Prosegue con un testo tratto da Il cammino della Comunità (Edizioni di Comunità 2013 – Introduzione di Salvatore Settis) la collaborazione tra Edizioni di Comunità e cheFare che ha l’obiettivo di divulgare il pensiero di Adriano Olivetti anche nel mondo dell’innovazione culturale italiana che molto deve alla pratica e alle teorie da lui elaborate.
Per questa occasione si è voluto editare il testo originale mantenendo solo quelle parti che meglio descrivono le premessi ideali al Movimento Comunità, il soggetto metapolitico fondato da Adriano Olivetti nel 1947, e che rappresentano oggi uno spunto di riflessione ancora vivo, per certi versi innovativo, intorno all’idea di comunità.
Milioni di italiani attendono con ansia crescente un rinnovamento materiale e morale. Sebbene questo possa dirsi in cammino per i vari segni che le forze dei giovani ci indicano, riempiendoci di speranza, esso trova innanzi a sé forze negative di cui conosciamo ormai fin troppo bene la struttura cancerosa, la volontà testarda, la natura corrotta.
Un Nord industrialmente progredito e un Sud straordinariamente povero e depresso, un regime democratico in sostanza debole […], fanno dell’Italia di oggi un singolare paese le cui condizioni si prestano a preziose possibilità come a tragici eventi, intorno all’essenza della democrazia e della stessa libertà. Non possiamo fare a meno di constatare come taluni temibili, allarmanti sintomi premonitori di involuzione, siano presenti ovunque: la scomparsa quasi totale di una stampa indipendente dai gruppi monopolistici, la decadenza delle istituzioni universitarie, la povertà e il letargo delle associazioni culturali, il monopolio governativo della radio e della televisione, quattro milioni di famiglie con reddito nullo o lontanissimo dal minimo vitale di esistenza, migliaia di persone sfrattate che non trovano abitazioni perché gli appartamenti disponibili sono soltanto quelli costruiti per le classi privilegiate. Terreno fertile, condizioni ideali per l’insediarsi di nuovi esperimenti di autoritarismo e di soppressione delle libertà fondamentali.
Il problema centrale della democrazia è l’indirizzo spirituale e il congegno che possa attuare uno Stato che dia luogo a una società veramente libera, in quanto sottomessa alle forze e alle forme dello spirito. Solo un movimento sostanzialmente nuovo nel suo modo di essere, non nella sua etichetta, che presentasse nella sua azione politica una molteplicità di valori ormai da tutti reclamata, potrebbe garantire alla vita politica italiana l’innesto di forze nuove, suscitare l’entusiasmo dei giovani, essere lievito di vera rinascita.
Perciò la nostra ansia di riscattare ha preso una forma e un nome nuovo: Comunità. La nostra Comunità dovrà essere concreta, visibile, tangibile, una Comunità né troppo grande, né troppo piccola, territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che dia tutte le attività quell’indispensabile coordinamento, quell’efficienza, quel rispetto della personalità umana, della cultura e dell’arte che la civiltà dell’uomo ha realizzato nei suoi luoghi migliori.
Una Comunità troppo piccola è incapace di permettere uno sviluppo sufficiente dell’uomo e della Comunità stessa; all’opposto le grandi metropoli nelle loro forme concentrate e monopolistiche atomizzano l’uomo e lo depersonalizzano: fra le due si trova l’optimum. Tecnica e cultura conducono invece verso il decentramento, verso la federazione di piccole città dalla vita intensa, dove sia armonia, pace, verde, silenzio, lontano dallo stato attuale delle metropoli sovraffollate, dall’isolamento e dallo sgomento dell’uomo solo. […] La natura, il paesaggio, i monti, i laghi, il mare creano con i nostri fratelli i limiti della nostra Comunità.
Affezionandoci a essa ci sentiamo più vicini al luogo migliore della nostra anima, ci sentiamo più vicini al mondo dello spirito, al silenzio dell’eterno. Il nostro Movimento (Il Movimento Comunità, ndr) crede nei fini spirituali, nelle cose della scienza, crede nelle cose dell’arte, crede nelle cose della cultura, crede infine che gli ideali di Giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto. È solo riorganizzando l’intera società italiana in vista dell’educazione e del bisogno, imprimendole uno spirito e un vigore nuovi che la tragica e mortale malattia della disoccupazione e della miseria potrebbe finalmente esaurirsi. […]
Affinché questo si realizzi, è necessario anzitutto elevare il grado di cultura di quegli uomini sperduti che, dopo il fugace contatto della giovinezza con il maestro elementare e più tardi le avventure dei giornali a fumetti, hanno completamente perduto il contatto con la forza liberatrice della cultura. Perciò, il primo passo del lavoro sociale intrapreso dai Centri Comunitari fu l’istituzione di biblioteche e la notevole circolazione di riviste tecniche e culturali, completamente mancanti in quei villaggi sperduti.
Abbiamo portato in tutti i villaggi di campagna, in tutti i paesi della montagna, per la prima volta, quelle che io chiamavo un giorno le nostre armi segrete: i libri, i corsi culturali, le opere dell’ingegno e dell’arte. Noi crediamo profondamente alla virtù rivoluzionaria della cultura che dà all’uomo il suo vero potere e la sua vera espressione, come il campo arato e la pianta nobile si distinguono dal campo abbandonato e incolto ove cresce la gramigna, e dalla pianta selvaggia che non può dar frutto. E così noi comunitari andiamo insieme ricercando gli alimenti spirituali che è doveroso fornire agli uomini al fine di esaltare il loro spirito e di scoprire la nobiltà del loro cuore, poiché la tristezza dell’uomo è più profonda finché egli non ha rivelato a se stesso la sua vera coscienza interiore: quella che si trova racchiusa, ben serrata, nel fondo dell’anima.
Lungo il nostro difficile sentiero dobbiamo trovare, nella realtà democratica e nel rispetto della competenza, le istituzioni capaci di coordinare i bisogni della Comunità e gli uomini responsabili più capaci e più degni. La soluzione di certi problemi urgenti, che nessuno strumento scientifico potrà misurare, rimarrà sempre affidata all’intuizione intelligente e sensibile di un Consiglio di uomini che una Comunità pensosa e vigile avrà posto al proprio governo. Perché attraverso nessun mezzo scientifico si potrebbe decidere se sia meglio incoraggiare un cittadino a emigrare o condannarlo a vivere una vita materialmente meschina nella casa che lo vide nascere, se sia meglio costruire una scuola o una fabbrica, un teatro o un ricovero per vecchi, se una casa vecchia e malsana debba essere distrutta o, allo stesso prezzo, si debbano comprare dei pacchi viveri per una popolazione sofferente.
Queste sono le scelte che una Comunità depressa e povera deve affrontare. Perché due fondamentali principi d’azione tendono a prevalere l’uno sull’altro anziché conciliarsi: la giustizia un contro la carità. Chi opera secondo giustizia opera bene e apre la strada al progresso. Chi opera secondo carità segue l’impulso del cuore e fa altrettanto bene, sia ma non elimina le cause del male che trovano luogo nell’umana ingiustizia. Il mondo si divide tra ricchi e poveri, tra capitalisti e proletari, dicono giustamente i teorici marxisti. E questa divisione ci preoccupa, altrimenti saremmo ciechi e non lotteremmo per un ordine nuovo più giusto e più umano. Ma esiste una situazione spirituale, altrettanto importante: quella che accomuna i buoni e i giusti, i quali non si sono ancora coalizzati contro i prepotenti, gli avari, gli egoisti, i quali esistono in tutti i partiti e in tutte le classi sociali.
Humana Civilitas, civiltà umana, è scritto sul nastro che avvolge la nostra campana (oggi simbolo della Fondazione Adriano Olivetti e delle Edizioni di Comunità, ndr). Noi guardiamo all’uomo, sappiamo che nessuno sforzo sarà valido e durerà nel tempo se non saprà educare ed elevare l’animo umano, che tutto sarà inutile se il tesoro insostituibile della cultura, luce dell’intelletto e lume dell’intelligenza, non sarà dato a ognuno con estrema abbondanza e con amorosa sollecitudine. Noi attendiamo il riscatto dell’uomo. Da un uomo nuovo plasmato dall’esperienza e dal dolore, finalmente consapevole della sua libertà intesa come un compito immenso che egli offre a Dio.
Perciò ognuno di noi può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato, essa suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro l’acquiescenza, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza.
Se ciascuno di noi saprà chiedere al proprio fratello che cosa lo divide da noi; se ciascuno di noi saprà in- fondere al proprio vicino la propria certezza; se ciascuno di noi saprà sollevare una sola persona dall’incomprensione e sottrarla all’indifferenza, suonerà per noi tutti e per tutti la nostra campana.
In copertina Manifesto Olivetti di Giovanni Pintori (1949)