia, anzi, seguendo Baptiste Morizot, si tratterebbe della mitologia “più spinosa” che egli stesso non esita a definire la “maledizione antropocentrica”: finzione tipica della modernità utile a chi ha inteso giustificare la “riduzione del vivente a merce per far circolare i flussi economici mondiali” (Baptiste Morizot, Manières d’être vivants, 2020,). Per autori come Baptiste Morizot o Philippe Descola, ma lo stesso potrebbe valere per Tim Ingold, il mito della modernità si è fondata sull’eccezionalità della specie umana (usiamo qui il termine “specie” in un contesto in cui il discorso biologico ha una forte presa, ma che, a rigore, la Modernità rifiuterebbe parlando invece, come nella tradizione feuerbachiana e poi marxiana, di “razza umana”, essendo l’umanità appunto non una specie in senso biologico), la “realtà” moderna sostituisce la “natura”, rendendola conforme a un ordine umano, a un “mondo oggettivo” delle potenzialità del genere.
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