Officine Culturali è un’associazione impegnata nella valorizzazione del patrimonio culturale, tangibile e intangibile. Il presidente Francesco Mannino risponde alle 15 domande di cheFare per la rubrica I nuovi modi di fare cultura.
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Perché le Officine Culturali si chiamano così?
Come tutte le organizzazioni neofite abbiamo optato per una soluzione “facile” pur di andare dal notaio. Ma ci piaceva quello che sembrava un ossimoro da risolvere, una contraddizione tra i luoghi della fatica e una definizione che ancora si ammanta di elitarismo
Quando sono nate?
Il 2 novembre 2009, giorno dei morti. nel 2018 siamo diventati Associazione – Impresa Sociale.
Dove?
A Catania.
Perché?
Ci serviva una forma organizzativa per trasformare l’amore per il Monastero dei Benedettini in una attività continuativa e possibilmente generatrice di valore per i partecipanti e reddito per gli operatori. Una associazione non profit rispondeva pienamente a quell’esigenza.
Che fate?
Tentiamo di stimolare la partecipazione culturale partendo dal patrimonio: è strumento di conoscenza di come siamo arrivati ad oggi, può generare consapevolezza del perché siamo diventati quel che siamo. Visite guidate, servizi educativi, focus group con i portatori di interesse, teatro site specific.
La cosa più importante che avete fatto
Il percorso teatralizzato “Mille miglia lontano”.
Perché è la più importante?
Perché è stata la prima iniziativa per noi di trasformazione di una ricerca archivistica e documentale in un prodotto artistico fruibile, transmediale e coinvolgente, che ha accumulato 35 repliche super partecipate e ha permesso di percorrere itinerari mai aperti al pubblico.
Qual è il suo elemento più innovativo?
Ha trasformato la ricerca in performance, e la performance in un atto di scoperta di storie e luoghi ormai dimenticati, per quanto beni pubblici.
Sapresti descrivere brevemente il vostro approccio alla cultura?
È uno strumento per conoscere, ma anche per abilitare consapevolezza e attivismo civico. E poi ci piace molto il patrimonio culturale!
Quali sono le ricadute sociali di questa esperienza?
10 assunti a tempo indeterminato con CCNL Federculture, parecchie persone coinvolte (quasi 250mila) in usi culturali e civici del patrimonio.
Con le Officine Culturali si mangia?
Non tanto.
Come fate a stare in piedi?
In un mercato tra i più deboli delle ICC (Symbola), le nostre sono attività market, generando quei ricavi indispensabili per sopravvivere. Ma la nostra missione è orientata all’interesse generale, quindi richiede comunque lavoro “benevolo”: altrimenti non ce la si fa.
Qual è l’ostacolo più grande da superare?
La retorica che la cultura sia petrolio, che genera a cascata l’invito alla sostenibilità economica anche delle organizzazioni non profit, in un settore che afferisce piuttosto all’educazione e alla inclusione sociale. Servirebbero anche investimenti pubblici, ma con una nuova logica.
Fate parte di un network più grande di voi?
Sì: Federculture, ICOM, AIB.
Cosa avete intenzione di fare per un futuro migliore?
Dimostrare che la cultura non è petrolio, ma un mezzo con cui si può costruire inclusione e coesione; che attraverso l’attribuzione di valore (Faro) si possono abilitare competenze civiche sempre più indispensabili. Lavorare per ampliare la partecipazione, aumentando impatti e sostenibilità.
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