Io sono il mio archivio. L’archivio d’artista come autoritratto, intervista a Maria Morganti
Il corso di formazione per curatore di archivio d’artista di AitArt (Associazione Nazionale Archivi d’Artista ) e la concomitante pubblicazione del volume L’archivio d’artista. Princìpi, regole e buone pratiche (a cura di Alessandra Donati e Filippo Tibertelli de Pisis, Johan & Levi, 2022) sono la cornice di una conversazione tra Cristina Baldacci e Maria Morganti, di cui si riporta di seguito un estratto.
Maria Morganti è un’artista che ha scelto come linguaggio principale, per quanto non esclusivo, la pittura. Il costruire tassonomie, non solo del colore, è un’azione cruciale che, giorno dopo giorno, dà vita a un suo personale “archivio del tempo” (www.mariamorganti.it). Questo è anche il titolo dell’immenso progetto online a cui Morganti si è dedicata negli ultimi anni; un meta-archivio, che, oltre a contenere tutti i suoi lavori, è un sito d’artista e un’opera di per sé.
Per Morganti l’archivio è sì un luogo fisico (il deposito tangibile delle opere), ma ancora di più uno spazio virtuale, in quanto anche online e in potenza. Per dirla alla Foucault, è un “dispositivo” del pensiero e dell’enunciazione, che nasce da una serie di azioni per lei fondamentali, tra cui raccogliere, selezionare, organizzare, comprimere.
Cristina Baldacci — Fino a ora hai descritto ciò che avviene nel Luogogesto, accennando solo in parte al Sitomente, che ne è l’Ersatz o contraltare, benché, come abbiamo già ricordato, tra ideazione e messa in pratica ci siano continue corrispondenze e intrecci. Che cos’è questo “spazio del pensiero”, questo Denkraum? Richiamo qui non casualmente una parola che il grande storico dell’arte tedesco Aby Warburg ha usato, ormai un secolo fa, per spiegare la creazione artistica attraverso il suo monumentale atlante di immagini dedicato alla memoria, il Bilderatlas Mnemosyne. Un complesso sistema di associazioni visive riconosciuto da molti come antesignano di Internet.
Maria Morganti — A un certo punto, si è formato questo involucro digitale, catapultato poi nel web, che è il mio archivio online, Un archivio del tempo. Da un lato, è un archivio a tutti gli effetti, in senso tradizionale, perché contiene oggettivamente tutto ciò che riguarda la mia produzione e attività; dall’altro, invece, è una prima forma di interpretazione delle mie opere, che inizialmente condivido solo con me stessa e poi anche con gli altri. Il Sitomente è prima di tutto proprio uno spazio del pensiero e questo paragone con Warburg non può che farmi molto piacere. In effetti, è un po’ come se avessi preso la testa, l’avessi staccata dal corpo e piazzata sul tavolo di fronte a me, per darmi la possibilità di vedere, di ragionare con più chiarezza su quello che faccio e su come lo faccio.
cb — Oltre al Luogogesto e Sitomente, c’è un altro “luogo” centrale nel tuo lavoro, il Sitospanso. Di che cosa si tratta?
mm — So che c’è chi mi considererà matta, perché invento tutti questi nomi astrusi, tra cui il Sitospanso, che è una derivazione del Sitomente. A un certo punto, ho sentito che tutto il pensiero che si era riversato nel sito doveva ritornare a essere qualcosa di concreto nel mondo, doveva riprendere una forma fisica nello spazio. Il ragionamento, la parola, che stava raggomitolata nel cervello, si è trasferita nello spazio “fluido” del web e poi è esplosa invadendo lo spazio fisico di una stanza. Il Sitomente è diventato in qualche modo un vero e proprio generatore di visioni, di idee, di opere: il luogo dove le cose vengono pensate prima di prendere di nuovo una forma concreta nel Sitospanso.
cb — Quali sono state le prime opere prodotte nel Sitospanso?
mm — All’inizio, delle stampe che cercano di rendere visibili i dati dell’archivio, ovvero le associazioni che si creano tra un punto e l’altro. C’è per esempio una stampa che mostra in successione tutte le immagini delle opere catalogate seguendo il criterio del rosso, dato che questo colore è così centrale nella mia pittura. Un’altra stampa presenta tutti i numeri del mio archivio in sequenza cronologica su una base color “melma”. Questo colore allude allo strato di materia che si forma sul mio sgocciola pennelli; l’ho scelto come sfondo di tutte le schermate del sito. Produrrò una versione aggiornata di questa stampa ogni anno per avere una visione completa dei miei lavori. Dal momento che la superficie a disposizione è sempre la stessa, più cresceranno i dati, più il font dovrà rimpicciolirsi, finché i numeri non scompariranno nella melma.
Nel Sitospanso è nato anche un lavoro audio, dove leggo, come se parlassi tra me e me, il testo della sezione del mio sito che si intitola “Rimuginare”. Questo capitolo riproduce fedelmente tutti gli appunti che ho annotato a partire dal 1980, come forma di ragionamento parallelo al processo pittorico. Si tratta anche in questo caso di una sorta di archivio che raccoglie in ordine cronologico le mie note senza interventi a posteriori. Ho voluto infatti trascrivere i miei pensieri guardandomi bene dall’editarli.
cb — Anche la “melma” è paragonabile a un deposito, dove si accumula ciò che resta, lo scarto, di un’intera esistenza e processo creativo. La melma, tra l’altro, è un richiamo al fatto che vivi a Venezia, città lagunare le cui fondamenta poggiano proprio su questa sostanza argillosa, che, oltre a tenerla in piedi, ne preserva la memoria come un giacimento. Il che mi fa pensare alla contrapposizione insita nell’archivio stesso tra accumulare e classificare e al bisogno, quando si cerca di fare ordine, di dare un nome alle cose per distinguerle e ritrovarle. La passione che hai per i neologismi rivela di fatto la tua ossessione classificatorio-archivistica. Le parole, i titoli che inventi sono strumenti che ti permettono di attivare percorsi di ricerca, di ritrovare le cose e avere una visione d’insieme. Ecco perché, tra le parole-azioni per te fondamentali c’è anche l’“esplicitare”, ovvero il dire, l’enunciare. Il dare un nome alle cose significa renderle reali, concrete. L’esplicitare cos’altro comporta nel tuo lavoro?
mm — All’“esplicitare” è dedicato un altro capitolo del mio sito, che contiene anche un paragrafo intitolato – non a caso – “Glossario”, dove ho catalogato tutte le parole che costituiscono il mio vocabolario collegandole tra loro. “Esplicitare” per me vuol dire definire tutte quelle parti del lavoro che di solito sono considerate secondarie, come semplici apparati o dispositivi dove far confluire la propria opera e il proprio pensiero. Creare un mio spazio, un dispositivo dentro il quale stare e agire, è sempre stato essenziale per me. Non sopporterei che fosse qualcun altro a costruirlo al mio posto. Anche quando ho progettato il mio archivio, l’ho fatto in maniera empirica, senza studiare prima la struttura a livello teorico, ma cominciando io stessa a mettere le mani in pasta, spesso con molta ingenuità. È come se volessi affermare che voglio stare al mondo dentro a “luoghi” che ho conformato secondo le mie esigenze. Sono spazi che non costruisco a partire dalla mia testa, ma dal modo in cui percepisco fisicamente il mio essere nel mondo. Si tratta di un punto di vista chiaramente molto personale.
“Esplicitare” mi è servito per analizzare prima l’archivio in senso più ampio e poi il sito stesso. Il paragrafo sul sito è di fatto una tautologia, perché definisce il luogo in cui ci si trova. Prendo inoltre in esame il formato della mostra, cioè il che cosa significa esporre all’esterno, agli altri, quello che è stato prodotto nell’intimità dello studio, in solitudine. E insieme alla mostra, mi occupo della didascalia, dell’autobiografia, dell’allegato alla scheda d’autentica.
Estratto da: Io sono il mio archivio. L’archivio d’artista come tassonomia, manifesto, autoritratto di Cristina Baldacci e Maria Morganti, in L’archivio d’artista. Princìpi, regole e buone pratiche, a cura di Alessandra Donati e Filippo Tibertelli de Pisis, Johan & Levi, 2022.