Per fermare l’anestesia sociale dobbiamo rivoluzionare l’attivismo

Il welfare frammentato in micro prestazioni da finanziare con risorse pubbliche decrescenti e il capitalismo che massimizza la sua capacità di estrarre valore grazie alla platform economy contribuiscono a mettere (ulteriormente) sotto pressione le pratiche di riproduzione sociale.

Da una parte servizi sociali sempre più sterili rispetto al contesto e soggetti a vincoli di spesa; dall’altra tecnologie digitali ad accessibilità ormai illimitata che consentono di connettere risorse parcellizzate su vasta scala. Dinamiche differenti ma con medesimo risultato: la ridefinizione del campo e delle regole di gioco per tutte quelle azioni che ai confini dell’informale riproducono il tessuto di relazioni sociali che fa da trama all’esistenza: empatia, dialogo, cura, affettività.

La pandemia, in tal senso, amplifica tutti questi processi: riporta in primo piano i beni pubblici nella loro dimensione più specialistica e uniforme (dalla sanità d’emergenza alla consegna dei farmaci) e contribuisce a mettere a regime modelli di servizio e di business di piattaforme che ormai, oltre che “nelle cose”, sono sempre più “nelle relazioni” (dal lavoro alla formazione, dal commercio alla cultura).

Ridefinizione delle regole di gioco per tutte quelle azioni che ai confini dell’informale riproducono il tessuto di relazioni sociali

La rilevanza di queste dinamiche esogene non sembra comunque esaurire i processi di riproduzione sociale, ma piuttosto a disvelarli in forme e nuove e ambivalenti dove cioè è sempre più difficile stabilire il confine tra fagocitazione tecnologica, consumo seriale e aspirazione a una vita più ricca di significati che sfugge ai tradizionali intermediari sociali.

Quel che sembra persistere, anche in questa fase, è una domanda di cambiamento rispetto alla quale sarà interessante osservare, magari facendone parte, le espressioni e gli esiti. Da una parte in termini di reazione rispetto al modello di produzione economica e culturale del “realismo capitalista” che non ammette altro da sé, ma anche rispetto a un esercizio del governo pubblico che tende a sommare, oltre ai fallimenti gestionali con i quali si convive ormai stabilmente, anche una dimensione autoritativa meno conosciuta negli ultimi decenni. D’altro canto l’innesco di questi stessi processi è anche legato alla dotazione collettiva in termini di aspirazioni al futuro rispetto alle quali certamente non può bastare un “andrà tutto bene” che più passa il tempo del lock down e più appare meno credibile.

In sintesi lo shock della pandemia potrebbe generare, oltre a una recessione economica più che certa, un’anestetizzazione sociale caratterizzata da un prevalente sentimento di prudenza verso un attivismo che per essere agito in modo non nichilistico richiede in questa fase investimenti psichici, cognitivi e relazionali elevati per proiettare il sé in una qualche nuova dimensione collettiva.

Un progettazione sociale non come semplice tool ma capace di una forte connotazione antropologica e sociale

Questo pluriverso ricco e variegato che scaturisce dalle relazioni primarie si caratterizza per due tratti distintivi. Il primo è l’essere design-oriented, cioè vocato a trovare soluzioni attraverso l’uso della progettazione non come un semplice tool ma come connotazione antropologica e sociale, mentre il secondo tratto consiste nell’essere poco propenso all’istituzionalizzazione, cioè con scarsa attenzione a dimensioni organizzative formali e alle ritualità del dialogo sociale tra i corpi intermedi.

Questi atteggiamenti che sono insieme pragmatici nell’azione e consapevoli nelle scelte hanno fin qui consentito a queste realtà di operare con l’agilità necessaria per non cadere vittime dei meccanismi di burocratizzazione pubblica e, almeno in parte, di estrazione del valore da parte del capitalismo.

L’approccio al design produce infatti elementi di significato agendo attraverso una “logica della situazione” e una “ingegneria passo passo” che, come ricordava Karl Popper, è propria di chi attraverso un approccio di ricerca latamente inteso sfida sul banco di prova della pratica modelli teorici e matrici ideologiche.

Allo stesso tempo le tecnologie digitali che potenziano capacità di coordinamento e cooperazione tra individuai e comunità tendono, come ricorda Yoachim Benkler, a rendere meno frequente l’utilizzo di meccanismi organizzativi “terzi” che ne formalizzano gli assetti, anche se si tratta di perseguire obiettivi di medio – lungo periodo e con consistenti margini di incertezza.

Le tecnologie digitali potenziano capacità di coordinamento e cooperazione rendendo meno frequente l’utilizzo di meccanismi organizzativi “terzi”

Oggi però la forza dei driver esterni tende ad aumentare anche nel contesto pandemico e nella sua agognata (e forse temuta) “fase 2”. Il welfare istituzionale ha riaperto già da qualche tempo i suoi laboratori di innovazione sociale rispolverando la dimensione comunitaria mentre il capitalismo ha progressivamente raffinato la capacità di cogliere i meccanismi di riproduzione sociale per incorporarli all’interno di value chain che si accorciano intorno alla dimensione di luogo come dimostra, ad esempio, l’irruzione della dimensione “esperienziale” nell’offerta culturale, ricreativa, turistica.

Quale destino attende allora le dinamiche della riproduzione sociale? A livello strategico la soluzione può essere ricercata, da una parte, nel fondare organizzazioni nuove come lasciano intravedere i processi di ibridazione nel campo sempre più dilatato e popolato dell’imprenditoria sociale.

Oppure, su un altro fronte, nel generare cambiamento organizzativo attraverso processi di innovazione aperta capaci di incidere non solo sul contenuto dei beni, ma anche sulle finalità e sulle culture di istituzioni e imprese anche non marchiate in senso sociale che comunque si impegnano, a vario titolo, a renderli disponibili.

Ma questi mutamenti non si si possono ricondurre solo a questioni di ordine strategico e di ingegneria organizzativa perché investono i meccanismi più profondi che determinano il carattere ”sorgivo” della riproduzione sociale.

Due in particolare appaiono sollecitati ovvero volontariato e mutualismo che nel novecento sono evoluti fondando culture e organizzazioni prossime ma diverse: l’uno a rappresentare la libertà della scelta individuale a favore degli altri, l’altro che invece richiama la capacità di risposta collettiva basata sul coagulo di bisogni e risorse.

I due motori della riproduzione sociale – volontariato e mutualismo – sono sollecitati a cambiare e a ibridarsi

Ora però, sia per le spinte endogene che per gli effetti delle variabili esterne descritte in precedenza, i due motori della riproduzione sociale sono sollecitati a cambiare (anche per i limiti che ne hanno progressivamente rallentato la spinta trasformativa) e soprattutto a ibridarsi. Segnali in tal senso si sono già manifestati, ad esempio nella cooperazione sociale che è nata, anche se forse poi non evoluta, ricombinando volontariato e mutualismo.

Ma ci sono anche fenomeni più recenti, eterogenei ed eterodossi che, ad esempio, rompono il legame privilegiato tra volontariato e reciprocità comprendendo anche una componente di mercato, come è emerso dall’indagine sui giovani “volontari” che parteciparono ad Expo Milano. Oppure, su tutt’altro fronte, iniziative legate a processi di rigenerazione sociale e innovazione culturale come Cre.Zi. Plus a Palermo e La Scuola Open Source a Bari che contribuiscono a riscrivere l’”algoritmo” dello scambio mutualistico tracciandolo non solo attraverso transazioni economiche, ma ricomprendendo anche apporti in kind che provano a intercettare risorse derivanti da strutture motivazionali e aspettative sempre più mutevoli e complesse.

Tutto ancora circoscritto e fluido, ma nel nuovo scenario è possibile che si aprano nuove opportunità intraprese anche in forme più spontanee e meno consapevoli rispetto al ruolo pionieristico esercitato. Sarebbe un indicatore interessante per riempire di significato la “nuova normalità” che ci attende. Un’altra espressione in voga e altrettanto incerta rispetto ai suoi possibili esiti.