La Russia perde la faccia, l’Europa perde la Russia. E le persone perdono ogni tutela
Quali saranno le conseguenze di lungo termine del conflitto tra Russia e Ucraina? Come si ridefiniranno gli equilibri politici interni alla Comunità Europea, nel quadro di mutati equilibri geopolitici globali? L’esplosione del conflitto ha rapidamente polarizzato il dibattito in tutti i paesi europei, consolidando opposte visioni degli eventi in corso. cheFare e il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università di Bergamo hanno deciso di sviluppare, nel quadro di un progetto di Terza Missione, un percorso editoriale che intende interrogare il nostro tempo, analizzando le sfide sociali e culturali che la guerra pone al continente europeo e al suo futuro. Autrici e autori con diversa formazione ed estrazione culturale ragioneranno di istituzioni comunitarie, di equilibri migratori, di geopolitica, di politiche energetiche, di crisi ambientale, di economia, di culture europee.
Almeno dall’inizio del corrente anno, e poi in misura ancor maggiore dall’avvio della cosiddetta “operazione militare speciale” russa contro l’Ucraina, agenzie di stampa e media nazionali svolgono abbondanti riferimenti quotidiani all’operato di organizzazioni internazionali, quali Unione Europea, NATO od OSCE, cercando di interpretare il ruolo che esse ricoprono, o potrebbero ricoprire, nell’attuale conflitto. Meno frequente – se non del tutto assente – nella gran parte di questa riflessione, è invece il riferimento ad un’altra organizzazione internazionale, pur fondamentale in questo contesto, ovverosia il Consiglio d’Europa.
In ambito europeo, il Consiglio d’Europa è l’organizzazione internazionale che, per spirito, competenza, ed autorevolezza, meglio d’ogni altra è posizionata per tutelare e promuovere i diritti fondamentali delle persone. Il suo mandato è infatti finalizzato a promuovere la democrazia, il rispetto per lo stato di diritto e i diritti umani. Proprio per questo, le evoluzioni rapidamente succedutesi in seguito all’aggressione militare perpetrata dalla Federazione Russa ai danni dell’Ucraina, stimolano ad interrogarsi – con non celata preoccupazione – circa i rapporti tra il Consiglio d’Europa e la Russia stessa e, soprattutto, circa gli effetti derivanti dall’improvvisa esclusione di quest’ultima dall’organizzazione.
Nel discorso tenuto il 4 maggio 2022, la Segretaria Generale del Consiglio d’Europa Marija Pejčinović Burić, dopo aver esortato gli Stati membri dell’organizzazione a rinnovare il loro impegno nella tutela dei diritti fondamentali, avendo fermamente condannato l’aggressione russa ed espresso solidarietà all’Ucraina ed al suo popolo, ha dichiarato che l’esclusione della Russia dal Consiglio d’Europa è stata inevitabile, evidenziando che ciò avrà un costo per gli stessi cittadini russi per i quali, proprio in conseguenza della citata esclusione, “il 2022 sarà l’anno in cui perderanno la protezione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” (di qui innanzi, CEDU). La Segretaria Generale ha descritto quanto accaduto come “un avvertimento per tutti noi”, aggiungendo che “ciò che è accaduto una volta può accadere di nuovo”.
Un ammonimento, questo, che incute timore; e non tanto per la deterrenza che esso dovrebbe provocare nei confronti degli Stati, quanto per la mancanza di protezione per le vittime delle più gravi violazioni dei diritti fondamentali che ogni espulsione, inclusa quella della Russia oggi, potrebbe comportare.
L’esclusione della Russia dal Consiglio d’Europa
Con reazione pressoché immediata all’aggressione russa, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa già il 25 febbraio decideva di ricorrere all’Art. 8 del proprio Statuto, rinvenendo nell’operazione militare così iniziata un’azione gravemente contraria ai principi dell’Organizzazione, e così sospendendo la Federazione Russa.
Il successivo 15 marzo, il governo russo comunicava al Segretario Generale dell’Organizzazione che la Federazione Russa avrebbe esercitato il proprio diritto di ritirarsi dal Consiglio d’Europa ai sensi dell’Art. 7 dello Statuto e, con ciò, informava altresì della propria intenzione di porre fine alla propria partecipazione alla CEDU.
Il giorno stesso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa adottava un’Opinione (ovverosia un parere emesso dietro richiesta del Consiglio dei Ministri) secondo cui la Federazione Russa non avrebbe potuto continuare ad essere uno Stato membro dell’Organizzazione. Per l’effetto il 16 marzo, con misura che non conosce precedenti nella storia del Consiglio d’Europa, il Comitato dei Ministri adottava un proprio atto (una Risoluzione) con cui determinava l’immediata estromissione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa.
Sulla scorta di tale decisione, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (di qui innanzi, CtEDU) adottava il successivo 22 marzo una propria Risoluzione “sulle conseguenze della cessazione della Federazione Russa dallo status di membro del Consiglio d’Europa alla luce dell’Art. 58 della [CEDU]”.
Siffatte risoluzioni, della massima gravità nel sistema regionale di tutela dei diritti umani, venivano senz’altro adottate al fine di evidenziare e, per quanto possibile, contrastare l’altrettanto eccezionale gravità dell’attacco armato sferrato dalla Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina, peraltro anch’essa Stato membro del Consiglio d’Europa; e, bisogna riconoscerlo, venivano adottate in una sorta di “gara di velocità” (oltre che di autorità) nei confronti di uno Stato che già aveva manifestato la propria volontà di abbandonare il Consiglio d’Europa. In tale contesto, la decisione di espellere la Federazione Russa, prima che essa potesse lasciare l’Organizzazione alle proprie condizioni, ha senz’altro un significato simbolico ed è stata molto probabilmente inevitabile.
D’altro canto, più di recente, la Federazione Russa è stata altresì sospesa dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, con Risoluzione dell’Assemblea Generale, proprio in ragione delle “gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani” di cui si è resa e si sta rendendo responsabile nel corso delle proprie operazioni militari in territorio ucraino.
Se da un punto di vista di relazioni internazionali, rapporti tra Organizzazioni internazionali e Stati, reputazione e credibilità, azioni di questo genere possono avere un impatto, anche significativo, nei confronti dello Stato che ne è destinatario, resta però da chiedersi cosa ciò implichi per le persone – russe e non – e per la tutela dei loro diritti fondamentali, soprattutto quando – come nel presente contesto – essi appaiono essere più bisognosi di protezione.
Il bisogno di protezione e tutela dei diritti umani
All’inizio del corrente anno, i ricorsi pendenti contro la Federazione Russa avanti la CtEDU per lamentate violazioni di diritti umani erano 16.966. Negli ultimi tre anni, la CtEDU aveva adottato nei confronti della Federazione Russa una media di circa 585 sentenze ogni anno (su un totale di circa 10.321 ricorsi annui avverso la Federazione Russa, molti dei quali non decisi con sentenze “nel merito” per varie ragioni, tra cui questioni inerenti all’inammissibilità di molti di questi ricorsi). Moltissime di queste sentenze hanno avuto ad oggetto violazioni dei più fondamentali diritti dell’uomo, ivi incluse uccisioni arbitrarie, assassinii, sparizioni forzate, massacri, torture o trattamenti inumani o degradanti, illegittime privazioni della libertà, anche in contesti di conflitto armato.
Soprattutto negli ultimi anni, la CtEDU ha avuto altresì modo di esprimersi su ricorsi promossi nei confronti della Russia da altri Stati Membri del Consiglio d’Europa, anche in questo caso, persino inerenti ipotesi di conflitto armato.
Ebbene, contro la Federazione Russa sono attualmente pendenti avanti la CtEDU ben quattro ricorsi “interstatali” promossi dall’Ucraina, oltre ad un ulteriore caso promosso sia dall’Ucraina, sia dai Paesi Bassi, e due altri ricorsi “interstatali” attivati dalla Georgia. Restano inoltre pendenti avanti la CtEDU circa 8.500 ricorsi individuali inerenti violazioni dei diritti fondamentali di cui viene accusata la Federazione Russa e perpetrate nei territori della Crimea e dell’Ucraina dell’Est, e circa altri 600 ricorsi individuali relativi alle violazioni dei diritti umani avvenute nel contesto del conflitto tra Georgia e Russia nel 2008. Significativamente per l’attuale contesto, uno dei procedimenti “interstatali” che vedono opposti l’Ucraina e la Russia concerne proprio le sistematiche violazioni della CEDU di cui la Federazione Russa è accusata per le condotte poste in essere in Crimea a far data dall’annessione di questo territorio nel 2014.
Peraltro, la stessa Federazione Russa ha recentemente promosso un ricorso, attualmente pendente, avverso l’Ucraina (App. n. 36958 / 21), a proposito di svariate uccisioni arbitrarie, sparizioni forzate, e deportazioni ai danni della popolazione russofona in territorio ucraino.
Ora, la freddezza delle cifre può forse nascondere le atroci sofferenze personali, collettive, umane che informano ciascuno di questi ricorsi; i dati riportati tuttavia evidenziano il bisogno imprescindibile di giustizia sotteso a queste innumerevoli istanze: il bisogno che esista e sia applicabile uno strumento internazionale di promozione e tutela dei diritti dell’uomo (quale la CEDU), nonché un foro (quale la CtEDU) dove quei diritti possano essere fatti valere, ove possano esserne accertate le violazioni, e dove gli Stati ritenuti responsabili possano essere condannati ad adottare misure di riparazione nei confronti di vittime e sopravvissuti.
Gli effetti dell’espulsione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa
Stando alla già citata Risoluzione della CtEDU in data 22 marzo, “la Federazione Russa cesserà di essere un’Alta Parte Contraente della Convenzione il 16 settembre 2022”, in applicazione del termine semestrale previsto dall’Art. 58 CEDU. Secondo la medesima Risoluzione, dunque, la CtEDU manterrebbe la propria competenza a decidere non solo su tutti i procedimenti già pendenti avverso la Federazione Russa alla data del 16 marzo, ma anche su tutti gli ulteriori ricorsi che verranno presentati contro tale Stato fino al 16 settembre 2022.
Questa interpretazione dell’Art. 58 CEDU non è tuttavia pacifica e, essendo questa la prima circostanza in cui tale disposizione viene invocata in relazione ad un’espulsione dal Consiglio d’Europa, non esiste al riguardo una prassi che possa indicare in modo concludente se la tesi sostenuta dalla stessa CtEDU sia o meno corretta. Sarebbe infatti possibile sostenere che, avendo effetto immediato l’espulsione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa, la medesima immediatezza dovrebbe caratterizzare anche la cessazione degli effetti della CEDU nei confronti della Russia, ai sensi del paragrafo III del citato Art. 58.
La problematica ha risvolti pratici – evidentemente – di enormi proporzioni, e ciò in relazione sia a tutti i procedimenti già pendenti, sia alle gravissime violazioni dei diritti umani che ogni giorno vengono perpetrate nel contesto dell’attuale conflitto. Infatti, laddove si consideri già cessata la competenza della CtEDU a conoscere e decidere ricorsi nei confronti della Federazione Russa, allora tutte le attuali e future istanze di tutela dei diritti umani avverso condotte attribuibili a quello Stato risulterebbero vanificate.
Ebbene, una prima indicazione su come la Federazione Russa abbia interpretato la disposizione in oggetto è già in realtà rilevabile. Se, infatti, in occasione di una prima serie di misure cautelari adottate dalla CtEDU in relazione all’attuale conflitto armato in data 1 marzo 2022, la Federazione Russa si era dimostrata partecipe in una significativa interlocuzione con la Corte, facendo seguito all’espulsione del 16 marzo lo Stato ha cessato di offrire qualsivoglia replica nell’ambito del procedimento che ha indotto la CtEDU ad ampliare, in data 1 aprile, il novero e la portata delle misure cautelari precedentemente adottate, anche al fine facilitare l’evacuazione di civili dal teatro delle ostilità. Come prevedibile, dunque, lo Stato ha assunto una posizione diametralmente opposta rispetto a quella della Corte fornendo una forte indicazione che, di qui innanzi, la Federazione Russa cesserà di prendere parte a qualsivoglia procedimento la riguardi avanti la CtEDU.
Abbandonati a se stessi
Può sostenersi, come si è sostenuto, che il danno in immagine, reputazione e credibilità derivante ad uno Stato dalla sospensione od esclusione da Organizzazioni internazionali possa effettivamente esercitare una pressione significativa, tale da indirizzare congiuntamente ad una serie di fattori ulteriori, le scelte di quello Stato finanche in materia bellica. L’auspicio, nel caso che ci occupa, è evidentemente che ciò avvenga e che, per l’effetto, l’esclusione dal Consiglio d’Europa della Federazione Russa possa essere un fattore utile a favorire una più rapida conclusione del conflitto.
Nell’attuale contesto, però, questa speranza non può non essere accompagnata da una terrificante constatazione e un altrettanto cupo presagio.
Per quanto ancora parzialmente ignote, infatti, le conseguenze dell’estromissione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa, con particolare riferimento all’efficacia ed applicazione della CEDU per le condotte di questo Stato (passate e future), potranno avere ricadute devastanti per le persone, i cui diritti fondamentali resteranno senza protezione, tutela, e possibilità di riparazione: proprio ora, proprio nel mezzo di un conflitto armato dove i civili vittime delle più atroci brutalità si contano già nell’ordine delle decine di migliaia.
Sì, perché, contrariamente a quanto apprezzato da Luigi Di Maio (allora a capo del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa), Tiny Kox (presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa) e Marija Pejčinović Burić (Segretaria Generale del Consiglio d’Europa) nel loro comunicato congiunto del 15 marzo 2022, l’esclusione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa – per quanto attribuito alla responsabilità dello Stato stesso – non priva soltanto “il popolo russo dei benefici del più avanzato sistema di protezione dei diritti umani al mondo” (ed anche se così fosse, peraltro, la tragedia per le persone che compongono quel popolo sarebbe immensa); ne priva in realtà tutti noi: qualsiasi essere umano il godimento dei cui diritti dipenda dalle condotte della Federazione Russa, non potrà più avvalersi delle garanzie previste dalla CEDU, né dell’accesso a quel fondamentale rimedio giurisdizionale che la CtEDU rappresenta. E ciò, in questo momento, comprende in primis le persone che stanno soffrendo direttamente le disumane conseguenze del conflitto in corso, che così non solo si ritrovano nel mezzo di una guerra, ma vi si ritrovano senza potersi avvalere del pur fragile scudo costituito dalla tutela internazionale dei diritti dell’uomo.
Da qui la sensazione di trovarsi, oggi, a vivere un momento storico che rappresenta un netto spartiacque ed il nefasto presagio che, in carenza di uno sforzo che eviti l’ulteriore polarizzazione delle attuali posizioni nel tentativo, serio e credibile, di negoziare una cessazione del conflitto e il più rapido ritorno della Federazione Russa entro l’alveo del Consiglio d’Europa, tale spartiacque possa rappresentare la definitiva conclusione di un sogno di “famiglia paneuropea” retta da comuni diritti fondamentali, egualmente protetti dalla CEDU e monitorati, oltre che vendicati in caso di violazione, dalla CtEDU.