cheFare ha intervistato il prof. Giovanni Maria Riccio, docente di Diritto d’autore presso l’Università di Salerno, sulla nuova controversa direttiva sul copyright (qui il testo approvato). Già bocciata lo scorso luglio la riforma è passata due giorni fa in una versione modificata durante una sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo.
La direttiva sul copyright è stata approvata tra molte polemiche. Qual è la sua opinione al riguardo?
Il dibattito sulla direttiva si è polarizzato tra titolari dei diritti ed editori, da un lato, e gestori delle piattaforme, dall’altro. A mio avviso, alla fine di questa (inutile) guerra, non ci sono né vincitori né vinti. La narrazione dei buoni (incarnati dalle imprese editoriali italiane) contro i cattivi colossi americani è quanto meno discutibile e non credo colga la realtà dei fatti.
Cosa cambia con l’approvazione della direttiva?
Si è letto da più parti che la direttiva cambierà radicalmente il mondo in cui siamo abituati a pensare e a usare internet. Non so se questa opinione sia fondata, ma ritengo che sarebbe prudente attendere. Non dimenticherei, infatti, che la direttiva necessita di una legge di recepimento e che, in sede di recepimento, sebbene si debbano rispettare gli obiettivi della direttiva, sia possibile apportare delle modifiche al testo comunitario, modifiche che potrebbero essere anche molto rilevanti.
Le norme che hanno catalizzato maggiormente l’attenzione sono l’art. 11, che introdurrà un equo compenso a favore degli editori, in caso di riutilizzo di articoli giornalistici, anche in forma breve (i famosi snippet), e l’art. 13, che introdurrà degli obblighi di filtraggio in capo ai gestori delle piattaforme, come YouTube. Il mio timore, tuttavia, è che i rimedi adottati possano essere peggiori del male.
Che cosa vuol dire?
Guardiamo a quanto è già avvenuto in Spagna, quando è stata introdotta una legge sulla link-tax, simile all’art. 11. Google News ha chiuso; successivamente, le notizie aggregate sono state fornite da società stabilite in Sudamerica (e, quindi, non soggette all’applicazione territoriale della legge). Il rischio, con la direttiva, è che accada lo stesso in tutta Europea.
I possibili scenari sono, essenzialmente, due. Facebook, Google & Co. creeranno le proprie agenzie e faranno diminuire il traffico di utenti (e, di conseguenza, gli investimenti pubblicitari) verso i giornali; alternativamente, potrebbero utilizzare agenzie di stampa stabilite fuori dall’Unione europea, con un evidente svantaggio concorrenziale per le imprese europee. Insomma, se fossi un editore, sarei prudente nel cantare vittoria oggi.
Invece, per l’art. 13?
In questo caso, il discorso è forse più complesso. È indiscutibile che lo scenario tecnologico sia radicalmente differente rispetto a quello che aveva portato alla direttiva sul commercio elettronico, che prevedeva esenzioni di responsabilità per gli operatori di internet, laddove si limitassero a svolgere un ruolo tecnico e meramente passivo. Mi sembra legittimo attendersi una cooperazione da parte delle piattaforme, ma, anche in questo caso, gli effetti della norma potrebbero essere dirompenti. Innanzi tutto, i sistemi di filtraggio potrebbero essere addirittura superiori a quelli adottati da YouTube con il Content ID. Ho assistito ad alcune presentazioni dei sistemi di identificazione delle opere da parte di Google e ciò che mi ha sempre colpito è la complessità del loro funzionamento: sono sistemi, in altre parole, non alla portata di tutti gli operatori e che rischiano di peggiorare una situazione nella quale solo pochi operatori potranno rimanere sul mercato. È un rischio che, in tanti, abbiamo segnalato da tempo, ma che, evidentemente, è rimasto inascoltato. L’augurio, ovviamente, è di aver sbagliato e che abbiano ragione i titolari dei diritti.
Alcuni commentatori hanno scritto che la direttiva pregiudicherebbe la libertà di informazione. Cosa ne pensa al riguardo?
Nel corso di questi mesi, ho maturato il convincimento che il dibattito, per una volta, non sia tra apocalittici e integrati, ma tra fazioni che hanno assunto toni opposti, ma parimenti apocalittici. Personalmente, non vedo un rischio reale di contrazione alla libertà di informazione. Quello che si potrebbe dire, però, è che la direttiva rischia di limitare il traffico verso la stampa tradizionale e che ciò, forse, potrebbe abbassare il livello della qualità dell’informazione. Allo stesso modo, non posso non osservare che la qualità non sia stata una delle preoccupazioni del legislatore europeo: basti pensare al fatto che l’equo compenso, ai sensi dell’art.11, è dovuto per qualsiasi notizia giornalistica e, quindi, anche per eventuali fake news. Insomma, non vedo né la morte di internet, né il paradiso per gli autori che, come spesso avvenuto nelle direttive comunitarie, beneficeranno di pochissimi vantaggi economici.
Quali sono gli scenari futuri?
Difficile preconizzare scenari futuri, anche perché, sebbene in tanti si siano affrettatti a commentare la nuova direttiva, il lavoro di interpretazione delle regole giuridiche è (e dovrebbe essere) lento, frutto di un naturale processo di sedimentazione delle idee. D’altro canto, occorre aspettare, da un lato, le leggi nazionali di recepimento (con il governo italiano che ha già dichiarato guerra alla direttiva) e, dall’altro, l’interpretazione dei giudici, nazionali e comunitari: l’esperienza, anche in materia di copyright, ci insegna che, in sede applicativa, le norme giuridiche possano essere radicalmente ripensate.
Immagine di copertina: ph. Sebastiaan Stam