La Carta delle biblioteche di Milano e i determinanti sociali della salute

Premetto che lo scopo di questa breve riflessione è accendere un faro su un documento importantissimo, la Carta di Milano delle Biblioteche, presentata in occasione dei primi Stati generali delle Biblioteche del nostro Paese che si sono tenuti a Milano il 25 e il 26 ottobre. Ci arriverò però alla fine, perché essa è un mezzo e prima voglio che emerga il fine: lo sviluppo umano, come al solito.

Dunque andiamo per gradi.

L’infanzia oggi in Italia è sempre più schiava delle diseguaglianze. Diseguaglianze sociali, economiche, educative, di genere. Ma le diseguaglianze hanno una traccia ancora più profonda, che è quasi invisibile e che si insinua nel corpo di ogni bambino che viene concepito e ne condiziona la salute, lo sviluppo e la crescita. Ad oggi la speranza di vita in buona salute è in media di 61 anni, ma andando a vedere cosa significa la lotteria della nascita, si va dai bambini più “fortunati” che in provincia di Bolzano vedranno questa soglia alzarsi a 66,6 anni, a quelli che nascono in Calabria, per i quali questo traguardo si ferma a 55 anni. Oltre 11 anni di buona salute in media, a fare la differenza.

Questo dato lo urla la XIII edizione dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) 2022 di Save The Children dal titolo Come stai? La salute delle bambine, dei bambini e degli adolescenti. “La salute – sottolinea Daniela Fatarella, Direttrice Generale Save the Children Italia nell’Introduzione – è influenzata dalle condizioni socioeconomiche della popolazione: i fattori che ne determinano lo stato non sono solo fattori medici, ma sono fortemente legati alle condizioni nelle quali le persone sono nate, vivono, lavorano, crescono e invecchiano” (p. 6). Le differenze geografiche, socioeconomiche e culturali si riflettono nel diverso numero di anni di “speranza di vita in buona salute”, quelli che chiamiamo determinanti sociali della salute. Sono i fattori che più influenzano lo stato di salute,  accanto al patrimonio genetico e all’accesso a sistemi socio-sanitari di qualità, ovvero il livello di istruzione, il reddito, l’occupazione, in generale l’ambiente in cui si lavora e si vive quotidianamente. Sono questi a interessarci in questa breve riflessione.

Secondo l’OMS, ad esempio, le persone con un basso livello di istruzione riferiscono di avere cattive condizioni di salute due volte di più rispetto a chi ha una istruzione di tipo universitario. E si calcola che la riduzione della mortalità infantile si ottenga per il 50% grazie a investimenti al di fuori del campo sanitario (p. 12).

A pesare sulla salute e sul benessere in generale, anche psicologico dei minori sono dunque povertà e disuguaglianze che si sono accentuate soprattutto dopo la pandemia. Nel 2021 – lo dice il Rapporto Caritas – i poveri assoluti nel nostro Paese sono stati circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini. Non esiste una sola povertà: ce ne sono tante, acuite dai disastrosi effetti della pandemia, ancora in corso, e dalle ripercussioni della vicina guerra in Ucraina.

La povertà minorile in Italia è quadruplicata a partire dalla crisi globale del 2007/2008 arrivando a colpire un minorenne su 7 nel 2021, il 14,2%.

Da questi pochi dati si capisce chiaramente che sono tantissimi i fattori che incidono. Per esempio, evidentemente, la mancanza di infrastrutture sanitarie – mancano all’appello almeno 1.400 pediatri, è crollato il numero dei consultori familiari, scarseggiano centri diurni e servizi residenziali per gli adolescenti con disagio mentale (p. 8) – ma anche le infrastrutture culturali – come le biblioteche pubbliche – che possono tranquillamente essere pensate in relazione all’approccio della Nurturing Care (cure che nutrono) che include “una combinazione di diversi apporti, quelli che curano il corpo e la salute e quelli basati su affetto, cultura ed educazione, essenziali per indirizzare e completare quello che la natura predispone” ed è fondamentale in un Paese come il nostro, dove le disuguaglianze sono molto profonde” (p. 44). Non a caso l’Atlante ricorda il progetto Nati per leggere.

Un approfondimento a parte meriterebbe la salute mentale di adolescenti e preadolescenti, una generazione di ragazzi interrotti, che già l’ultimo Rapporto Bes aveva fatto emergere e della quale avevamo già parlato in una riflessione sul ripensamento delle infrastrutture culturali proprio nel sistema del benessere dei giovani.

Dopo due anni di pandemia, sempre più spesso sentiamo dire che le ragazze e i ragazzi “non stanno bene”. Chi ne è circondato lo sa. Lo vede. Il patto tra generazioni si è inceppato da una pezzo, come dice l’Atlante e “in realtà è il mondo degli adulti a essere andato in cocci, lasciando i ragazzi privi di coordinate” (p. 9).

Tornando alle attrezzature culturali di cui abbiamo bisogno in relazione a questo e continuando a ragionare sull’idea che il paradigma del welfare culturale ci indica chiaramente la strada da seguire nella riflessione sul posizionamento delle stesse, non posso fare a meno di mettere in relazione i dati drammatici appena presentati con i primi Stati generali delle Biblioteche del nostro Paese evocati in apertura.

Aperti dai saluti del sindaco Beppe Sala e dell’Assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, si sono conclusi con la firma della Carta di Milano delle Biblioteche, un documento importante – come dicevo –  che suona come un manifesto e che si apre così:

La biblioteca pubblica è una componente essenziale della società della conoscenza, perché rende effettivo il diritto di tutti i membri della comunità locale di fruire di un servizio pubblico di informazione e documentazione qualificato ed efficiente, condizione essenziale per il libero accesso al pensiero, alla cultura e all’informazione, per l’esercizio pieno e consapevole dei diritti individuali e per la libertà, la prosperità e il progresso della società. In piena sintonia con i principi espressi dal Manifesto IFLA/UNESCO della biblioteca pubblica 2022.

Il sottotitolo della carta è: “Per un servizio bibliotecario equo, sostenibile, inclusivo”. La carta è pronta a essere firmata e chiede  agli amministratori che decidono di aderire di dichiarare la fiducia nella biblioteca pubblica come forza viva per la democrazia, la cultura, l’educazione, l’informazione in quanto servizio che assolve, in vario grado e con differenti forme, alle seguenti missioni chiave:

  • contribuire allo sviluppo di una comunità inclusiva, equa e solidale,
  • migliorare la qualità della vita
  • informare tutti i membri della comunità
  • consolidare e sviluppare competenze
  • promuovere la partecipazione culturale.

Tutte le riflessioni condivise durante gli Stati Generali hanno lavorato intorno a un obiettivo comune: evidenziare come le biblioteche possano e debbano essere messe al centro delle politiche culturali dei territori, per realizzare società più democratiche, inclusive, eque, sostenibili e solidali.

Chi crede fortemente nel ruolo della partecipazione culturale come mezzo per la qualità della vita dei cittadini, chi pensa che l’accesso all’informazione e alla conoscenza sia un prerequisito per il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, chi crede che le biblioteche in tal senso siano delle piattaforme abilitanti è uscito dalla due giorni  con un  entusiasmo del tutto rinnovato. A me è capitato questo.

Ho visto progetti realizzati e in corso di realizzazione che consentiranno nei prossimi anni di concretizzare attraverso le biblioteche questo manifesto, al netto delle difficoltà e delle criticità emerse: il ruolo e la preparazione dei bibliotecari per esempio che faranno la differenza in questa partita. Ma non è di questo che voglio parlare, rischierei di annacquare la riflessione e non far emergere il problema.

È già passato un mese. Al momento in cui scrivo sono ancora troppo poche le amministrazioni che hanno aderito: Milano, Roma, Torino, Bologna, Verona, Rimini, Cesena, Campobasso, Novara, Mantova, San Bellino (Rovigo). Altre si stanno avvicinando ma abbiamo bisogno di un impegno massiccio, di una adesione totale.

Non so se agli amministratori è chiara la connessione tra le urgenze della nostra contemporaneità, le gravissime disuguaglianze del nostro Paese –  esplicitate dal Rapporto Caritas e dall’Atlante Save the Children – e il fatto che le biblioteche pubbliche in quanto nodi delle reti di servizi territoriali per la cultura e il tempo libero sono assieme alla scuola, alle università ecc. un agente attivo nei determinanti sociali della salute nell’ottica del welfare culturale. Non so se è chiaro ma certamente la Carta di Milano è una opportunità da non perdere.

 

Immagine di Laura Capfer da Unsplash