L’identità di Macao e il suo processo produttivo
Siamo nella periferia est di Milano, viale Molise 68, a fianco dell’Ortomercato, una delle più grandi aree abbandonate localizzate in centro città di tutta Europa – e di uno dei più grandi fallimenti urbanistici degli ultimi tempi. Qui dovevano sorgere un complesso multifunzionale, costituito da residenze, alberghi, commercio, aree verdi ma soprattutto la BEIC – la Biblioteca Europea d’informazione e cultura. Invece è tutto fermo, da anni, ed è di qualche mese fa la notizia del fallimento della società Porta Vittoria spa.
È in questo contesto urbano che ha sede Macao – “il nuovo centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca” – occupando l’Ex Borsa del Macello di viale Molise, una palazzina liberty inutilizzata da anni e anch’essa coinvolta in un progetto di riqualificazione più ampio mai realizzato.
La nascita di Macao, quando ancora non si chiamava così, ha a che fare dapprima, nel 2011, con un percorso politico teorico di persone, i Lavoratori dell’Arte e dello Spettacolo, in altre parole con la mobilitazione di una rete di soggetti e di società civile legata alla produzione creativa e artistica ma anche alla ricerca, al lavoro, all’economia e allo sviluppo urbano, con l’obiettivo di “promuovere l’arte e la cultura come beni comuni e sviluppare pratiche e discussioni intorno alla necessità di costruire un nuovo welfare culturale”.
La prima stagione di questo movimento si è dislocata per circa nove mesi in modo itinerante e disperso in giro per la città, criticando il panorama milanese delle istituzioni culturali, perché troppo legate a grandi progetti e investimenti e per il rapporto poco indagato tra arte e sfera pubblica. Da qui scaturiva una sofferenza per l’effettiva mancanza di spazi ma soprattutto di progetti culturali e multidisciplinari che avessero un ruolo sociale, e il bisogno di provare a trasformare la cultura da semplice programmazione di eventi a condizione sociale diffusa e accessibile a tutti, sostenendo una produzione culturale e di lavoro come common ground tra tipologie di attori diverse, a prescindere dal luogo in cui si realizzano.
Gradualmente è emersa la necessità di dotarsi anche di un luogo fisico, dopo aver monitorato per qualche tempo i potenziali luoghi abbandonati dove potersi insediare. I primi tentativi di legarsi a una dimensione spaziale si verificano nel maggio del 2012, con l’occupazione di due immobili molto diversi tra loro, prima della Torre Galfa – ex sede di una banca, rimasta in attesa di una riqualificazione possibile dal 1996 – e poi di Palazzo Citterio – edificio storico inserito nel progetto “Grande Brera” – come occasione per provare a dimostrare che la capacità cooperante e che modalità alternative di produrre arte e cultura possono essere messe a servizio della collettività, avere un ruolo nel ripensare la città e alcune dinamiche della società e possono anche generare delle richieste precise nei confronti dell’amministrazione.
È nel giugno del 2012, dopo entrambi gli sgomberi – e dopo la proposta del Comune di utilizzare gli spazi dell’ex Ansaldo come officine per la creatività per tutti i soggetti che avessero voglia di confrontarsi sul panorama culturale milanese – che Macao si insedia all’interno della Palazzina Liberty, di proprietà di Sogemi, la società a partecipazione comunale che gestisce la grande area dell’Ortomercato e i mercati milanesi. Si tratta di un edificio in stile Liberty del XX secolo, di cui mantiene ancora il fascino e le decorazioni floreali, cui si accede attraverso un’ampia scalinata esterna. In stato di abbandono e degrado dal 1980, è composto da due piani che si affacciano su un salone centrale, dove si contrattava il prezzo della carne, inizialmente coperto da un lucernario di vetro e poi sostituito da plexiglass come primo lavoro di ristrutturazione da parte dei membri di Macao, dando il via ad un processo lungo e a costi molto contenuti di pulizia e riappropriazione dello spazio.
Attorno al cortile centrale si sviluppano poi il bar e un labirinto di stanze, vani scala, corridoi da cui si accede ad altre stanze, alcune adibite a spazi tecnici, altre a sala cinema teatro o a piccoli studioli di registrazione.
La costituzione di Macao, con il suo contributo alla scena pubblica e all’immaginario collettivo, ha da una parte generato “un corto circuito, un elemento di discontinuità rispetto allo scenario standard”, accelerando anche alcune politiche e strategie dell’amministrazione. Dall’altra è in qualche modo riuscito a richiamare a sè molte energie, curiosità e partecipazione, una specie di spinta all’azione collettiva e spontanea, sviluppatasi come esito di un bisogno urbano generazionale – di quei lavoratori della produzione creativa e operatori culturali con molte competenze ma intrappolati in una condizione di sostenibilità individuale multi-tasking – che necessitava, in un modo o nell’altro, di nuove possibilità, strumenti e proposte.
Rispetto al nucleo originale di partenza e grazie anche alle diverse esperienze di occupazione, Macao si è notevolmente modificato e ampliato nel tempo, dotandosi progressivamente di un modello decisionale orizzontale e di una governance aperta, accessibile a chiunque e cui non corrisponde un’organizzazione interna nel senso più tradizionale del termine. L’unità minima inalienabile di tale modello di governance, mi spiegano, è la composizione dell’assemblea – “che si riunisce settimanalmente e che ha l’ultima parola su tutto, basandosi sul metodo del consenso per cui una decisione o un progetto provano ad essere l’esito di accordi e aggiustamenti tra maggioranza e minoranza dei partecipanti”.
Attorno all’assemblea centrale gravitano i diversi progetti, che devono necessariamente svilupparsi responsabilmente e autonomamente cercando i propri mezzi per essere sostenibili e lasciando poi all’amministrazione centrale un contributo derivante dall’evento organizzato. L’amministrazione centrale ha poi il compito di promuovere l’interazione tra progetti, garantire l’accesso ai mezzi di produzione e gestire la condivisione delle risorse e dei profitti e la socializzazione dei rischi.
La strutturazione per tavoli tematici e progetti – ognuno dei quali possiede lo stesso peso e la stessa posizione, da quelli organizzativi a quelli più di contenuto – la sperimentazione di diverse modalità partecipative, la necessità di fare rete, sia con soggetti simili che con realtà più strutturate e formali, il rifiuto di qualsiasi forma di leadership e di curatela artistica ma invece una produzione culturale organizzata collettivamente e una gestione altamente decentralizzata che cerca di ridurre al minimo i costi dell’amministrazione centrale contribuiscono a rendere Macao una modalità operativa e organizzativa del fare cultura più che uno spazio fisico multifunzionale.
La programmazione è molto varia, da concerti a seminari di approfondimento politico, performance teatrali, proiezione di film, corsi di formazione per comunità specifiche, percorsi espositivi – arrivando ad ospitare uno degli appuntamenti della Settimana della Moda ma declinandolo attraverso contenuti alternativi – cercando di mantenere sempre una sensibilità alla sperimentazione, soprattutto musicale e alla contaminazione tra linguaggi performativi e discipline che siano in grado di accogliere pubblici e target diversificati a seconda dei contenuti artistici e tematici che vengono mobilitati. Capita spesso che molte delle persone che frequentano Macao, soprattutto in relazione alla programmazione musicale, decidano poi di prendere parte ad alcuni progetti avanzando delle proposte, partecipando quindi all’assemblea e al tavolo tematico specifico. Questa modalità è stata ufficializzata attraverso una call promossa ogni due settimane con l’obiettivo di chiamare a raccolta tutti i progetti esterni e capire se si tratta di un progettazione isolata o di un primo accesso per collaborare con continuità.
Più recentemente Macao sta sperimentando l’utilizzo di piattaforme cooperative e di infrastrutture economico-finanziarie alternative, grazie alla partecipazione a progetti europei e al partenariato con altri casi. Nello specifico la sperimentazione riguarda da una parte la possibilità di far circolare internamente tra l’assemblea centrale e i diversi progetti una criptomoneta, che ha consentito di automatizzare un processo già implicito usando un circuito di valorizzazione per cui “più si contribuisce allo spazio, più si ha diritto ad usarlo e a prendere parte alla gestione della programmazione”. Dall’altra l’inserimento all’interno di una cooperativa europea che fornisce un’unica identità legale e fiscale per chiunque vi aderisca consente di abbassare ulteriormente alcuni costi.
L’identità di Macao e il suo processo produttivo non sono quindi predeterminati ma sono costantemente ridiscussi e negoziati nel tempo, gli esiti di un processo inclusivo che coinvolge tutti i nuovi soggetti che ogni volta si aggiungono al percorso e vi partecipano come ad un laboratorio condiviso. “Abbiamo provato a costruire un’ecologia in cui condividiamo quello che facciamo, redistribuendone il valore alla collettività”.