Umberto Eco, innovare la biblioteca

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    «L’universo, che altri chiama la biblioteca». Il 10 marzo 1981 Umberto Eco apriva il suo intervento citando le parole della Biblioteca di Babele di Borges, come leggendo «un libro sacro», con funzioni «litaniali», perché «tutti sanno già quello che il libro dice». Eco era stato invitato alle celebrazioni per i 25 anni della Biblioteca Comunale di Milano nella sede di Palazzo Sormani, per i milanesi semplicemente “la Sormani”.

    «Quando gli chiesi di partecipare a quella giornata accettò molto volentieri, “Ho appena finito di scrivere un libro su una biblioteca”, mi disse, io non avevo ancora letto Il nome della rosa», racconta oggi Andrea Martinucci, 72 anni, in servizio alla Sormani dal 1972 al ’94. «Fu un intervento tenuto a braccio – continua il bibliotecario – molto divertente. Finite le celebrazioni lo sbobinai, gli chiesi di approvare il dattiloscritto e se acconsentiva alla pubblicazione di un volumetto per le edizioni della Biblioteca».

    Eco acconsentì e poi ripubblicò quella lectio apparentemente improvvisata in Sette anni di desiderio (Bompiani) con il titolo De Bibliotheca. Un brano di quel saggio è tornato in libreria nel 2016 tra le pagine di Come viaggiare con un salmone (La Nave di Teseo) con il titolo «Come organizzare una biblioteca pubblica»: una lista in diciannove punti di ciò che una biblioteca pubblica non dovrebbe fare. Quel giorno se lo ricorda bene anche Alberto Rapomi, l’attuale responsabile della biblioteca: «Avevo firmato il mio primo contratto proprio quella mattina».

    Sono passati più di trentacinque anni, nel 2016 la Sormani ha festeggiato i suoi sessant’anni. Che fine ha fatto quella che per Eco era una istituzione modello? Si potrebbe fare un giro tra gli scaffali guidati proprio dalle parole del suo De Bibliotheca. Alla fine della conferenza il professore citava un documento Unesco dell’epoca: «L’edificio che ospita la biblioteca pubblica ed il suo arredamento devono essere di aspetto gradevole, comodi ed accoglienti». Negli anni Palazzo Sormani non è cambiato di molto, rispetto a quando parlava Eco e anche rispetto alla sua inaugurazione nel 1956. Gli arredi all’interno sono prevalentemente sui toni del marrone e del grigio. «È un palazzo del Seicento, qui non possiamo toccare niente», spiega Rapomi. «È essenziale che i lettori possano accedere direttamente agli scaffali», diceva Eco. Ma qui i lettori ancora oggi per avere un libro devono compilare moduli e affidarsi agli addetti. Ciò che Eco si augurava 35 anni fa non è ancora possibile: la Sormani non è una biblioteca a scaffale aperto, fatta eccezione per una sala di consultazione in cui si trovano dizionari e enciclopedie.

    Nel 1981 Eco elaborava «un modello negativo di cattiva biblioteca». Tra i punti indicati si leggeva: «Non deve essere possibile rifocillarsi all’interno della biblioteca». All’interno della Sormani ancora oggi è vietato consumare cibo o caffè, si trova solo una piccola area ristoro al piano terra: tre distributori di snack e bevande. «Il prestito interbiblioteca deve essere impossibile», continuava Eco. E in effetti oggi l’addetta spiega che la biblioteca non fa servizio di prestito da altre biblioteche: se un lettore ha bisogno di un libro che qui o a Milano non c’è, deve rivolgersi altrove. «Gli orari devono assolutamente coincidere con quelli di lavoro (…) Il maggior nemico della biblioteca è lo studente lavoratore; il miglior amico è Don Ferrante, qualcuno che ha una biblioteca in proprio, che quindi non ha bisogno di venire in biblioteca». Oggi la biblioteca è aperta dalle 9 alle 19.30, dal lunedì al sabato. «Più di così non possiamo, non ci sono le risorse», dice il responsabile. Nella biblioteca lavorano in 95. Età media sui 50 anni. In tutto il comune di Milano, su 380 bibliotecari, solo 10 sono trentenni.

    «In conseguenza di tutto questo i furti devono essere facilissimi». Per puro scrupolo giornalistico ho verificato anche questa affermazione di Eco: se per esempio un lettore, dopo aver sfogliato alcune opere dalla sala di consultazione al primo piano, prelevasse un volume – che so, il tomo quarto, «Dom-Fic», dell’Enciclopedia Filosofica Bompiani, quello in cui si può leggere la voce «Eco, Umberto» – e lo infilasse nello zaino, potrebbe tranquillamente allontanarsi, uscire dalla sala, sfiorare un addetto, fare le scale, percorrere il corridoio, arrivare all’uscita (poi rientrerebbe e riporrebbe subito il libro nel suo scaffale, era solo un esempio).

    Finito il giro di Palazzo Sormani ci si chiede: com’è possibile che la Biblioteca Comunale di Milano soddisfi così tanti punti del modello negativo descritto da Eco? «Purtroppo non è un caso isolato, in Italia siamo ancora lontani dal realizzare il modello di biblioteca pubblica auspicato da Eco», risponde Antonella Agnoli, autrice di Le piazze del sapere: Biblioteche e libertà (Laterza). Trentacinque anni dopo, soprattutto da una città che ha ambizioni da capitale europea, ci si aspetterebbe di trovare un’istituzione di questo tipo. Un posto che non sia riservato solo a studenti e studiosi, dotato di una caffetteria per le pause, aperto fino a tarda sera, in cui ci siano poltrone e non solo tavoli, dove il lettore possa muoversi liberamente tra i libri o semplicemente passare del tempo senza che nessuno chieda il conto. Certo, Milano compensa con un sistema di biblioteche di quartiere capillare e efficiente, mentre la Sormani svolge un importante ruolo di conservazione (possiede 725mila volumi, mentre i prestiti sono circa 60mila). E negli ultimi cinque anni i fondi del Comune non sono stati tagliati, anzi, sono passati da 2 milioni a 2milioni e 200mila. Di questi tempi sono circostanze ai limiti del miracoloso.

    Tutto vero, ma manca qualcosa. Lo riconosce anche Stefano Parise, direttore del settore biblioteche del Comune: «A Milano manca una grande public library di livello europeo». L’ultima grande biblioteca aperta è privata: quella della Fondazione Feltrinelli. Nel settore pubblico invece c’è soltanto un progetto fantasma. Se ne parla da ormai quindici anni, si chiama Beic, ovvero Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Un progetto da 280 milioni di euro previsto su un’area di 65mila metri quadri nella zona di Porta Vittoria. Mai partito. L’ultima volta che se n’è parlato è stato nel 2012: allora gli uffici del settore biblioteche del comune studiarono un ridimensionamento: 20mila metri quadri per una spesa di 80 milioni. Anche di quella versione al risparmio non si è fatto nulla.


    Una prima versione di questo articolo è uscita su Pagina 99

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