Che cos’è BaumHaus

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    BaumHaus è uno dei 3 progetti che hanno vinto il bando cheFare3. È un network che fa leva sulla cultura per immaginare e costruire percorsi lavorativi e formativi che partano dai bisogni e dai desideri delle nuove generazioni e per aprire spazi di autonomia nelle periferie, creando allo stesso tempo occasioni di lavoro per i professionisti della cultura.
    Anna Romani risponde alle 15 domande di cheFare per la rubrica I nuovi modi di fare cultura.
    Per leggere le altre interviste vai qui.

    nuovimodi-cultura chefare

    Perché baumhaus si chiama baumhaus?
    Perché la casa (haus) sull’albero (baum) è l’incarnazione di un immaginario e di un desiderio: un punto di vista privilegiato da cui osservare il mondo, e tramare per cambiarlo. E poi, ovviamente, per la Bauhaus.

    Quando è nato?
    Tra il 2008 e il 2012, battezzato nel 2015.

    Dove?
    In Bolognina

    Perché?
    Perché, come diceva Gianni Rodari nella sua Grammatica della Fantasia: “Tutti gli usi della parola a tutti. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”

    Che fate?
    “Redistribuiamo opportunità”. Lavoriamo contro lepovertà educative che creano omologazione culturale: l’arte, la musica (tranne il rap), la letteratura sono la voce di chi può permettersi di dedicarci tempo (e quindi denaro). Il panorama culturale contemporaneo è spesso espressione del privilegio. Cosa succede a tutte le idee che ci stiamo perdendo per strada? Quelle non bianche, non ricche, non binarie?

    La cosa più importante che avete fatto
    Penso al lavoro che stiamo facendo per contaminare la formazione tecnica e professionale con elementi legati alle culture urbane e all’accesso alla bellezza come pratica di autodeterminazione.

    Perché è la più importante?
    Perché da un lato ci permette di lavorare sulla percezione del tempo delle ragazze e dei ragazzi che coinvolgiamo: guardare al futuro non come gabbia, ma come uno spazio di possibilità. Dall’altro, ha una dimensione nello spazio fisico: stiamo lavorando per rigenerare il Parco del Dopolavoro Ferroviario, aprendolo come spazio ibrido di formazione e cultura.

    Qual è il suo elemento più innovativo?
    Intrecciare pratiche e approcci: la moda dialoga con il community organizing che a sua volta parla con l’astrofisica, il beatmaking e l’educazione al genere.

    Via Serra alla Bolognina

    Via Serra alla Bolognina

    Cosa c’entra la cultura con questa esperienza?
    E’ dentro e intorno a tutti i nostri progetti, solo che esce dalle sue cattedrali e diventa pratica viva, abbandonando ogni idea di purezza.

    Quali sono le ricadute sociali di questa esperienza?
    Cambiare il punto di vista: da un lato quello dei/delle ragazz* verso se stessi e le proprie potenzialità e, dall’altro, quello degli adulti verso gli/le adolescenti.

    Con baumhaus si mangia?
    Non tanto.

    Come fate a stare in piedi?
    Per ora principalmente grazie a finanziamenti, pubblici e privati. Stiamo anche testando un modello di consulenza basato sull’intersezione tra pratiche culturali e formazione, per portare un approccio contemporaneo nei luoghi dell’educazione informale e non formale. In particolare in contesti complessi come la provincia.

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    BaumHaus

    Qual è l’ostacolo più grande che volete superare?
    Combattere l’idea per cui chi è in una situazione di ”svantaggio” debba accontentarsi di poco, essere grato/a e continuare a credere di non meritare di meglio. Questa è una visione che mantiene il mondo così com’è, limitandosi a certificare la disuguaglianza come “disagio sociale”. Noi crediamo fortemente che proprio nelle situazioni complicate (Quartieri difficili, luoghi di confine) si debba avere una visione più coraggiosa, alzare l’asticella e, soprattutto, essere pop, contemporanei.

    Fate parte di un network più grande di voi?
    Assolutamente sì, nasciamo e viviamo come rete e come discorso collettivo.

    Cosa avete intenzione di fare per creare un futuro migliore?
    Lavorare con e per la scuola pubblica (dentro e fuori da essa), perché siamo consapevoli che il cambiamento deve passare da uno dei pochi luoghi a cui ancora – nonostante le sue contraddizioni – tutte e tutti possono accedere.


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