Caivano. È sempre una questione culturale

Qualsiasi considerazione si volesse fare oggi sui fatti di Caivano avvenuti questa estate, sui successivi commenti social e sulle dichiarazioni sessiste, non aggiungerebbe nulla all’orrore e allo sgomento che hanno provocato. Neanche sul rafforzamento della presenza delle forze dellordine sul territorio nelle settimane successive e sulle proposte di inasprimento delle pene ci sarebbe molto altro da dire, se non che sono un déjà vu che non ha prodotto e non produrrà granché. Vale invece la pena fare qualche riflessione su quanto detto dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in visita proprio a Caivano subito dopo gli stessi fatti e sugli investimenti annunciati lo scorso 7 settembre dal suo ministro della cultura Giuliano Sangiuliano

Un governo che ha costruito la propria identità politica sull’immaginario della sicurezza dei cittadini, un governo che sembra più interessato alla cultura come prodotto identitario da rivendicare, da mostrare e da usare come veicolo di promozione turistica, a Caivano ha fatto una proposta che diverge da questa linea di pensiero.

Dopo aver affermato la necessità di un maggiore controllo del territorio da parte dello Stato è stata infatti annunciata la riapertura di un centro sportivo, il Delfinia, per farne un centro polifunzionale con al suo interno una biblioteca, una sala lettura e una sala multimediale. A questo si aggiunge l’invio di altri 20 insegnanti, l’apertura delle scuole nel pomeriggio, la lotta alla dispersione scolastica. Insomma più controllo, ma soprattutto più educazione. Più forze dell’ordine, ma anche più insegnanti, più ore di lezione, più bambini a scuola.

Esiste oggi una chiara consapevolezza del significato che si portano dietro queste parole? Davvero siamo di fronte all’ammissione che abbiamo bisogno di più cultura e che ogni problema sociale è sempre una questione culturale?

Anni fa uno studio del Garante regionale per l’infanzia della Campania, Cesare Romano, presentò un’indagine realizzata sui dati dei servizi sociali su 45 Comuni campani tra il 2006 e il 2012 per cui i bambini vittime di pedofilia erano circa 200, quasi tutti con meno di 10 anni, quasi tutti abusati all’interno delle mura domestiche. Un degrado umano e sociale enorme che spiega molto di quanto è successo e a cui non è stata data nessuna risposta in termini culturali ed educativi, lasciando così quelle comunità nella stessa condizione in cui si trovano oggi.

Ricerche e studi medici, antropologici, sociologici dimostrano ormai da anni che laddove si investe in cultura, le spese sociali e sanitarie si abbassano, le persone vivono meglio e più a lungo, l’economia cresce, la delinquenza diminuisce. Il risparmio pubblico in termini sociali ed economici è evidente ovunque questa scelta sia stata sostenuta. Sono però processi che hanno bisogno di tempo per affermarsi e normalmente i politici in carica sono più predisposti a rincorrere il problema a colpi di decreti d’urgenza e nomine di commissari straordinari, invece di gestirlo quando ancora urgenza non è.

Ecco perché la linea di azione annunciata a Caivano, richiede oggi una riflessione sulla consapevolezza di ciò che significa.

La storia anche molto recente ci insegna che il cambiamento non si genera con l’imposizione di regole dall’alto o con il classico giro di vite, ma da una presa di coscienza collettiva partecipata del problema e dal confronto con modelli di vita altri. E allora non può essere l’esercito a salvare Caivano, se non si agisce attraverso l’educazione delle persone che lo abitano. Ma prima ancora occorre una consapevolezza politica di quanto la cultura sia portatrice di innovazione sociale, affinché gli investimenti annunciati non si perdano nella prossima urgenza, perché se così sarà, resteremo fermi a Caivano.

 

Immagine da Unsplash di Artem Darkov