Perchè non voglio parlare di scuola

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    Perchè in questo momento è più utile agire.
    “Non crediamo agli assoluti” ma “nell’azione per una modificazione delle condizioni che ci circondano, e assieme a questa in una azione per la modificazione delle componenti fondamentali dell’uomo, per non parlare di quelle della società”. Questa è la frase che mi è risuonata in mente più spesso dall’inizio del cosiddetto lockdown, anche perché l’avevo letta da poco (grazie al volumetto I “Piacentini”: Storia di una rivista (1962-1980) di Giacomo Pontremoli dedicato ai “Piacentini” e pubblicato dalle Edizioni dell’asino). Goffredo Fofi la scrisse, sui “Quaderni Piacentini” appunto, in un articolo del 1967. La interpreto come un invito non certo allo stolto pragmatismo, ma al fare politico in contrapposizione alla postura intellettuale.

    Dall’inizio della pandemia ho cercato gli altri, ho provato a fare gruppo, a confrontarmi, ad agire. Non sono stato mai “solo”. Potrei arrivare a dire che nessuna riflessione su ciò che è accaduto da febbraio 2020 a oggi sia stata, per me, una riflessione individuale. Qui a Napoli è nata una rete di insegnanti, educatori e genitori che già da inizio marzo ha cominciato a incontrarsi, telematicamente, con molta frequenza. Ne sono nati azioni e pensieri collettivi, ovviamente imperfetti, incompleti, frammentati: come tutto ciò che nasce nella condivisione. Un piccolo miracolo. E le parole che qui scrivo sono parole nostre più che mie.

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