Strategia nazionale aree interne. Innovazione e messa in pratica

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    Il diritto alla salute, che la Repubblica tutela nell’interesse della collettività (lo dice l’articolo 32 della Costituzione), nelle aree interne del Paese conosce dei limiti.
    Due indicatori rappresentano in modo palese la distanza che c’è tra chi vive in città e chi abita le aree interne del Paese. Il primo: in caso di emergenza, tra l’inizio della chiamata telefonica alla centrale operativa e l’arrivo del primo mezzo di soccorso sul posto passano, in media, 17 minuti, che diventano però 23 nei Comuni delle aree interne. Per quanto riguarda invece l’accesso a prestazioni specialistiche, se in media in Italia ne vengono erogate 4.130 ogni mille abitanti, nelle aree interne queste scendono a 2.415. È un problema, ricordando che negli oltre 4mila Comuni classificati come “aree interne” sulla base della distanza dai centri o poli di erogazione dei servizi essenziali, vivono oltre 13 milioni di persone.

    Per questo suona interessante la sperimentazione in tema di servizi di salute e accesso a nuovi servizi socio sanitari in corso nell’ambito della Strategia Nazionale Aree Interne, con tanti esempi pratici d’innovazione che sono stati presentati lo scorso giovedì 15 ottobre nel corso di un seminario a Telese Terme (BN).

    La cittadina campana, che fa parte dell’area interna del Tammaro Titerno, ha ospitato un confronto dedicato a “Benessere, salute e servizi sociali per le comunità delle Aree Interne”. Come ha ribadito nel suo intervento Pasquale Falasca, epidemiologo e responsabile del Piano Strategico Salute per l’area interna del Basso Sangro-Trigno: «Le aree interne sono un laboratorio del Piano Salute e del Piano Nazionale Cronicità che sperimenta numerosi strumenti per dare attenzione alle fragilità, rispondendo alle disuguaglianze di accesso».

    Da ben nove regioni (Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata) sono arrivati a Telese stakeholder coinvolti nel processo di elaborazione e attuazione delle Strategie d’area, supportati da esperti, per ragionare sulle loro diverse esperienze e sugli interventi previsti. Ad emergere con chiarezza, come ha spiegato Roberto Laneri, il funzionario del ministero della Salute che segue la SNAI, è che per quanto riguarda salute e welfare la Strategia è già pienamente operativa: a parlare, cioè, non sono solo i numeri, per quanto importanti – le 30 Strategie d’area approvate destinano a questi interventi 61,5 milioni di euro, per un totale di 108 “schede progetto” – ma alcuni esempi.

    Laneri ha sottolineato uno dei gap culturali (e di organizzazione) che toccano il diritto alla Salute: «In Italia siamo ancora abituati a un’idea ospedalocentrica, che oggi ci dà sicurezza in mancanza di una teoria di servizi diffusi. Per questo, la contrazione dei servizi in alcuni piccoli ospedali grava sull’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in alcune aree del Paese. Il problema, però, è lo sviluppo non omogeneo di servizi essenziali, perché il ‘bisogno di salute’ non è solo ospedale: è prevenzione, sanità territoriale, medicina d’iniziativa».

    Poi ha parlato degli interventi “innovativi”: la presenza di infermieri di famiglia o di comunità e di ostetriche di comunità, la dotazione di strumenti di tele-assistenza, la farmacia di servizi, la formazione di care giver, la formazione di cittadini in grado di garantire interventi BLS (sostegno di base alle funzioni vitali), l’utilizzo di droni per il trasporto di farmaci salvavita.

    Sono tante le linee d’azione che vedono i territori coinvolti nella Strategia Nazionale Aree Interne declinare questa innovazione. Vediamone alcuni:

    «Gli indici di collegamento infrastrutturale problematici in molte aree interne ci portano necessariamente verso un aumento nella capacità di garantire “risposte di prossimità” – ha spiegato Enrico Desideri, direttore generale della Asl Toscana Sud-est, cioè Arezzo, Siena e Grossero -. È fondamentale in quest’ottica la personalizzazione delle cure e un potenziamento del Primary Care Team», quello che comprende medici di medicina generale, infermieri e farmacisti in
    «Di recente abbiamo introdotto la figura del farmacista di comunità – ha detto Desideri -, fondamentali per affrontare il tema dell’aderenza alla terapia, su cui si gioca gran parte del successo delle cure di fronte a determinate patologie, anche croniche. Sappiamo che le cure vengono abbandonate almeno dalla metà dei malati».

    Un altro degli interventi dell’Asl toscana riguarda la costituzione di una “rete di specialisti di secondo livello”, per far sì che i professionisti non operino solo negli ospedali dove hanno la sede principale ma – dice Desideri – «estendano la loro azione anche nei territori più marginali». Tutto questo per «mettere al centro il paziente, concentrando l’azione sulle cronicità».

    Il dottor Sandro De Col, direttore dell’Unità Cure primarie dell’ULSS 1 delle Dolomiti – che abbraccia il territorio dell’area interna del Comelico – ha invece affrontato il tema della presenza dei Medici di Medicina Generale sul territorio: «Ci sono pochi laureati locali. I MMG (medici di medicina generale) devono arrivare da fuori. Per incentivarne la presenza continuata su un territorio che è complesso e costoso, ad esempio per il riscaldamento dell’abitazione nei sei mesi invernali, non bastano sussidi. Per questo noi investiamo molto in formazione, contando anche sul supporto di farmacisti che girano il territorio discutendo con i MMG l’appropriatezza delle prescrizioni, e organizzando come ULSS attività corsistiche di aggiornamento nelle sedi periferiche: i giovani medici che lavorano in montagna non possono sentirsi tagliati fuori dalla crescita professionale”.

    Il ruolo attivo dei farmacisti è stato ripreso anche da Luigi Sauro, presidente di Federfarma Molise. In Molise, ha spiegato, sono presenti ben 170 farmacie, diffuse in modo capillare anche nei Comuni di 300 abitanti: spesso sono vere e proprie “farmacie sociali”, perché rappresentano l’unico presidio in tante comunità.
    «La regione ha deciso di avvalersi della capillare rete delle farmacie presenti anche in comuni ultraperiferici per erogare, in coerenza con la normativa di riferimento, una serie di servizi» ha ricordato Sauro. Tra questi ci sono la partecipazione al servizio di assistenza domiciliare integrata (ADI), l’erogazione di servizi di primo livello (programmi di educazione sanitaria e campagne di prevenzione per le principali patologie a forte impatto sociale), l’erogazione di servizi di secondo livello (su prescrizione dei MMG e dei PLS (pediatri di libera scelta), avvalendosi anche di personale infermieristico e prevedendo defibrillatori semiautomatici ed elettrocardiografi, telemedicina (effettuazione di prestazioni analitiche di prima istanza), prenotazione delle prestazioni specialistiche, pagamento delle relative quote di partecipazione alla spesa a carico del cittadino e ritiro dei referti, erogazione da parte delle farmacie di specifiche prestazioni professionali; attività di infermieri e fisioterapisti presso le farmacie e a domicilio. Inoltre, integrazione dei servizi della farmacia con il supporto dell’infermiere e dell’ostetrica di comunità.

    Se molti di questi servizi riguardano principalmente la popolazione anziana e fragile, come i malati cronici (gli over 65 rappresentano in media circa un quarto dei residenti nei Comuni delle aree interne, ma spesso superano il trenta per cento), alcune zone guardano anche alle giovani famiglie, a coloro che hanno bambini e vivono nei territori marginali.

    Francesco Silvestri del Comitato Tecnico Aree Interne ha presentato a Telese Terme quanto sta avvenendo nell’area interna dell’Appennino piacentino-parmense: «In uno dei comuni dell’area è in corso da alcuni anni un servizio di baby caring per i bambini 0-3 anni, che offre la possibilità di affidare il bambino in custodia per qualche ora alla scuola materna, mentre il famigliare provvede ai suoi impegni fuori casa. L’estensione di questa esperienza a tutta l’area interna è completata dall’organizzazione di un servizio integrativo di doposcuola (dalle materne alla secondaria di primo grado) organizzato in modo flessibile in relazione alle esigenze di ciascun Comune. Ad esempio, nei comuni di Bore, Tornolo e Morfasso, dove la riduzione di frequentanti ha visto l’eliminazione delle risorse MIUR per il tempo scuola prolungato, il sostegno prevede l’affidamento del servizio ad educatori, che consentiranno così la cura dei bambini almeno fino alle 16,30».

    Marco Renzi, sindaco di Sestino (Comune “ultraperiferico” nell’area interna del Casentino-Valtiberina, in Toscana) ha ricordato nel suo intervento che dopo aver richiesto ai residenti quali fossero i servizi più essenziali per assicurarne la permanenza, molti hanno indicato la pediatria, «che è un problema perché quei medici che ancora vengono in Appennino presto rinunciano: l’attenzione del territorio si è quindi spostata su un servizio di pediatria di iniziativa, supportata da una rete di infermieristica specialistica. La risposta che il territorio cerca di offrire è la prevenzione». Le azioni previste nella Strategia d’area vanno dalle visite a scuola di tutti i bambini (a cadenza triennale), allo screening della popolazione scolastica minorenne sulla salute dentaria; dalla formazione specialistica degli infermieri di territorio e dei pediatri di libera scelta, alla istituzione di team infermieri-pediatri per l’erogazione di prestazioni legate alla prevenzione (vaccinazioni, profilassi e sorveglianza delle malattie infettive, vigilanza sugli aspetti nutrizionali ed igienico-sanitari della ristorazione scolastica), dall’organizzazione di un ambulatorio pediatrico settimanale al potenziamento delle attività di supporto alla maternità, informazione alle gestanti, presa in carico personalizzata della puerpera, fino al rafforzamento delle competenze genitoriali negli stili di vita sani per i bambini.

    L’esempio più avanzato tra quelli presentati a Telese Terme è probabilmente quello dell’area interna abruzzese del Basso Sangro-Trigno, dove la progettazione della Strategia d’area ha portato alla creazione di un “Laboratorio di presa in cura della fragilità”, le cui linee di azione sono state presentate da Amalia Palumbo, dell’ASL di Lanciano e Chieti. Della Strategia d’area fanno parte 11 interventi sanitari e 7 socio-sanitari. Le sperimentazioni in atto garantiscono, ad esempio, una notevole riduzione (63%) dei ricoveri complessivi per i pazienti fragili assistiti a casa da un infermiere di comunità. Elemento essenziale e trasversale a tutte le azioni – che tra le altre cose prevede il potenziamento dei Presidi territoriali assistenziali e del servizio di risposta all’emergenza-urgenza, le farmacie di comunità e di servizi, ma anche il servizio di ostetrica di comunità – è la Centrale di Coordinamento e operativa di cure transazionali, con funzione di monitoraggio in continuo rivolto a tutte le persone fragili (che non solo solo gli anziani) presi in carico dall’ASL. La Centrale è il soggetto che accompagna il paziente, affinché possa ricevere cura ed assistenza adeguata, in ogni passaggio del suo percorso.

    Tracciando un filo rosso tra gli interventi e le azioni in programma nelle aree interne, Pasquale Falasca ha ricordato come le «famiglie tendano a spostarsi perché non ci sono servizi socio sanitari adeguati a partire dalla gravidanza, per poi arrivare al momento della nascita e alla presenza di pediatri. Per questo è importante la figura del ‘pediatra d’iniziativa’, che al pari dell’infermiere di comunità rappresenta un soggetto capace di integrare la propria funzione con i servizi e presidi presenti. Allo stesso modo, è fondamentale la figura dell’ostetrica di comunità, che monitora lo stato di salute delle donne, nella gravidanza e nel post gravidanza. Solo così – ha spiegato Falasca – è possibile riuscire a costruire davvero percorsi integrati e una possibilità di assistenza pari a quella che si trova nei centri maggiormente abitati. L’esempio relativo al baby-caring nell’Appennino piacentino parmense ci insegna che il cambiamento culturale non deve riguardare oggi solo i programmatori e gestori dei servizi, ma anche le famiglie, che devono riconoscere di potersi avvalere di nuovi servizi. Devono permettersi di pensare che anche chi viva nelle aree interne ha davvero accesso ai servizi essenziali».

    L’incontro di Telese Terme è stato chiuso da Sabrina Lucatelli, coordinatrice della SNAI, che ha chiuso i lavori. «La Strategia Nazionale Aree Interne è un programma che vive di finanziamenti ordinari, quelli della legge di Stabilità: le azioni che vengono immaginate e realizzate sono sempre in linea con gli interventi e le politiche già in essere. Le nostre sono innovazioni in una linea di continuità – ha detto Lucatelli -. Lo sforzo che dobbiamo fare deve andare nella direzione di tradurre queste innovazioni in soluzioni permanenti».

    Capaci di dare fiducia a quei 13 milioni di italiani che nelle aree interne, ostinatamente, continuano a vivere. In particolare a quel 13,2% che ha meno di 14 anni: i cittadini e gli adulti del futuro. Che devono poter scegliere di restare.


    Immagine di copertina: ph. Bogdan Dada da Unsplash

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