Perché dobbiamo capire cos’è la ‘normalità’ della Fase 2

Il concetto di modello fallisce, si mostra inadeguato davanti alla pluralità di incertezze che dissestano il terreno sotto i piedi dell’uomo. L’ottusa certezza oggi come mai cede il posto ad una sola e commovente speranza: la forza dell’unione, e niente più: “Nessuno si salva da solo”.

La scienza e la politica davanti a questo possono verificare attraverso metodo empirico le falle di un sistema esistente e creare una nuova ipotesi che si dirami nelle linfe del benessere dell’uomo in egual misura, non rappresentabili solo dalla ricchezza di una società produttiva, avanzata, all’avanguardia. Urge una nuova ipotesi di sostenibilità, di orizzonte, di prospettiva ammettendo il limite della sostenibilità decantata fin ora.

I valori comunitari del progetto Strategia Europa 2020, sviluppata dal 2010 fino oggi, si traducono con tre parole chiave: intelligenza, sostenibilità e inclusione. L’Unione Europea ha investito ingenti somme verso un Europa che si riprogettasse incarnando i seguenti valori. Poiché l’Europa spazialmente concentra il 70 % della sua popolazione in centri urbani che a loro volta rappresentano il 70 % del territorio, va da sé comprendere come gli sforzi si siano indirizzati in modo proporzionale nei centri urbanizzati che accentrano la percentuale maggiore del PIL.

Porgiamo l’attenzione sul senso di questa parola, sostenibilità, utilizzata fino ad abusarne il suo significato, che si declina a livello internazionale in tre aree: sostenibilità economica, ambientale e sociale. Quale economia è sostenibile? Una delle possibilità in atto sembrano essere le precarie strat up di giovani innovatori che trovano innovative idee per nuovissimi e lucidi progetti spendibili o co-progettabili con multinazionale tecnologiche che detengono il potere più grande del XXI secolo: detentori di informazioni, di database, dunque il monitoraggio sulle masse.

Era chiaro già negli anni ‘70 che la legge della tecnica domina le scelte delle autorità e prende il sopravvento su vecchi parametri di giudizi: cosa è giusto e cosa è sbagliato. Il tecno-centrismo ormai impone il suo dominio e i suoi principi e le sue domande. Cos’è utile, cos’è inutile.

Oggi, maggio 2020 raccogliamo i frutti delle contraddizioni e delle perdite di questo sistema. Contraddizioni della rincorsa al progresso e perdita di significati comunitari. Contraddizioni di progetti sostenibili tradotti in sistemi urbani Smart e tecnologici, con bassi impatti ambientale. La perdita del significato ambiente, che travalica nella realtà il limite fisico dell’amministrazione del comune, ma che riguarda l’eco- sistema. Eppure i teatrini conflittuali tra regioni e regioni continuano.

Il confine e il limite si sono scambiati, si sono confusi nel miraggio della civiltà interconnessa ad oggi raccontata nei deserti delle strade, delle piazze e nelle bare dei cimiteri.
Si cercano colpe, assassini, complotti. Trame di nuovi giochini televisivi, occasioni di nuovi sharing. L’endemia è diventata pandemica quanto i limiti di una politica globale che porta la sua bandiera con il modello occidentale.

L’endemia è diventata pandemica quanto i limiti di una politica globale che porta la sua bandiera con il modello occidentale

Il Caos regna sovrano, in cerca di giustizia e di untori. Trump contro la Cina, l’Italia contro la Lombardia, l’Inghilterra contro Boris Johonson. La vicina di casa contro la studentessa fuori sede conscia che la spumeggiante Milano ha chiuso le saracinesche delle sue funamboli, potenti e attraenti vetrine di vita.
Alle elementari mi insegnarono un procedimento logico che mi sarebbe stato utile per il resto della mia vita per spiegare un accadimento: Fatto causa conseguenza. Forse non abbiamo capito qual è il fatto di partenza.

Io parto da qui: dagli spazi plasmati e organizzati secondo utilità. La logica dell’alta funzionalità e dell’efficienza, in nome dell’ideologia tecnologica produttiva, ha creato scarti, e forme di polarizzazione di potere nel contesto italiano tra spazi vuoti e pieni. Agglomerare ricchezze in un punto, senza legge etica e senza morale. Dunque da qui accade che la vicinanza promiscua non necessaria ma utile tra animali e uomini. Il confine che supera il limite. Ma questo accade per una disuguaglianza sociale, dunque quei baracchini che vendono animali in Cina per guadagnare sono costretti a questa stretta vicinanza, disumana, ma utile.

Dagli spazi fragili sono tornate forme spontanee di socialità. La natura dei luoghi porosa, nell’accezione di Benjamin nelle Immagini di città, per cui le arcate, i cortili e le scale diventano occasione di luoghi di incontro o di nascondiglio per la povertà, e per la miseria ma anche per la comunità, passione per l’improvvisazione e spazi di teatralità.

Il ritorno in vita di questi luoghi si intreccia ad una possibilità diversa dell’esistenza, che travalica la condizione privata ma che necessità di trovarsi in riti di comunità, flessibile, permeabile e mutevole. Diego Bianchi ogni venerdì lo mostra su La 7, dove i suoi racconti possibili avvengono all’interno del suo condominio, che sfugge a qualsiasi tipo di regolamentazione. Bisogna scegliere da che fatto partire.

Questo sistema che ha consentito il dilagare di un parassita, invisibile eppure letale, che ha rubato la nostra velocità restituendoci l’immobilità

Possiamo scegliere di non partire da un discorso sfuggente, frammentario e caotico della condizione emergenziale, ma dal sistema a cui appartiene questo mondo viscoso scivolato inevitabilmente nell’emergenza. Si tratta di quella linea politica europea, che ha plasmato spazi mobili da attraversare e tempi veloci da consumare, per cui tutto è sfuggito di mano, anche oltre i confini fisici e immaginabili. Questo sistema che ha consentito il dilagare di un parassita, invisibile eppure letale, che ha rubato la nostra velocità restituendoci l’immobilità da arresti domiciliari. Parlare di sistema può ripartire democraticamente il fallimento di alcuni aspetti di questa società e la vittoria di altri concentrati negli effetti del Covid-19. Ha posto la cittadinanza davanti alla scelta dell’essenzialità che è in primis lavoro.

Pugni battuti contro sportelli bancari, lavoratori in Smart Working, le acciaierie venete che in autonomia senza controlli hanno deciso di continuare a lavorare, raccontano questo e altro. L’altro è certamente il buon uso della tecnologia. Un mezzo che richiama la sua mera utilità per la mancanza di incontri, di vicinanza, di socialità che nell’assenza delle sue ritualità da oggi riacquista dignità come un valore essenziale.

La violenza del cambiamento delle nostre vite si ricongiunge a quella del sistema in cui navigavamo, la fragilità contrattuale con i lavoratori a nero, il radicalismo individuale, la smaterializzazione dei flussi economici, l’egida legge del profitto, gli incontri oscuri di internet, la privatizzazione dei luoghi comuni, i premi per le corse, nell’assenza di una giustizia sociale.

Oggi si parla di sospensione, è invece continuità, consequenzialità di un sistema non più sostenibile, di scelte politiche inadeguate per un sistema che sostenga i cittadini. Ci lasciano credere questo e passivamente lo si crede, nella persa pratica di allenare la coscienza cercando di mutare l’esperienza in consapevolezza che sappia legare e valutare il passato e il presente, un altro inganno.

L’emergenza è spaziale

La condizione emergenziale è un’altra conseguenza del sistema vigente prima del Covid-19. Il divario dei sistemi sanitari più forti e più deboli si spiega nell’esiguità di fondi statali ordinari ai comuni con meno servizi poiché condannati sulla valutazione della spesa storica, per cui vengono versati finanziamenti in base alla spesa e al numero di servizi, criteri che affossano le differenze, anziché limarle. Questo è stato raccontato a Report l’11 novembre attraverso un reportage sui servizi essenziali (i LEP), che avrebbe legittimato per sempre una disparità tra Nord e Sud: in questo modo bisognava arrivare tutti allo stesso livello ma senza gli stessi mezzi?

L’Italia per livellarsi con gli altri stati europei, ha sacrificato i suoi servizi essenziali, piegando il valore del territorio in termini di un unico regime di produttività, non secondo una giustizia sociale e territoriale. Così Strategia Europa 2020 sembra non aver mantenuto le sue ambiziose promesse di uno sviluppo armonioso ed equilibrato e di un elevato grado di convergenza e di solidarietà tra gli Stati membri. Il processo europeo di integrazione si è alimentato nella convinzione che non fosse necessario prevedere diversi modelli di sviluppo tra le regioni più ricche e quelle più arretrate.

Aver trasformato il territorio in sistema produttivo ha agevolato il trattenersi del virus nelle polveri sottili proprio in quelle regioni che nel 2019 rappresentavano il 40 % del PIL totale italiano: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Inoltre lo Svimez nel suo rapporto del 4 novembre “ Il mezzogiorno nella nuova geografia europea delle disuguaglianze” fotografa la situazione economica del Sud Italia da cui emerge che i processi di agglomerazione nei siti urbani hanno prevaricato sulla diffusione delle opportunità di crescita economica e sviluppo sociale.

La miopia politica ha prodotto di conseguenza una forma di infantilizzazione del Paese per sopperire a mancanze molto più remote, affidandoci nelle mani degli “eroi” e della polizia, con una retorica televisiva che schiaccia la complessità odierna, incoronata dallo slogan “stare a casa” La condizione emergenziale oggi si rivela spaziale. Dunque si ravvede la necessità di riequilibrare gli spazi tra di noi civili, tra le nostre regioni, nei nostri spazi economici e sociali, non svuotarli e bloccarli.

Un altro cliché si insinua come certezza nel nostro pensiero in modo automatico, come un algoritmo, che tutto questo è solo una parentesi. Che anche il tempo come lo spazio è segmentato secondo la logica violenta che scarta il tempo produttivo e quello che non lo è, perdendo coscienza dell’eco. E che semplicemente ci vuole una mascherina e delle misure di distanziamento. Sembra questa la soluzione che sa più di riduzionismo.

La violenza con cui i nostri corpi sono intorpiditi nel limite dei 200 metri, di non poter lavorare, presto si modellerà nella violenza del ritorno alla normalità.
 L’occasione di questa situazione sembra quella dell’otium letterario predicato, ma poco credibile poiché agisce in modo diverso tra i ricchi e tra i meno abbienti nel riordino della routine quotidiana.

Tra poco inizia la Fase 2, quella che si avvicina alla “normalità”. Quale?

Tra poco inizia la Fase 2, quella che si avvicina alla “normalità”. Quale?
 L’occasione è quella di ri-immaginare valori comunitari e sociali, prima che normalità diventa normativa senza consensi: incontrarci, sederci a tavolini ed essere consapevoli che la letalità non è fisica ma spirituale, morale e politica. Dal vuoto si può immaginare la pienezza, nell’assuefazione della pienezza si percepisce il vuoto.

L’occasione di questa pandemia potrebbe essere tale riflessione. Se un virus ha violato le nostre libertà rendendoci capaci di spingerci a cambiare le nostre abitudine fin dove non ci saremmo mai spinti, allora dobbiamo attuare un cambiamento sistematico che accolga tutti nessuno escluso, poiché mai come oggi siamo consapevoli di saper cambiare tutto, se è richiesto. Allora si può cambiare anche il periodo ipotetico. Cambiare sì, se è giusto. Dunque invertire il punto cardine e il parametro di formulazione delle domande politiche e giornalistiche per approdare ad un nuovo parametro di giudizio se si vuole soddisfare equamente tutti: cos’è giusto fare.

Fabrizio Barca nel 2019 aveva già parlato del rafforzamento di sistemi interstiziali economici più equi schiacciati dallo strapotere di quello neoliberista eppure presenti, eppure vivi, eppure possibili attraverso riflessioni poste nel Forum Disuguaglianze Sociali da lui ideato.

Cosa manterremo, cosa lasceremo ricordare, quanto lasceremo aperto il cancello di questa memoria. Non è una parentesi, non è un momento, continua ad essere e a fluire nella nostra storia: un virus ha svelato la mal sanità di questo sistema con numeri, mostrando le sue fragilità e nefandezze.

Dalla debolezza e dalla fragilità si deve iniziare a programmare per non escludere nessuno. La speranza si legge nel margine di (non) azione dato dal momento: la schiacciante e incontrovertibile responsabilità del cittadino di cambiare le sorti di un paese. È emerso che ognuno è responsabile di creazione e devastazione, in egual misura. Non c’è potere più alto che potesse determinare le sorti di questo momento, se non quello di ogni cittadino di rispettare il prossimo. Davanti a questo senso di responsabilità e di riconoscimento di potere, inteso come capace di, in divenire si deve partire, si deve far leva, di deve poter partecipare ad un progetto comunitario, in cui i responsabili ritornino ad essere creatori di vita comunitaria, i cittadini.