«Urli, rapine, / Gemiti, sangue, stupri, rovine, / E stragi e fuoco». Sono le primissime parole dell’Attila di Verdi. Le canta il coro e ci danno da subito una descrizione efficace dei barbari, una definizione utile anche per chi dovesse chiedersi chi sono i barbari oggi. Se ci affidiamo ai criteri indicati dal libretto di Temistocle Solera dovremmo andare subito a guardare i dati su furti, omicidi, violenze sessuali – rapine, sangue, stupri – e chiederci: chi li commette? Attraverso le statistiche più recenti di Istat e Viminale otterremmo così un identikit del barbaro contemporaneo: maschio, italiano, di mezza età. Attila è tra noi.
Gli Incontri Barbari sono un ciclo di appuntamenti realizzati all’interno della kermesse Prima Diffusa. Appuntementi intorno ad Attila, ai barbari di ieri e di oggi, incontri che raccontano il rapporto con l’altro, con l’invasore, partendo dalla storia del re degli Unni e arrivando alla storia contemporanea, al rapporto fra bene e male.
Giovedì 6 dicembre alle ore 18.30 si svolgerà un incontro intorno a Attila, ai barbari di ieri e di oggi, incontri che raccontano il rapporto con l’altro, con l’invasore, partendo dalla storia del re degli Unni e arrivando alla storia contemporanea, al rapporto tra bene e male. Antonio Sgobba, autore del libro “Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google”, ne parlerà con la giornalista Gaia Berruto.
Dati in conflitto con l’idea classica di barbaro. Barbari sono sempre gli altri. I barbari invadono, per definizione. Attila piomba sull’impero romano alla fine della decadenza per terrorizzare le popolazioni del nord Italia. Verdi pensa agli unni come agli stranieri occupanti abusivi del suolo italico, l’opera era pensata per suscitare l’entusiasmo dei patrioti – «Avrai tu l’universo, / Resti l’Italia a me». Qualcuno oggi potrebbe azzardare addirittura una rilettura in chiave sovranista. E in effetti è proprio quel tipo di retorica ad agitare urli, rapine, gemiti, sangue, stupri, rovine, stragi, fuoco: raccontandoli sempre come portati dallo straniero. I dati lo negano? I barbari non si curano dei dati.
Ma ci sarebbe un altro dettaglio da notare: nell’Attila la descrizione così truce dei barbari non arriva dalle vittime, da chi subisce le loro scorrerie. No, sono gli stessi barbari a descriversi così. È il coro degli unni a cantare e ad acclamare Attila in quel modo. È l’orgoglio barbaro. Questa è forse un’altra caratteristica peculiare dei barbari. I barbari se ne vantano. Un estratto dall’ultimo libro di Bruno Vespa:
«Mi piace la definizione di barbari – aggiunge sorridente Giuseppe Conte nel suo ufficio di Palazzo Chigi – Per i greci, barbaro era lo straniero, l’estraneo alla comunità. Bene, noi siamo estranei all’establishment».
E andando indietro nel tempo di qualche anno ci sono state altre forze politiche che si definivano orgogliosamente barbare, barbari padani proprio, a dimostrare che Attila nella zona aveva lasciato il segno.
Qualcuno si chiederà: ma come si reagisce ai barbari? Come si resiste? Si resiste? Non ne ho idea. Attila verrà sconfitto da Ezio, ma l’impero Romano poi crolla lo stesso. Però proprio la storia di Attila suggerisce una exit strategy. Gli unni piombano su Aquileia e mettono in fuga gli abitanti della zona. Ecco, quei profughi possono essere di esempio. La gente in fuga dalla terraferma si andò a rifugiare là dove i barbari non avrebbero mai osato. Sull’acqua, nelle paludi. I rivoltosi guidati da Foresto (che in veneto sta per straniero) si ritrovano a Rio Alto, nella laguna adriatica. Da quei primi insediamenti nacque Venezia. I primi insediamenti di profughi accolsero altri profughi. E nacque una città irripetibile. I barbari portano la paura. Non è per forza di cose un male. Non dovremmo avere paura della paura. La paura può farci fare grandi cose.
Immagine di copertina: ph. Pawel Janiak da Unsplash