Ci stiamo forse, pian piano, riabituando ai concerti. L’anno e mezzo appena trascorso è stato, per chi è appassionato di musica, un periodo difficilissimo. Prima lo stop a tutti gli eventi dal vivo, poi le flebili riaperture, con condizioni e compromessi che per molti club e locali rendono molto complicato far tornare i conti, con bar chiusi, capienze ridottissime, posti solo a sedere, costi che si fanno insostenibili. Ora, una parvenza di ritorno alla normalità, che chissà quanto durerà.
La sensazione di incertezza che ha accompagnato in questi mesi chi di mestiere fa il musicista, il fonico, il booking agent, l’organizzatore di concerti, qualcosina di buono lo ha prodotto: per la prima volta è nato un dibattito intorno a cosa significhi fare musica in Italia, si sono formati gruppi e associazioni, sono state avanzate delle rivendicazioni sindacali, e qualcuno ha provato a porre questioni importanti come quello dell’accessibilità ai concerti.
È mancato, purtoppo quasi sempre, il supporto delle amministrazioni pubbliche. La cultura, par di capire, non è una priorità strategica, come se non fosse lo strumento principale da cui partire per agire sull’immaginario e cambiare le cose. La musica men che meno, non vi bastano i talent in tv, lo streaming sulle piattaforme, la vittoria all’Eurovision?
Ecco, no, non ci basta. È dal vivo che la musica arriva davvero alle persone, fa sentire parte di una comunità, crea incontri, cambia le vite. Annulla quell’isolamento che, per chi fa parte di questo mondo, è durato molto più del previsto.
Meglio di altri lo ha capito l’Ater, l’Associazione Teatri Emilia Romagna, che da oltre cinquant’anni supporta in diversi modi il lavoro artistico, producendo spettacoli, dando vita ad eventi, inventando format, muovendosi dalla musica classica, al teatro, alla danza. E che, in risposta alle difficoltà del settore della musica dal vivo, ha creato Biglia, un circuito che mette in comunicazione alcuni live club e teatri regionali, ospitando eventi musicali unici e realizzati appositamente per la rassegna.
«L’idea è nata con il secondo lockdown del 2020» racconta Roberto De Lellis, direttore di Ater, «quando non immaginavamo ancora che dopo le aperture estive tutto si sarebbe fermato di nuovo. L’intento era quello di ridare fiato alla musica dal vivo, perché anche prima della pandemia c’era molta sofferenza, per questi luoghi la situazione da tempo non è rosea. Per cui sentivamo forte l’esigenza di immaginare e progettare una ripartenza».
I club coinvolti nel progetto di Biglia sono quattro: il Locomotiv di Bologna, l’Off di Modena, il Circolo Kessel di Cavriago, il Bronson di Ravenna (quest’estate ho intervistato il suo fondatore, per parlare proprio delle difficoltà di chi organizza concerti). Poi ci sono due teatri del circuito di Ater, il Teatro «Laura Betti» di Casalecchio di Reno e lo Snaporaz di Cattolica.
Il programma di eventi dal vivo, che si sono svolti per la maggior parte tra ottobre e novembre, è nato mettendo insieme proposte originali e collaborazioni inedite, ideate dai club insieme ad Ater, lasciando agli artisti la possibilità di muoversi in modo più libero e non necessariamente legato a dischi e tour promozionali.
C’è stato ad esempio il progetto ON, trio formato dal chitarrista Adriano Viterbini (dei Bud Spencer Blues Explosion), dal cantautore Riccardo Sinigallia e dal rapper Ice One. Un concerto arricchito da alcune installazioni multimediali con rappresentazioni grafiche dei suoni, «un evento unico dove l’improvvisazione ha avuto un grande ruolo, tant’è che in ciascuno dei club in cui si sono esibiti ci sono state quattro sessioni completamente diverse».
E ancora: la collaborazione tra due tra le più interessanti proposte di quella nuova musica d’autore che comunica con l’elettronica, la trap, il folk, ossia Emma Nolde e Generic Animal, per la prima volta insieme su un palco a dare una veste completamente nuova ai propri brani.
Poi gli Ovo (una delle mie band del cuore), che con il loro noise pesantissimo e oscuro hanno suonato la colonna sonora dal vivo de «L’inferno», film muto italiano del 1911, che per primo ha provato a trasporre sullo schermo la prima cantica della Divina Commedia, nella ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante.
«Ci siamo chiesti: come facciamo a far tornare le persone nei club?», spiega De Lellis. «La cosa su cui abbiamo puntato è stata quella di creare degli eventi originali, creati apposta per noi, qualcosa di unico, che spingesse le persone a venire perché o le vedono qui oppure non le vedranno più. La musica dal vivo deve trovare in questo momento un modo per differenziarsi dalla musica riprodotta, è questa la scommessa, cercare di riportare il pubblico nei club facendogli capire che dal vivo assiste a qualcosa di irripetibile, che non si trova disponibile ovunque, né su Spotify, né riprodotto online. Oggi la musica soffre del fatto che, secondo noi, ce n’è fin troppa, ma sono davvero pochi in realtà gli eventi così particolari, speciali, eccezionali».
Quella dei concerti non è stata l’unica iniziativa portata avanti in questi mesi. Tra aprile e giugno di quest’anno, Biglia ha proposto a una quindicina di ragazzi tra i 15 e i 21 anni un laboratorio di musica rap e hip hop, Flow, che sotto la guida di alcuni musicisti della zona, come il rapper bolognese Menny (classe 1999) e il duo dei So Beast, hanno imparato a scrivere un pezzo hip hop. «È stato interessante» riflette De Lellis, «perché con questo tipo di azioni cerchiamo di sensibilizzare e formare il pubblico, avvicinando i più giovani».
Roberto De Lellis, che è diventato direttore di Ater nell’estate del 2020, in questi anni si è dedicato al lavoro con gli artisti in particolare negli ambiti del teatro e della danza, lavorando per molti anni al festival di Santarcangelo e poi alla Biennale di Venezia, passando per molti teatri e festival italiani. Una delle intuizioni più interessanti è stata quella di applicare anche al mondo della musica molte delle pratiche che hanno funzionato in altri ambiti, come il supporto nella produzione di spettacoli originali, le residenze artistiche, un circuito sostenuto anche dai finanziamenti pubblici.
«Cerchiamo di svolgere una funzione che in paesi come la Francia esiste in realtà da molti anni, dove lo stato assicura addirittura dei luoghi sovvenzionati perché la musica dal vivo si faccia», spiega De Lellis. «Da noi si è sempre pensato la quella da aiutare fosse la musica classica e basta, perché il resto non aveva bisogno di essere sostenuta. E invece anche la musica pop, rock, indipendente, oggi ha delle difficoltà e credo si debba aiutarla, assolutamente».
Sulla necessità di investire dei fondi pubblici per questo settore non ha alcun dubbio. «Certo, come facciamo dappertutto. Ci sembra doveroso, nel momento in cui vediamo che questo settore, i musicisti, i club, soffrono tanto e forse anche più di altre forme di spettacolo».
«In questo momento per noi è una scommessa», continua De Lellis, «ci siamo assunti l’onere totale dei cachet degli artisti, mentre i club mettono a disposizione ovviamente le loro sale e le attrezzature tecniche, dandoci sempre una mano a vicenda. Dagli incassi ci attendevamo ben poco, da un lato perché le capienze erano ridotte, e poi perché abbiamo imposto comunque dei prezzi molto accessibili, è chiaro che tutto ciò non basti a coprire le spese. Ma per noi è importante aiutare consistentemente il progetto a partire, dando un supporto, finché ce ne sia bisogno»
Un progetto come Biglia, nato in una regione particolarmene attenta al ruolo della cultura nella vita delle persone e al lavoro degli artisti, è sicuramente un punto di partenza per un rapporto nuovo tra locali e luoghi in cui si fa musica nuova e originale e amministrazioni pubbliche. E questo vale tanto più a seguito della pandemia, quando un intero settore ha mostrato tutte le sue vulnerabilità e i suoi punti deboli, richiamando ripetutamente l’attenzione sulle condizioni di lavoro e sul ruolo fondamentale che, in tutto questo, potrebbe avere lo Stato. Finora, tuttavia, sono davvero poche le amministrazioni e le realtà locali che hanno deciso di mettere la musica al centro.
«Noi siamo partiti perché volevamo farlo», spiega De Lellis. «Speriamo davvero che questo modello possa diffondersi anche in altre regioni. Stiamo lavorando soprattutto a questo, a far sì che si possa pian piano allargare, com’è successo a tanti altri progetti. Come con la danza, ad esempio: siamo partiti con Anticorpi nel 2006, c’era solamente l’Emilia Romagna, adesso ci sono 36 soci in quel network, abbiamo costruito una rete molto più larga, ma ci abbiamo messo qualche anno, serve avere pazienza e costanza. Abbiamo l’ambizione di diventare un modello anche per altri, d’altra parte questa regione è sempre stata un po’ l’apripista in tante cose, soprattutto per quanto riguarda l’ambito culturale e artistico, e oggi vorremmo fare lo stesso anche per la musica popolare contemporanea. La logica che muove Ater in questo momento è quella di aiutare chi ne ha bisogno, soprattutto i piccoli e non le grandi realtà».