Parlando di quartieri di edilizia pubblica si ha spesso l’impressione di richiamare qualcosa di inattuale. I nostri immaginari sono nutriti dai retaggi di un passato operaio o del grande sviluppo delle sperimentazioni architettoniche tra gli anni Sessanta e Ottanta, elementi che faticano a ritrovare le proprie corrispondenze nel presente. Complice anche una narrazione pubblica che ne ha reso caricaturali alcuni caratteri, di frequente associamo i quartieri pubblici (e spesso periferici) a immagini di degrado, violenza, conflitto e abbandono.
Fino al 15 aprile si può partecipare al bando per realizzare un progetto sociale e culturale in uno dei 10 spazi vuoti non residenziali del Bando Nuove Luci a San Siro. Per info clicca qui.
Quello che si fatica a ricordare, invece, è il senso profondo di queste infrastrutture per la vita nella città. Si sta dimenticando il ruolo di questi complessi come luoghi di accesso concreto alla cittadinanza, determinanti per lo sviluppo delle traiettorie di vita di intere generazioni. Come tutto il sistema del welfare, così la casa pubblica ha costituito quella impalcatura di mediazione tra le classi che ha favorito il riconoscimento reciproco dell’appartenenza ad un comune. I quartieri pubblici hanno assunto la funzione di leve di futuro per migliaia di famiglie, permettendo loro di stare, rimanere nella città. Sebbene siamo in grado oggi di riconoscerne anche i limiti, questi esperimenti sociali ci mostrano ancora tutta la loro tensione verso la costruzione di una società inclusiva.
Una tensione difficile però da attualizzare, oggi, nel deperimento delle architetture, nella sovradotazione di standard, negli interstizi non attraversati. Nei quartieri che, in molti casi, sono passati dall’essere dispositivi di inclusione a sistemi di segregazione, di marginalizzazione. Quale cortocircuito si è innescato in questi luoghi?
Da tempo, come gruppo di ricerca-azione Mapping San Siro (DAStU – Politecnico di Milano), ci interroghiamo intorno al ruolo di questi complessi urbani, provando ad attualizzarne discorsi e significati. Se gli spazi infatti, almeno a uno sguardo esterno, non hanno subito grandi trasformazioni, sono invece cambiati gli abitanti che li popolano e li attraversano, così come le dinamiche che li lambiscono o li condizionano.
I quartieri pubblici ci mettono di fronte a una sfida fondamentale: la città contemporanea è ancora capace di riconoscersi un ruolo di accoglienza, sostegno alle fragilità, produzione di orizzonti di convivenza comune tra diversi? La città pubblica può trasformarsi, in altre parole, da luogo dell’abitare a basso costo, a città che accoglie le nuove domande sociali, attraverso e oltre la casa: nuove povertà che richiedono un accompagnamento multidimensionale, solitudini e disgregazioni familiari in cerca di nuovi spazi relazionali e di incontro, domande di lavoro e di accesso al reddito che vanno accompagnate con creatività a trasformarsi in competenze.
In questi luoghi, in cui si assiste spesso ad uno smarrimento di identità, dove chi vi abita non si riconosce nel proprio panorama quotidiano, esistono però alcune risorse latenti: i molti spazi – sociali, commerciali, di servizio – rimasti vuoti a causa delle dinamiche di svuotamento e contrazione delle funzioni accessorie all’abitare. Spazi che, all’ora di ripensare un ruolo per i quartieri pubblici, possono costituire occasioni non soltanto per introdurre nuove funzioni e attività, ma per dare un contributo ad aprire, più ampiamente, una riflessione sui bisogni sociali all’interno della città contemporanea e sull’accessibilità delle risposte a tali bisogni. Specialmente in contesti dove l’aggregazione sociale, la cultura, l’economia sono circuiti spesso negati o residuali, rispetto a filiere di sviluppo e crescita che guardano altrove e che si allontanano sempre di più da target “molto sociali”, alla ricerca di un’innovazione sociale spesso molto astratta.
Con queste premesse e partendo da una prospettiva radicata e territoriale, il gruppo di ricerca-azione Mapping San Siro ha visto nel quartiere milanese San Siro un campo di lavoro potenziale per una sperimentazione relativa al tema dei vuoti non residenziali presenti all’interno dell’edilizia residenziale pubblica.
Situato nella zona ovest di Milano, nei pressi della circonvallazione esterna, dell’omonimo stadio e del recente intervento di City-Life, anche se oggi si trova all’interno della città consolidata, il quadrilatero di San Siro è un caso esemplificativo delle condizioni di forte abbandono e perdita di connessione, relazione e ruolo rispetto al resto della città che vivono oggi i comparti di edilizia pubblica. Un territorio che soffre soprattutto di una forte esclusione dalle dinamiche di una città che – tutto intorno – sembra trasformarsi a una velocità differente.
In ragione di uno sguardo particolarmente sensibile al tema dello spazio, come dispositivo di rigenerazione locale e attivazione di processi condivisi, Mapping San Siro ha visto fin dal principio negli spazi vuoti del quartiere un’opportunità: da un lato, la possibilità di costruire ponti tra l’interno e l’esterno del quartiere, tra San Siro e la città, in termini di flussi, di dinamiche, di risorse; dall’altro, quella di attivare e potenziare le capacità locali.
San Siro è infatti un contesto ricco di realtà organizzate molto eterogenee tra loro impegnate su fronti diversi in un lavoro quotidiano di contrasto alle criticità locali e di dialogo e collaborazione con gli abitanti e desiderose, oggi, di spendersi su percorsi di attivazione di economie locali e progettualità condivise, complementari alla logica dei servizi.
In più San Siro, in ragione della presenza di un numero molto significativo di abitanti di origine non italiana (circa il 48% della popolazione residente), provenienti da 85 paesi diversi, è un contesto che potremmo definire superdiverso. Anche se spesso questa diversità è vissuta come un ostacolo, in realtà rappresenta una risorsa in termini di competenze locali, individuali e collettive, frutto anche di provenienze culturali eterogenee.
Ne è un esempio la popolazione femminile, coinvolta recentemente in alcune progettualità volte a valorizzarne il potenziale in chiave lavorativa: una popolazione spesso poco conosciuta e ascoltata, che esprime fortemente la necessità di mettersi in gioco rispetto ai propri saperi e di attivare forme di integrazione al reddito.
Seppure apparentemente rappresentino una questione meno centrale rispetto ad alcune problematiche sicuramente più emergenti in un contesto di abitare difficile, gli spazi vuoti non residenziali costituiscono un dispositivo capace di innescare una visione di trasformazione più ampia per il quartiere.
I vuoti sono visti infatti come frammenti su cui fare leva, per dare spazio alla produzione di nuove micro-economie locali e sperimentazioni socio-culturali capaci di ibridare interno ed esterno, competenze consolidate e capacità emergenti.
La stessa esperienza di Mapping San Siro che ha “preso casa” nel quartiere attraverso la riattivazione dello spazio Trentametriquadri, come luogo di didattica e ricerca sul campo, testimonia di come sia possibile costruire nuovi immaginari e nuovi usi all’interno di questi luoghi.
Per questa ragione, nel 2017, alla partenza del progetto SoHoLab, Mapping San Siro ha proposto ai partner locali Aler Milano (ente proprietario) e Regione Lombardia di istituire un tavolo di lavoro sul tema, per l’avvio di un progetto pilota sul quartiere.
Nasce così, dopo un lungo anno di lavoro, confronto e collaborazione tra gli enti il bando Nuove Luci a San Siro, attraverso il quale dieci spazi di metrature diverse, collocati all’interno del “quadrilatero”, saranno messi a disposizione con un canone agevolato (ridotto del 50% rispetto ai normali valori di mercato) con l’intenzione di ospitare progetti capaci di coniugare la dimensione di sostenibilità economica e imprenditoriale con quella sociale e culturale, attivando processi in grado di generare un impatto positivo sul quartiere. Accanto alla riduzione del canone, è stato istituito un fondo da parte di Regione Lombardia che mette a disposizione 200.000 euro complessivi da impegnare nella necessaria ristrutturazione di spazi rimasti chiusi spesso per molti anni.
Dall’apertura della call, avvenuta in febbraio, sono state organizzate diverse presentazioni pubbliche e alcuni sopralluoghi alla presenza di tecnici Aler Milano e Regione Lombardia. In queste occasioni la grande partecipazione di organizzazioni e associazioni del quartiere, così come di realtà cittadine, ma anche di molte persone singole, ha confermato l’esistenza di un immaginario di cambiamento per il quartiere che, quando sostenuto da progettualità concrete, può innescare nuovi modi di affrontare la rigenerazione di contesti urbani complessi e fragili che siano realmente accessibili e inclusivi.
Il bando – che resterà aperto fino al 15 aprile – è una piccola ma significativa sperimentazione su come provare a costruire nuovi ruoli per il patrimonio pubblico nella città contemporanea, collocando i quartieri di edilizia pubblica entro dispositivi concreti di sostegno a pratiche ed economie emergenti, a fronte di condizioni abitative, sociali ed economiche sempre meno favorevoli per le fasce più deboli.
Immagine di copertina: Vista di uno dei cortili del “quadrilatero” di edilizia residenziale pubblica di San Siro