L’ultima banca che chiude in città cambia la vita a tutti i suoi abitanti
Nella cronaca locale di questi ultimi anni sono numerose le notizie riguardanti la chiusura delle filiali bancarie nei comuni e nelle frazioni di tutta la provincia italiana: crisi o opportunità?
Una battaglia con moltissimi vinti e pochi vincitori: è quella che va avanti da alcuni anni nei comuni di tutta Italia contro la chiusura delle filiali bancarie dei più grandi istituti di credito nazionali. Schermaglie combattute a colpi di dichiarazioni sui giornali, raccolte firme e in alcuni casi gesti più clamorosi come l’occupazione temporanea di una filiale in via di dismissione: storie locali, a volte localissime, ma che hanno un impatto diretto sulla vita di migliaia di persone, se si tiene conto del fatto che negli ultimi dieci anni il numero di comuni italiani con almeno uno sportello bancario è calato da 5.922 a 5.371 unità.
Dalla raccolta firme all’occupazione contro l’interruzione di “servizio pubblico”
È il caso di Zenson di Piave, in Veneto, dove il farmacista e il ferramenta locale hanno lanciato una petizione contro la chiusura dell’ultima banca del paese che ha raccolto oltre 400 firme su 1.800 abitanti. È anche il caso di Naro, in Sicilia, dove il sindaco ha scritto ai vertici di Unicredit dichiarando che “alcuni anziani sono stati privati della liquidità per far fronte alle necessità della vita quotidiana” dopo la chiusura dell’ultima filiale in un paese di oltre 7.000 abitanti. È la storia di Valfenera, in Piemonte, dove il sindaco ha presentato un esposto alla magistratura dopo la decisione di Intesa San Paolo di disattivare l’unico ATM in paese.
A volte capita di vincere, ma sono pur sempre vittorie di retroguardia: a Pierantonio, nel Lazio, la raccolta firme e la mobilitazione dei cittadini ha avuto come effetto quello di convincere la banca a mantenere attivo il servizio automatico di versamento e prelievo di contanti dopo la chiusura dell’ultima filiale della frazione. Altre strategie, più audaci o più disperate, non sembrano sortire l’effetto desiderato: il sindaco di Ofena, in Abruzzo, ha occupato insieme ai consiglieri i locali della filiale di BPER per protestare contro una chiusura definita “ingiusta e irrispettosa nei confronti dei cittadini”.
Per lo più ci si limita alle parole: così il sindaco di Santa Marinella, nel Lazio, ha dichiarato che si sarebbe opposto alle chiusure di due filiali “in ogni modo e in ogni sede”, mentre a Torre del Reno, in Emilia, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità una mozione all’ordine del giorno per scongiurare la chiusura dell’ultima filiale “in una frazione già provata dal sisma”. Pochi ottengono udienza, molti non ricevono neppure risposta, come il sindaco di Forno Canavese, in Piemonte, che dichiara di aver inviato numerose “missive” ai dirigenti di Unicredit i quali “non si sono neppure degnati di una risposta” a distanza di mesi… Non è l’unico, purtroppo.
“Lasciateci almeno l’ATM”: una supplica e un ultimatum
Eppure, a leggere nel dettaglio questi articoli e molti altri presenti sulla stampa locale di tutto il Paese, appare evidente come l’obiettivo delle varie lettere, petizioni e iniziative di protesta non sia tanto la chiusura dell’ultima filiale bancaria quanto la perdita definitiva del suo “alter ego” meccanico. Le proteste esplodono, le raccolte firme diventano virali, quando insieme ai bancari se ne va anche l’ATM, ultimo contatto con quella “materialità” del denaro che nella nostra società non è ancora venuta meno del tutto. Perfino in Svezia, la “cashless society” per eccellenza, una legge che entrerà in vigore nel 2021 impone alle maggiori banche di continuare a offrire servizi di versamento e prelievo di denaro contante su tutto il territorio nazionale.
Per capire questo fenomeno bisogna uscire dalle categorie interpretative del marketing – quelle che riducono la scelta tra un servizio bancario e l’altro a mere questioni di “convenienza” e “rapidità” – e addentrarci nel più intricato mondo delle rappresentazioni del denaro. Entità di valore universale o convenzione sociale? La risposta non si trova né nei manuali di testo universitari, né nei desiderata dei consigli di amministrazione degli istituti finanziari: la chiusura dell’ultima banca, la disattivazione dell’ultimo ATM è la definitiva dimostrazione del fatto che la ricchezza prodotta dagli individui e dalla comunità cui questi appartengono si è spostata in un altrove indefinito. Un fenomeno in atto da tempo ma che la scomparsa dell’ultimo segno della presenza bancaria rende per la prima volta evidente anche agli occhi delle persone prive di conoscenza in materia.
Le banche, tuttavia, non si stanno smaterializzando: dal grattacielo di Intesa San Paolo a Torino a quello di Unicredit a Milano fino alla nuova sede BNL a Roma, i grandi istituti di credito hanno investito sulla propria presenza scenografica nei centri urbani negli stessi anni in cui chiudevano senza appello le loro filiali di provincia. In un mondo dove la capacità di attrarre depositi sembra essere ancora oggi direttamente proporzionale a una esibizione architettonica di ricchezza e prestigio (da qui, in parte, si spiega la persistente difficoltà di crescita dalle“neobank” prive di qualsiasi presenza sul territorio), la chiusura dell’”ultimo ATM” apre scenari e opportunità finora inediti: chi prenderà il posto delle banche nei territori rimasti orfani di queste ultime?
Chi prenderà il posto delle banche?
Startup “fintech” attive nel settore dei pagamenti di prossimità, del lending e dell’equity crowdfunding, dell’invoice trading, ma anche i circuiti di credito commerciali e le grandi aziende tecnologiche come Google, Facebook e Amazon, che non hanno mai fatto mistero di voler espandersi nei servizi finanziari: ognuno di questi operatori è candidato all’eredità delle grandi banche nei territori di provincia. La speranza è che chi prenderà il posto di queste ultime si ponga come obiettivo minimo sia quello di assicurare la piena inclusione finanziaria di anziani, migranti e altre persone tradizionalmente “unbanked”, sia quello di attrarre e redistribuire la ricchezza prodotta “in loco” verso nuove imprese, startup e servizi locali di interesse pubblico privato, invertendo il deflusso di capitali verso la grande città. È ancora presto, oggi, per fare previsioni: nel frattempo, la polvere continua ad accumularsi sulle vetrate che contenevano l’ultimo ATM di Zenson di Piave, Naro, Valfenera, e di centinaia di altri luoghi “dimenticati”.