Affitti brevi e spopolamento. Cosa resta di Venezia? Un deludente ddl
Campo Santa Margherita – Sarà merito della buona compagnia di romanzi, saggi e vecchi volumi, ma i numeri mi sembrano diventati più bravi a raccontare da quando hanno trovato ospitalità nella vetrina della libreria. La loro storia scorre sul contatore dei posti letto dell’offerta ricettiva attivato il 17 aprile grazie all’iniziativa di Ocio, Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza – Venezia. Il primo giorno contava 48596 posti. Non sono passati neanche due mesi e ne segna 49196 (oggi è l’8 giugno). Presto il numero dei posti letto dell’offerta ricettiva supererà quello dei residenti della città storica. Non sarà un fulmine a ciel sereno, da un anno è sceso sotto le 50000 unità. Lo denuncia anche il contatore attivato dall’associazione venessia.com., il processo di erosione delle comunità residenti avanza da tempo senza trovare ostacoli.
Nel delta fra le due cifre c’è tutto il racconto della questione abitativa come esperienza collettiva di una città. Questo racconto in numeri non inciampa nei dettagli delle esperienze individuali e risale le coscienze per capillarità – lungo spazi di comprensione sottili vince la forza di gravità dell’indifferenza con cui si liquidano i problemi delle vite altrui.
Il rapido aumento dei posti letto dell’offerta ricettiva è legato alla diffusione dei contratti di affitto a breve termine. In ambito internazionale si chiamano Short-Term Rentals e hanno rivoluzionato il nostro modo di viaggiare e, di riflesso, le nostre possibilità di abitare gli spazi urbani ma questa non è un’evoluzione spontanea o casuale. La narrazione che ha reso popolare la diffusione di queste forme di contratto è riconducibile alla definizione stessa di sharing economy. Nelle sue varie forme l’economia collaborativa prevede di mettere in contatto tramite l’information technology chi dispone di una risorsa con chi ne ha bisogno e, a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro, ne autorizza l’utilizzo temporaneo. Lo stesso processo si può descrivere in termini meno rassicuranti, ma più accurati, come monetizzazione delle risorse grazie al capitalismo delle piattaforme (per saperne di più e allargare la prospettiva, Leslie Kern (2022). La gentrificazione è inevitabile e altre bugie. Treccani).
Prima di proseguire una premessa è d’obbligo. Imputare lo spopolamento di Venezia al solo aumento dei posti letto dell’offerta ricettiva implica accontentarsi di una semplificazione. Un errore che finirebbe per nascondere problematiche più ampie e normalizzare discorsi che affondano le radici nelle trasformazioni socioeconomiche degli anni ‘70 e che ora si riflettono, in larga misura, nella mancata gestione del fenomeno turistico.
In sintesi, lo spopolamento della città storica non dipende da un unico fattore, ma da un insieme di criticità e processi interdipendenti come le ricadute dell’escursionismo (cioè di tutte quelle modalità di visitare un luogo che non prevedono il pernottamento nella destinazione visitata) e le difficoltà legate alla pervasività della monocultura turistica (leggi, gli ostacoli sul cammino di chi desidera intraprendere in centro storico un’attività lavorativa non direttamente afferente al comparto turistico). Adottando questa prospettiva, non è affatto un errore rilevare che l’aumento non regolamentato dei posti letto dell’offerta ricettiva catalizza il processo di spopolamento.
Nel quotidiano di chi vive la città questo aumento corrisponde al fatto che trovare casa a Venezia è sempre più difficile fondamentalmente per due ragioni. Da un lato, ci sono meno case disponibili per chi risiede stabilmente in città e, dall’altro, gli affitti di quelle rimaste aumentano per adeguarsi al più redditizio mercato degli affitti a breve termine. Magari non vivi in un’area a forte densità di locazioni turistiche come la città storica di Venezia (vedere per credere), ma credo sia un discorso che hai già sentito anche nella tua città. E se te lo stai chiedendo, no, non è un luogo comune ma un problema comune a molte realtà urbane e che, in quanto tale, ha attirato l’attenzione di ricercatori qualificati tanto in Italia che all’estero (giusto per continuare con Venezia: Giacomo-Maria Salerno & Antonio Paolo Russo (2022). Venice as a short-term city. Between global trends and local lock-ins. Journal of Sustainable Tourism, 30:5, 1040-1059. DOI: 10.1080/09669582.2020.1860068).
Gli effetti della proliferazione degli affitti a breve termine sono stati indagati in relazione ai processi di gentrificazione, mercificazione della casa, fallimento delle politiche di gestione della città neoliberista e, in misura minore, sono stati presi in esame anche i tentativi di regolamentazione implementati da diverse realtà urbane (Gianluca Bei & Filippo Celata (in corso di pubblicazione). Challenges and effects of short-term rental regulation. Annals of Tourism Research). Questi studi provano che regolare gli affitti a breve termine non è una questione semplice. Servono ricette calibrate sulle realtà locali e in continuo aggiornamento per reagire all’evolversi della situazione. Per rispondere a queste esigenze le autorità locali di diverse città hanno sviluppato e sperimentato possibili forme di regolamentazione intersecando direttrici quantitative, qualitative e spaziali – ad esempio, scegliendo di limitare l’affitto di alloggi interi, ma permettendo l’affitto di stanze o stabilendo un tetto per il numero di affitti a breve termine in una determinata area della città o limitando il numero di giorni all’anno in cui è possibile affittare, etc… (Marcus Hübscher & Till Kallert (2023). Taming Airbnb Locally: Analysing Regulations in Amsterdam, Berlin and London. Tijdschrift voor economische en sociale geografie, 114(1), 6-27. DOI: 10.1111/tesg.12537).
Il grado di complessità connesso all’organizzazione di una normativa che regoli gli affitti brevi è determinato dalla necessità di operare su piani distinti e interconnessi come quello giuridico, economico, politico e tecnico, cercando di mediare fra le diverse e contrastanti istanze formulate dagli attori coinvolti come comunità residenti, settore alberghiero tradizionale, proprietari che affittano tramite piattaforme, host…Un esempio? Come si decide quali siano i termini del giusto compromesso che, da un lato, garantisce gli interessi e i diritti di un proprietario che vuole affittare a breve termine il suo appartamento e, dall’altro, argina l’erosione del tessuto socioeconomico della città?
Mi sto ponendo questa domanda da qualche giorno, da quando ho letto e riletto la bozza di decreto che intende mettere ordine nel mercato degli affitti brevi. Te la riassumo:
Articolo 1 – La finalità è “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale volta a fronteggiare il
rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la
residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”.
Articolo 2 – La definizione di “locazione per finalità turistiche” con esplicito riferimento alle piattaforme.
Articolo 3 – Il codice identificativo nazionale (CIN) sostituirà il codice identificativo regionale (CIR) per l’identificazione degli immobili ad uso abitativo oggetto di locazione per finalità turistiche. Il codice sarà immagazzinato in una banca dati nazionale che dovrebbe permettere di arginare l’evasione fiscale. La mancata esposizione del CIN all’ingresso e la mancata inclusione del CIN negli annunci comporta la rimozione dell’annuncio e una multa da 300 a 3.000 €. Invece, concedere in locazione un immobile ad uso abitativo per finalità turistiche senza CIN prevede una multa da 500 a 5.000 €.
Articolo 4 – La durata minima del contratto di locazione per finalità turistiche è di almeno due notti, fatta eccezione per i comuni con meno di 5000 abitanti a bassa densità turistica o se a prenotare è un nucleo familiare “composto da almeno un genitore e tre figli”.
Articolo 5 – Il riconoscimento formale del ruolo del gestore professionale (property manager) con attribuzione di uno specifico codice ATECO – la combinazione alfanumerica che identifica una ATtività ECOnomica.
Articolo 6 – Le attività di controllo e l’applicazione delle sanzioni spetta ai Comuni “attraverso gli
organi di polizia locale, e dall’autorità di pubblica sicurezza”.
Articolo 7 – gestione degli oneri
Alla fine di questa lettura la perplessità si traduce in disincanto. Serve a poco soppesare le inconsistenze del minimum stay di due giorni fra limitazione del diritto di proprietà, invasioni della privacy dei nuclei famigliari e incentivi all’evasione. Probabilmente finirà tutto in un nulla di fatto. Tuttavia, c’è un’inconsistenza ben più macroscopica: la totale mancanza di misure a tutela della residenzialità o atte ad invertire i processi di spopolamento. Nella bozza si specificano solo le procedure per registrazione e attivazione delle locazioni turistiche.
Delude vedere disattese le richieste dei sindaci a cui, di fatto, viene preclusa la possibilità di sperimentare soluzioni per rispondere alle specificità della questione abitativa nelle loro città.
Ancor di più, delude sapere che nessuna azione sia seguita a un emendamento del 2022 che accorda al Comune di Venezia esattamente la possibilità che è negata alle altre amministrazioni.
Chi ha il pane non ha i denti.
Immagine di copertina di Ricardo Gomez Angel da Unsplash