Urbanistica, luoghi di vita e spazi migranti secondo Richard Sennett

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L’ultimo libro di Richard Sennett, Costruire e Abitare. Etica per la città, pubblicato da Feltrinelli (pp. 400, euro 15, ora in edizione economica nella traduzione di Cristina Spinoglio), completa la serie composta da L’uomo artigiano (2008) e da Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione (2012) per la stessa casa editrice. Com’è noto, Jacques Le Goff distingueva, nella costitutiva instabilità del vocabolario urbanistico, due termini: ville e cité. La parola ville, spiega Sennett, indica di solito «la città nel suo complesso», mentre cité designa «un luogo specifico» o ancora «lo stile di vita in un quartiere».

PIÙ IN GENERALE questa doppia designazione segnala la differenza fondamentale che separa il territorio edificato dal modo in cui la gente lo abita e ci vive. Tecnica e società, macchina e corpi, compongono dunque la polarità che Sennett intende interrogare: «potrebbe sembrare che cité e ville si adattino l’una all’altra senza soluzione di continuità: il mondo in cui le persone vogliono vivere potrebbe essere espresso dal modo in cui sono costruite le città. Ecco il problema! L’esperienza in una città (…) è raramente uniforme e omogenea, ma colma di contraddizioni».
Come possiamo «armonizzare il vivere e il costruire»? Possono coincidere «i valori dei costruttori e quelli del pubblico»? Può l’etica plasmare la progettazione della città? Si può «dare alla giustizia una forma materiale»? Questa è la serie di domande attorno alla quale ruota l’intero volume.