Dallo scorso marzo, quando l’Italia ha affrontato la fase più difficile della pandemia da Covid-19, si è cominciato a usare la didattica a distanza (spesso abbreviato in “dad”). Si tratta di fare lezione da casa, usando le tecnologie a disposizione per lezioni frontali, per il sostegno, le interrogazioni e i compiti in classe. Gli strumenti sono le videoconferenze online e i programmi per la condivisione di documenti.
Il picco di contagi, e le conseguenti chiusure di scuole e università in marzo, non erano stati previsti, così la didattica a distanza si è imposta in modo brusco e inaspettato per migliaia di studenti e insegnanti. La possibilità dell’arrivo della seconda ondata pandemica con l’arrivo dell’autunno, invece, è arrivata con un preavviso molto maggiore: l’organizzazione della dad, quindi, almeno in teoria, dovrebbe essere stata più facile.
Con l’entrata in vigore del nuovo decreto ministeriale il governo ha deciso di dividere il territorio nazionale in tre zone che, a seconda dell’urgenza della situazione dovuta alla diffusione del nuovo coronavirus, possono essere gialle, arancioni o rosse. A ogni colore corrispondono delle misure per la prevenzione del contagio, e a variare è anche la percentuale di didattica a distanza e il suo funzionamento. Nelle zone rosse le uniche scuole in presenza sono quelle dell’infanzia, le elementari e gli studenti del primo anno di scuola media. Per chi frequenta le superiori l’unica occasione in cui ci si può recare a scuola è, nel caso sia strettamente necessario, per utilizzare i laboratori, ma a piccoli gruppi.