Premediare il cambiamento: il caso #occupywallstreet

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    In che modo i movimenti creano opinione pubblica e mobilitano coloro che vi partecipano? Il caso di #occupywallstreet dell’autunno del 2011 ci fornisce un modello. Già alla seconda settimana di vita, il movimento chiamato #occupywallstreet aveva cominciato ad attrarre l’attenzione dei media e delle celebrità.

    L’eccessiva brutalità della polizia richiamò l’attenzione del “New York Times”, delle tre grandi reti televisive americane e dei notiziari via cavo come MSNBC, CNN e Fox. Tale attenzione dei media mainstream ha favorito un dibattito, sempre più intenso, nell’ambito dei media online e della sfera dei blog in merito alla natura condiscendente o triviale della copertura mediatica e anche in relazione al significato di questa “occupazione”, alla sua strategia tattica e comunicativa e ai suoi obiettivi di lungo termine.

    Il tema principale di gran parte di tale dibattito (e anche delle critiche meta-mediali) era il significato di questa occupazione, cosa essa rappresentava e cosa sarebbe potuta diventare. Ciò che mancava in questi racconti dei media partecipativi e mainstream era una discussione critica e teorica di #occupywallstreet in quanto tale, ovvero in quanto atto di mediazione, o come io lo intendo, di premediazione. La mia tesi è che #occupywallstreet si comprende meglio se inteso come premediazione dell’occupazione di Wall Street. Mi spiego meglio.

    Dal momento che gran parte delle premediazioni politiche riuscite del XXI secolo sono state al servizio del potere dello Stato e delle grandi società, mi è stato spesso chiesto se la premediazione sia in grado di contestare, opporsi o rovesciare il potere egemonico.

    Per dirlo più brutalmente, la premediazione può sostenere o aiutare ad attualizzare un cambiamento politico o una rivoluzione? Da quando, nel 2003, ho introdotto il concetto di premediazione, ho costantemente sostenuto che la premediazione non è legata ad un progetto politico particolare; essa descrive una formazione mediale che è emersa e si è intensificata nell’ambito di un regime sociale, politico e mediale storicamente ben definito.

    Poiché la premediazione alimenta ed è alimentata dalla paura, l’ambiente di sicurizzazione post 11 settembre ha rappresentato un momento particolarmente ricco per il potere statale per dispiegare strategie di premediazione come forma di controllo preventivo – come si è visto con la drammatica espansione del potere esecutivo di Bush-Cheney nella dichiarazione di guerra all’Iraq e nella creazione di un potente apparato di sicurezza nazionale.

    Nella misura in cui la premediazione genera futuri virtuali o potenziali per mobilitare nel presente un’affettività individuale e collettiva, non c’è alcuna ragione per ritenere che tali futuri non possano accendere o nutrire uno stato affettivo collettivo di opposizione o ribellione.

    Ritengo che #occupywallstreet sia riuscito esattamente a fare ciò, indipendentemente dal breve periodo di durata dell’occupazione o dal cambiamento politico limitato che alla fine ne è derivato. #Occupywallstreet ha aperto un percorso verso futuri potenziali in cui l’occupazione di Wall Street (o l’occupazione politica di altri siti) può essere attualizzata.

    Qualunque siano gli obiettivi, le tattiche o le conclusioni definitive, #occupywallstreet è riuscita a premediare la futura occupazione di Wall Street, anche se tale occupazione non si verificherà mai più.

    (…) 

 Il carattere virtuale del movimento era evidente fin dal suo nome, che invocava l’occupazione di Wall Street pur non avendo mai occupato di fatto Wall Street. L’occupazione avvenne a Zuccotti Park – che è vicino Wall Street, ma Wall Street – inteso come borsa di New York, strada o luogo geografico – non è stata mai fisicamente occupata.

    È stata, tuttavia, occupata virtualmente, come lo furono Times Square, Chicago, Los Angeles o la Borsa di Londra nel 2011, o più recentemente piazza Taksim a Istanbul e altri luoghi in Brasile. Sebbene molti veterani delle prime occupazioni continuino ad argomentare che l’occupazione implica l’entrare nei palazzi e il prenderne possesso – come hanno fatto con lo State Capitol Building i manifestanti in Wisconsin – intendo sostenere che è proprio il carattere potenziale di queste occupazioni, la premediazione di potenziali occupazioni future, più grandi, più numerose e più efficaci, che ha dato vigore al movimento Occupy e ha determinato il suo conseguente successo.

    Il carattere virtuale del movimento Occupy trovava manifestazione anche nel sentimento diffuso che il movimento non dovesse formulare richieste precise, perché in questo modo avrebbe prematuramente e inutilmente bloccato e limitato la propria capacità aggregativa.

    A dispetto del numero sempre maggioredi appelli provenienti da parte dei politici, degli intellettuali e della classe degli opinionisti dei media mainstream affinché il movimento sviluppasse una lista di richieste specifiche, l’opinione che tali richieste sarebbero state premature raccoglieva un consenso ancora più ampio. (…) 
La mia tesi, dunque, è che il successo di #occupywallstreet è da rintracciare nel fatto che non c’è stato mai il momento giusto per fare delle richieste.

    Ho sostenuto altrove che la premediazione funziona mobilitando nel presente l’affettività collettiva. La premediazione utilizza molteplici modalità della mediazione e della rimediazione nel dare forma all’affettività dell’opinione pubblica, nel preparare le persone ad un campo di possibili azioni future, nel produrre uno stato d’animo o una struttura del sentire che rende possibile certi tipi di azioni, pensieri, discorsi, affettività, sentimenti o umori.

    Queste mediazioni potevano non sembrare possibili prima o potevano risultare fallimentari o non produrre effetti nella sfera mediale pubblica. In quanto evento della premediazione, #occupywallstreet ha operato per cambiare, per un certo periodo, l’intonazione emotiva o affettiva collettiva nell’ambito dei media, dei discorsi pubblici, dei social network e nella sfera pubblica, a tal punto che parlare di una sanatoria dei debiti legati all’università o ai mutui, rivendicare un aumento delle tasse per i più ricchi e per le imprese o pensare di ridefinire le relazioni di proprietà e quelle economiche non solo è diventato ammissibile, ma ha cominciato ad apparire come buon senso condiviso. (…)

    Nel premediare una varietà di potenziali futuri economici alternativi, #occupywallstreet ha permesso a figure dei media mainstream e ai politici di prendere posizioni che non avrebbero mai potuto sostenere prima, configurando umori e strutture del sentire da cui emerge un più intenso sentimento di ingiustizia economica.

    Prima che qualunque obiettivo specifico potesse essere rivendicato, e anche se ciò non dovesse mai avvenire, #occupywallstreet è riuscito a promuovere e intensificare ciò che Jonathan Flatley definirebbe «un contro-stato affettivo rivoluzionario».


    Pubblichiamo un estratto da “Premediare il cambiamento politico: il caso #occupywallstreet” in Radical Mediation, di R. Grusin, traduzione a cura di A. Maiello (Luigi Pellegrini editore)

    Note