I diritti negati nel Mezzogiorno sono una storia di oppressione sistemica di tutte e tutti

Se è vero che narrazioni facili dei territori campani, a volte pietistiche a volte sensazionaliste, ancora impazzano sui media, nel corso degli ultimi anni Napoli si è invece rivelata un’effervescente, per quanto contradditoria, fucina di idee, pratiche sociali e politiche innovative.

Roccaforte resistenziale (delle Quattro Giornate del 1943 si è sempre parlato poco e male), capitale rivoluzionaria e centro delle mobilitazioni studentesche e operaie, il capoluogo partenopeo – come la Campania nel suo complesso – vanta una storia intellettuale e politica radicale, e poco nota ai non addetti ai lavori. Ancora meno conosciute al pubblico mainstream sono le radici campane di tante battaglie per i diritti civili, e di identità e modi di vivere che sfidano gli stereotipi di genere: dalle azioni delle Nemesiache di Lina Mangiacapre alla ricca e variegata tradizione delle “femminelle”, le eredità del femminismo e delle comunità etero-dissidenti locali ancora aspettano di divenire, a pieno titolo, patrimonio comune.

Si innerva in questo groviglio complesso di Storia e di storie, la sfida di Connettere i Puntini, oltre che dalla convinzione che il Meridione, periferia geo-economica ma non certo politica, sia il punto di partenza obbligato di chi ripensa e reclama diritti negati.

Progetto di innovazione sociale, culturale e politica, Connettere i Puntini si ispira all’idea che una società che non tutela i diritti di tutte e di tutti, non garantisce i diritti di nessuno e di nessuna. Eppure le grandi lotte di giustizia sociale, economica e ambientale, e quelle in difesa delle rivendicazioni delle donne, delle comunità LGBTQAI+, delle minoranze etnico-religiose, sono spesso percepite come concettualmente distinte, e politicamente separate. Coinvolgendo gruppi campani impegnati su questi diversi fronti in una serie di incontri di discussione e formazione, l’iniziativa mira, quindi, a creare tra loro contaminazioni e future sinergie. L’obiettivo è riflettere insieme sui nessi e le intersezioni tra le esperienze delle varie realtà locali (appunto, connettere i puntini), creando uno spazio di scambio e dialogo tra realtà, percorsi e persone che, sebbene provenienti da movimenti sociali diversi, condividono il desiderio di un futuro più giusto, libero ed equo per i loro territori.

A coordinare il progetto, lanciato a luglio 2019 e ancora in corso, sono attori piuttosto diversi: il laboratorio di mutuo soccorso Zero Ottantuno (che ha ospitato la maggioranza degli eventi), l’Associazione Lesbica Femminista Italiana -ALFI (con sede centrale a Napoli), GenPol – Gender & Policy Insights (think tank che ha sede a Cambridge ma svolge in Italia lavoro di ricerca e sensibilizzazione su questioni di genere, con una prospettiva femminista intersezionale), e la cooperativa antimafia ercolanese Giancarlo Siani.

Ancora più variegate le realtà territoriali coinvolte nel ciclo di incontri: come la cooperativa sociale Le Lazzarelle, varie associazioni LGBTQI campane quali Alfi Le Maree Napoli, Associazione Apple Pie: l’amore merita LGBT+, ATN – Associazione Transessuale Napoli, Collettivo LGBTQI* Napoli, Comitato Provinciale Arcigay “Antinoo” Napoli, Rain Arcigay Caserta, oltre a Arci Ragazzi Portici e ai centri anti-violenza che fanno capo alle organizzazioni Dream Team e Spazio Donna, all’associazione Antigone Campania, al circolo ambientalista vesuviano Let’s Do It, a Mani Tese, e alle comunità che autogestiscono due tra i ‘beni comuni urbani’ del territorio napoletano, il CAP 80126- Centro Autogestito Piperno e il Lido Pola.

Aperti a tutte e a tutti, gli eventi pubblici di Connettere i Puntini tentano, inoltre, di mantenere un focus generazionale (favorendo, cioè, l’incontro e l’interazione soprattutto tra giovani), oltre che marcatamente meridionalista. La discussione sul senso profondo di mettere insieme rivendicazioni per i diritti civili e sociali, e di farlo proprio nel Mezzogiorno, infatti, emerge prepotente in ogni singolo incontro del ciclo.

A luglio 2019 si è riflettuto sul legame tra giogo mafioso, oppressione di genere e sfruttamento economico, un intreccio di dinamiche che stritola la Campania e le altre regioni meridionali, grazie anche a testimonianze di attivisti e attiviste che si occupano di carcere, crimine organizzato e violenza maschile sulle donne.

A settembre, invece, ci si è concentrati, tra le varie questioni, sui beni comuni, un tema sul quale, negli ultimi anni, Napoli ha tanto sperimentato, offrendo spunti di dibattito accademico e politico a livello internazionale. E si sono connessi diritto a godere di spazi e risorse cittadine divorati dalla ‘turistificazione’ e dalla contrazione del welfare, diritto al ‘bene comune’ ambiente, minacciato in Campania e nel Sud da vergognose speculazioni, oltre che da un turismo sfrenato e poco o nulla regolamentato (amministrazioni come quella napoletana, a dispetto del ribellismo a lungo evocato, non fanno purtroppo eccezione); ma anche diritto delle donne e delle comunità a LGBTQAI+ a occupare quegli spazi con i propri corpi.

E si è iniziato, gradualmente, a scambiare osservazioni strategiche, richieste di solidarietà, informazioni sulle attività e le risorse di ogni gruppo. In attesa di rivedersi il 21 dicembre, per un nuovo appuntamento che vedrà la partecipazione di ospiti nazionali e internazionali, venuti a condividere la loro esperienza di percorsi di contaminazione in altri contesti. E aspettando, nel 2020, di portare Connettere i Puntini in giro per le altre regioni meridionali, cominciando dalla Calabria, un altro territorio che, come quello campano, merita una narrazione ben diversa dalla gabbia interpretativa appiccicatagli addosso dal discorso mediatico.

Ora, è semplice o lineare, tutto questo contaminarsi? Tutto questo connettere? Evidentemente no. Persone, realtà e percorsi si aprono ad altri portandosi dietro bagagli preziosi e complicati. Diversissime sono le culture politiche (inter-associative per alcuni gruppi, fluide e movimentistiche per altri), i percorsi di formazione, i dettagli anagrafici. Si procede con cautela, si ascolta molto, ci si mette in gioco, e a volte sfociano tensioni. Ma in mesi di (finalmente nuove) mobilitazioni vicine e remote, di echi che risuonano dal lontanissimo Cile e che rintoccano nella Francia dei gilet gialli e, ancora, in tutte le piazze del mondo (Italia inclusa), affollate di donne e di giovani, la direzione pare (almeno!) quella giusta.

Perché quelle piazze e quegli echi gridano con forza che l’oppressione e lo sfruttamento sono sistemici e strutturali, che ci riguardano tutte e tutti, e che seguire quel filo rosso, connettere quei puntini, non è una scelta, ma una necessità per ripensare l’attuale organizzazione della società. E lo è soprattutto a Sud, in qualsiasi Sud e qualsiasi periferia del mondo, indipendentemente dalle latitudini e dalle geografie.