L’arte del coinvolgimento

19 aprile 2016, New York, Sessione speciale dell’Assemblea generale ONU. Per la prima volta dal 1998, è dedicata al tema delle droghe. Tra gli argomenti centrali della discussione, il caso del Portogallo, che 16 anni fa ha promosso una riforma storica di depenalizzazione dei reati legati alla droga.

João Goulão, coordinatore delle politiche portoghesi in materia di stupefacenti, tra gli ideatori e promotori della legge, ha di che essere fiducioso. Il suo paese ha portato avanti un’esperienza che, a distanza di oltre un decennio, ha la possibilità di modificare il futuro delle politiche globali. Se all’inizio le critiche alla legge erano feroci, e provenivano dall’interno e dall’esterno del paese, oggi il Portogallo è visto come un esempio virtuoso, possibile modello per tutti i paesi dell’ONU.

Le droghe arrivarono in Portogallo in quantità massicce dopo il 1974, anno della fine della dittatura. Nel giro di due decenni, il numero di persone dipendenti dall’eroina era stimato all’1%, con una media incredibilmente superiore a quella del resto dell’UE. Zone come Casal Ventoso, quartiere di Lisbona, erano diventate mecche per la tossicodipendenza, in cui non era raro incontrare a ogni passo per strada eroinomani e addirittura morti.

coinvolgimento

Pubblichiamo un estratto da L’arte del coinvolgimento (Hoepli)

Oggi la situazione non potrebbe essere più diversa: dal 2007 si registra una riduzione del 40% dell’uso di droghe, una diminuzione del 97% di casi di infezione da HIV tramite uso di droga, il 18% di riduzione dei costi sociali per il trattamento degli abusi, quasi il 50% in meno di criminali incarcerati per reati legati alle droghe, un aumento del 500% dei quantitativi di droga sequestrati a 5 anni dalla riforma, una riduzione di oltre il 50% di morti annui per overdose.

Il segreto di tale successo? La stretta interazione tra depenalizzazione e politiche di assistenza sanitaria e sociale ha prodotto un cambiamento radicale nel modo in cui la società percepisce e si relaziona nei confronti delle persone tossicodipendenti. Innanzitutto, il possesso è stato trasformato da reato penale a civile, l’equivalente di una multa; poi, sono state create le commissioni di dissuasione, unici enti capaci di giudicare e aiutare gli individui che potessero farne richiesta. Commissioni che possono stabilire un aiuto o un percorso di riabilitazione, nel caso in cui il cittadino compaia più spesso e in poco tempo di fronte alla commissione. Ma un ruolo maggiore lo hanno avuto le politiche sociali e sanitarie di prevenzione, la creazione di circoli di distribuzione di metadone, la diffusione di materiale pulito e l’aumento del numero dei centri di aiuto e recupero.

E l’effetto più grande di tutti è stato il cambiamento nel modo in cui la società reagisce alle droghe: il Portogallo è riuscito a trasformare quella che veniva considerata una vergogna, una pratica da nascondere e da reprimere, in un’azione socialmente compresa, tollerata e accettata, in cui si separano i rischi per la persona dalla colpa legata all’assunzione.
Non più stigmatizzati e marginalizzati, le persone a rischio e i tossicodipendenti si sono sentiti parte di una società che non vuole punirli, ma aiutarli a stabilire una relazione sana con la droga, a evitare i rischi legati al suo abuso e a collaborare per garantire a loro e alla società una vita migliore. Un passo cruciale è quello di aiutarli a trovare un luogo dove stare, un lavoro che dia loro uno scopo e dei gruppi sociali in cui si sentano accettati e apprezzati.

Alla base di questa rivoluzione, si fonda l’idea di un nuovo coinvolgimento verso se stessi e verso gli altri. I centri e le cliniche puntano a mostrare come sia possibile tornare a essere parte della società, ad avere una motivazione per cui alzarsi al mattino, persone a cui rivolgersi o da proteggere, un ruolo nella comunità cui si appartiene. Alle persone sono state fornite occasioni di lavoro, prestiti, luoghi in cui reinserirsi, occasioni di responsabilizzazione e opportunità di conoscere nuove persone. Si è così diffusa una “cultura del legame”.

In una cornice in cui scompare il biasimo sociale, le persone a rischio di dipendenza hanno dimostrato una maggiore propensione ad accettare aiuto, mentre le persone già dipendenti sono entrate a far parte di cerchie di sostegno, seguite da medici, psicologi e avvocati. Il consumo di droga tra i giovani è diminuito drasticamente, è svanito l’effetto tabù e l’aura di proibizione e i ragazzi hanno iniziato a giudicarlo differentemente, a non desiderare il gusto del proibito.

João Goulão ha molti motivi di essere soddisfatto: il cambiamento che la riforma ha prodotto ha coinvolto l’intero paese e senza tale coinvolgimento le più grandi battaglie non sarebbero state vinte. Dinamiche di inclusione sociale sono riuscite a coinvolgere e a contrastare quella “malattia della solitudine” così comune nella nostra società odierna.

L’esempio del Portogallo fa leva su numerosi studi scientifici che provano l’importanza radicale delle relazioni sociali nella nostra vita quotidiana: la psicologia positiva, attraverso gli studi di Deci e Ryan, lo considera uno dei tre grandi motivatori intrinseci (capacità, autonomia, relazionalità) che guidano l’essere umano. Le persone che sentono di aver stabilito un legame con le altre persone (amici, parenti, gruppi, società tutta) sono più forti, più sicure e meno soggette a instaurare legami “a senso unico” come la dipendenza da sostanze. Secondo gli studi di Bruce Alexander, a lungo ritenuti controversi, la segregazione sociale che si lega all’uso di sostanze ne aumenta l’efficacia; e viceversa, una rete sociale inclusiva e accogliente, la presenza di alternative significative al circolo dell’assuefazione ne limita significativamente l’efficacia.

La cornice sociale amplifica il coinvolgimento, conferisce un ulteriore senso alle nostre azioni e contemporaneamente è il tramite principale per la sua diffusione. Le politiche portoghesi ci mostrano come sia una chiave per coinvolgere, influenzare e aiutare l’essere umano: guida e sostegno per i comportamenti sociali, lavorativi o privati che facciano leva sui processi principali che agiscono tra coinvolgimento e collettività, cioè confronto, imitazione e interazione.

Noi con gli altri

Si potrebbe dire che il coinvolgimento è contagioso, alla stregua di un virus positivo. Anche solo pochi portatori sani in una cerchia sociale ristretta possono diffondere un interesse o una passione nella comunità: è sorprendente la maniera con cui tutto questo avviene, senza alcuna forzatura o imposizione. E al tempo stesso il coinvolgimento si nutre e si sviluppa nelle relazioni sociali: ognuno di noi, almeno una volta, ha provato il desiderio di condividere la propria passione con amici e parenti, o di conoscere nuove persone che mostrino lo stesso interesse.

Pensiamo alla cornice di socialità che circonda passioni come il bricolage o la modellistica: il piacere di mostrare agli altri la propria ultima creazione, la sicurezza di poter chiedere consigli o pareri nei momenti di dubbio, la soddisfazione di poter aiutare i più giovani a crescere, o anche solo il piacere della compagnia, la sensazione di sintonia che si prova a realizzare un progetto in comune.

Persone coinvolte tendono ad associare loro stessi a quell’esperienza. Basta scorrere le brevi biografie che spesso diamo di noi sulle pagine Facebook, i profili di un sito di datingo la presentazione in un forum: “Sono un viaggiatore, un giocatore di bridge, music addicted” e tanto altro ancora. La propria passione diventa un modo per presentare se stessi al mondo circostante.

Una persona coinvolta diventa, in questo modo, il più bravo “venditore” al mondo: nessuno come lui riesce a trasmettere i sacrifici, l’orgoglio, la gioia della sua passione, come il veder nascere pezzo dopo pezzo uno splendido tavolo realizzato in garage. Riesce a trasmettere l’entusiasmo a chi lo ascolta e ammira la sua “opera d’arte”. Gli spettatori vengono coinvolti dalla sua emozione e iniziano a manifestare interesse verso il suo hobby.

Questa passione si diffonde nelle persone che ci stanno vicino, si trasmette da noi agli altri in un continuo: quando la cerchia si allarga nascono fan club, forum specializzati, siti monotematici, raduni di appassionati di moto d’epoca, eventi per gli amanti degli sport estremi. Comunità piccole o grandi, basate sul legame profondo di condividere una stessa attività, oggetto o interesse. Ogni azienda o ente pubblico dovrebbe comprendere questa semplice quanto potente leva, mettendo a disposizione spazi fisici e digitali in cui far incontrare, dialogare e condividere consumatori e cittadini uniti intorno a temi comuni. Anche persone non ancora coinvolte potrebbero beneficiare di luoghi in cui poter incontrare persone contagiate dal virus del coinvolgimento, avvicinarsi e respirare la travolgente positività di chi è collegato socialmente con uno scopo.

Decidono i cittadini

Secondo un recente studio del 2013, sembra proprio che gli elettori siano più abili dei loro rappresentanti a destinare in maniera proficua i fondi comunali: le città in cui i cittadini hanno avuto tale possibilità hanno registrato un aumento della qualità della vita della popolazione, una riduzione della mortalità, un aumento dell’associazionismo e del capitale sociale e in generale un maggiore coinvolgimento civico della popolazione.

Lo studio è stato condotto da Michael Touchton e Brian Wampler, attraverso l’esperienza ventennale (dal 1990 al 2008) delle istituzioni partecipate in Brasile in città come Porto Alegre o Belo Horizonte. Il programma permetteva ai cittadini di decidere gli ambiti a cui destinare i nuovi fondi per progetti, per una cifra compresa tra il 5% e il 15% del budget totale dei comuni. Una cifra sufficiente a generare cambiamenti positivi, per quanto non radicali.

Questa forma di partecipazione diretta prevede che i cittadini, divisi in specifiche circoscrizioni, nel corso di incontri pubblici esprimano le loro priorità e i bisogni di spesa. L’ufficio competente li rielabora in seguito per approvarli. Il programma di partecipazione prevede, inoltre, una seconda fase valutativa, in cui la cittadinanza valuta l’effettiva realizzazione dei progetti dell’anno precedente.

Nelle 120 città (tra le 250 più grandi del Brasile) che hanno adottato il bilancio partecipativo (participatory budget) è stato riscontrato un aumento di spesa nell’educazione e nella sanità, con una conseguente diminuzione del 20% della mortalità infantile negli otto anni dall’inizio. Risultati che, secondo lo studio, aumentano con il passare del tempo, e che hanno portato alla costituzione di nuove organizzazioni civili, istituti sociali e, in generale, a forme di governance più a contatto con i cittadini. Infine, le delibere pubbliche sulle priorità di spesa hanno avuto come conseguenza di rendere più trasparente il processo politico, riducendo la corruzione. Senza dimenticare come, sul lungo periodo, abbiano prodotto un forte coinvolgimento della popolazione nella vita politica e sociale, aumentando lo scambio di informazioni e, in generale, il capitale sociale.

L’apertura municipale alle decisioni dei cittadini dimostra l’enorme potere di coinvolgimento insito nelle dinamiche di partecipazione e i risultati concreti che si possono raggiungere. Coinvolgere il pubblico, i clienti o i cittadini è, certo, una scelta coraggiosa. Significa cedere sovranità e potere decisionale a favore di idee espresse dal basso, con ripercussioni dirette nei processi di interazione. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti (principalmente nel terzo e nel quinto), per realizzare queste forme di coinvolgimento partecipativo è necessario che le scelte siano autonome, significative, socialmente supportate, misurabili e basate sulla giusta tempistica. Laddove alcune o tutte queste variabili entrano in campo, la partecipazione si trasforma in coinvolgimento partecipativo.

Gli elementi fondamentali della partecipazione che abbiamo descritto sono confermati dalle affermazioni della psicologia positiva e, nello specifico, dalla self-determination theory: secondo Deci e Ryan, noi esseri umani proviamo il bisogno di esercitare le nostre capacità e competenze (competence), migliorando e realizzando i nostri obiettivi, sentendoci padroni della situazione e capaci di gestire le sfide e le difficoltà che ci vengono proposte. Al tempo stesso, desideriamo agire senza limiti restrittivi alla nostra libertà personale: vogliamo che le nostre azioni siano in buona parte il risultato dei nostri desideri (autonomy). Infine, proviamo il bisogno di relazionalità (relatedness), di sentirci parte di un gruppo o di una comunità, di sentire il respiro dei rapporti sociali attorno a noi (siamo, insomma, “animali sociali”, come diceva Aristotele).

A queste dinamiche è fondamentale aggiungere un ulteriore elemento, il bisogno di esperienze significative (meaning). Anche nei casi in cui sono presenti, le dinamiche partecipate spesso limitano il potere di scelta a un sì o no, alla scelta di A o di B.

Al contrario, è fondamentale che le azioni che compiamo siano dotate di un significato speciale, contribuiscano a dare un senso alla nostra vita. Siamo alla ricerca di esperienze significative: è questa ricerca che ha spinto Knapp a dare tutto se stesso per rendere Wikipedia un luogo migliore. È il motivo che porta molti di noi a compiere grandi sforzi o a provare ammirazione per le persone che lo fanno: medici che lavorano nei paesi in guerra o soggetti a epidemie, ricercatori che investono anni per dare un contributo alla loro disciplina, impiegati e imprenditori che si spendono per mantenere in vita l’azienda in cui lavorano insieme da anni. È ciò che viene definito senso epico (epic meaning), la sensazione di contribuire con la propria presenza a qualcosa che trascende l’individuo e lo rende parte di una comunità o una dimensione più grande. In cuor nostro vorremmo che le nostre azioni, anche le più piccole, possano contribuire a qualcosa di più grande di noi, che possano, anche in minima parte, produrre quella stessa sensazione.