Per esempio: quanto vale un bosco?

PostMetropolis. Una serie mensile di Filippo Barbera per cheFare. La città non è finita. Ma non è neppure infinita. Cambiano i suoi confini, le sue funzioni e i rapporti che intrattiene con il policentrismo territoriale. Questo è Postmetropolis. Dove i confini creano i luoghi. La prima puntata e la seconda puntata

PostMetropolis. Dove i confini creano i luoghi. Una serie mensile di Filippo Barbera per cheFare

Quanto vale una balena? Un team di ricercatori del Fondo monetario internazionale si è posto questa domanda, solo apparentemente semplice. La loro stima ha calcolato la cifra di due milioni di dollari per ogni esemplare, per un totale di mille miliardi di dollari per lo «stock» globale esistente. È questo il modo di dare valore ai servizi eco-sistemici e a “Gaia”? Una domanda urgente, considerando che nell’ambito della crisi climatica il tempo a nostra disposizione sta finendo.

A livello globale, il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato. La dettagliatissima analisi sullo stato dei ghiacciai italiani, pubblicata a fine 2023, ci dice che praticamente il 100% dei ghiacciai è in fase di ritiro. I disastri ecologici sono segnali del futuro che ci troveremo a vivere quotidianamente, ma che quotidianamente ignoriamo. I lavori dello Stockholm Resilience Centre misurano l’effetto domino, tipico dei sistemi complessi, non governabili tramite prospettive riduzioniste. L’effetto domino, nei prossimi decenni potrebbe portare parti consistenti dell’umanità fuori dalla nicchia climatica. Nell’Antropocene, la terra non è un sistema omeostatico in grado di assorbire gli shock e tornare in una posizione di equilibrio: la presenza di effetti soglia implica un cambiamento di stato del sistema, repentino e con conseguenze ad ampio raggio. Se l’urgenza non è mai stata così grande, la risposta non può essere basata sull’aggregazione di scelte individuali guidate dai prezzi e, neppure, su regole formali e astratte che riproducono logiche tecnico-burocratiche.

È davvero due milioni di dollari il valore di una balena, quindi? Se lo chiede Adrienne Buller in un piccolo e prezioso libro “Quanto vale una balena” in corso di stampa per ADD editore (previsto per maggio 2024). La domanda va intesa in senso estensivo. Per esempio quanto vale un bosco? Quanto vale un pascolo? Quanto valgono le nostre montagne e aree interne? Il prezzo del bosco, un ipotetico prezzo assegnato da un ipotetico mercato in un ipotetico incontro tra domanda e offerta, corrisponde al suo valore? Sono domande particolarmente importanti per il caso italiano: un Paese non solo di aree interne e di montagne, ma anche di boschi. Circa il 35,2% del territorio italiano è ricoperto da boschi: un terzo del Paese. Ciò corrisponde allo 0,01-0,02% della ricchezza nazionale. Evidentemente il valore dei boschi non si esaurisce in quello dei prodotti commerciali. Cos’è, quindi, il valore di un bosco?

Una domanda simile la pone Morpheus a un confuso Keanu Reeves, alias Neo, nel primo episodio di Matrix: cos’è Matrix? Chiede Morpheus. Per poi rispondere: “Matrix è ovunque, è intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’ avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità”. L’inquietudine di Neo, quella che lo teneva sveglio la notte e lo ha portato a unirsi alla lotta di liberazione, nasceva dalla pertinenza della domanda, non dalla presenza della risposta più corretta. Come Morpheus, il carismatico condottiero che lotta contro quell’intelligenza artificiale che ha trasformato l’umanità in una sorgente di energia e gli esseri umani in “pile”, dobbiamo interrogarci sul valore (analitico e politico) delle giuste domande. Quelle domande che ci obbligano ad abbandonare le risposte prevedibili o, almeno, quelle dai confini predeterminati che, come Matrix, nascondono la verità che ci circonda. Domande che, come un sentiero già tracciato, ci spingono in una certa direzione, in un certo modo, con un certo passo.

Le domande semplici portano a risposte sbagliate. Il bosco, per generare valore, va gestito. Un bosco non è una somma di alberi, ma un eco-sistema complesso e vivo. Ce lo ricorda Francesco Gerli, in un istruttivo post su Linkedin, di cui riporto alcuni significativi passaggi. Il tema sottolineato da Gerli è il rischio del greenwashing ambientale, veicolato da decine di iniziative e imprese che lavorano sotto il brand della sostenibilità e per le quali l’atto di “piantare alberi” – misurato con un facile ma equivoco key performance indicator come il numero di nuovi alberi piantati e con una narrazione incentrata sulla “wilderness” e la natura che finalmente riprende i propri spazi – domina il discorso pubblico. Non che piantare alberi sia sbagliato; e neppure che una sana passeggiata fuori dalla città sia un problema. Anzi. Il punto è che si tratta di una “sostenibilità disincarnata”. Scrive Gerli: “Se si incarna la sostenibilità nella realtà, magari nella specificità di un contesto territoriale come quello Italiano, Alpino e Appenninico, tutto cambia. Perché la sostenibilità incarnata è profonda, capace di leggere e legare ambiente e società. La sostenibilità incarnata è guidata da punti di vista differenti e non è solo urbanocentrica. Sa che un bosco non è solo un’esperienza di wilderness, buona per un retreat o uno sfondo.” Se non è questo, allora, cos’è? Qui arriva Morpheus, sornione, con la sua pillola. Il bosco non è natura senza l’uomo. È un prodotto dell’uomo, tanto della sua presenza che della sua assenza. Così: “Il bosco – cosi come tanti elementi paesaggistici “naturali” (…) – sono frutto di un lento lavoro di mantenimento da parte delle comunità di abitanti e lavoratori, che ne curano regolarità, tagli, estetica, cogliendone anche i frutti.”

La sostenibilità incarnata quindi è quella consapevole che in Italia la superficie boschiva aumenta come non mai nei territori delle terre alte. Aumenta perché mancano sempre più le comunità di abitanti.” È un passaggio cruciale: il bosco cresce perché l’uomo manca da quelle terre. E un bosco non gestito non è uno sfondo per un retreat, ma è più spesso causa di dissesto idrogeologico e di perdita di biodiversità. Nel paradigma della “sostenibilità incarnata” si accetta anche il taglio degli alberi, non contro il bosco ma per il bene del bosco. Questo proprio perché il bosco è un eco-sistema e non una somma di alberi. Alberi tagliati e lavorati da piccole segherie di fondovalle, magari in co-gestione con gli abitanti. Una filiera del legno per i servizi pubblici locali, per esempio. Ma anche per l’agricoltura di pianura. In un Paese ricoperto di boschi che importa l’80% del legname da paesi senza alcun controllo. Servono, per questo, tecnologie appropriate, politiche territoriali “per le persone-nei-luoghi”, artigianato e connessioni metromontane che non riducano il valore del bosco al suo inesistente prezzo di mercato.

Servono modelli di governance diffusa e orizzontale dei “beni comuni”, in chiave territoriale e metromontana. Forme organizzate di controllo e gestione capaci di mettere a tema una diversa concezione del valore dei beni ambientali, dove dimensioni ecologiche, tecniche, tradizionali, civiche ed economiche convivono all’insegna della reciproca incommensurabilità. Non, quindi, riduzionismo unilaterale, vuoi ai prezzi, vuoi alle regole formali ed astratte, ma riconoscimento reciproco di più fonti e metriche del valore. Assemblee eterarchiche (da èteros e archòs, “governo dell’altro/straniero”), governate dalla diversità radicale e, per questo, capaci di mobilitare soluzioni aperte all’innovazione e all’incertezza. Assemblee dotate del potere di decidere che pongono sullo stesso piano le priorità di chi ha “più voce” con quelle chi non è in grado di “farsi sentire”. Un bosco non parla, ma ha effetti. Una innovazione capace di riconoscere la pluralità di fonti e modi di concettualizzare il valore e di redistribuire il potere di agenda. Pluralità che, come esseri umani, percepiamo in modo chiaro quando osserviamo una balena o quando camminiamo in un bosco, ma che ancora non siamo stati capaci di tradurre in forme di regolazione e di civiltà all’altezza della sfida climatica e del governo del policentrismo territoriale.

(Profilo X di Filippo Barbera)

Immagine di copertina di David Kovalenko da Unsplash