Indubbiamente Due qui/To hear è la forma artistica più potente della pratica collaborativa di Massimo Bartolini che da sempre è interessato al coinvolgimento di altri artisti, musicisti e figure di ambiti diversi nella realizzazione delle sue opere. In questo caso il progetto per il Padiglione Italia è il risultato, innanzitutto, del serrato scambio e supporto del curatore Luca Cerizza, con il quale lavora da tempo e che lo ha scelto per partecipare alla procedura di selezione pubblica per il Padiglione, e quindi dell’ampia rete di relazioni e collaborazioni composta dalle musiciste Caterina Barbieri, Kali Malone, i musicisti Gavin e Yuri Bryars, la scrittrice Nicoletta Costa, lo scrittore Tiziano Scarpa e i numerosi tecnici, ovvero gli ingegneri, gli organari, gli artigiani. Tutti, in un dialogo continuo con l’artista, hanno contribuito alla definizione di un progetto collettivo complesso che, riunendo la varietà linguistica tipica della pratica di Bartolini, occupa lo spazio delle Tese delle Vergini dell’Arsenale e quello esterno del Giardino con sculture, installazioni sonore e interventi performativi.
Nucleo della proposta artistica è l’invito all’ascolto, all’attenzione, all’incontro con l’altro, sia esso un essere umano, una forma naturale, un elemento tecnologico, offrendo un’ulteriore declinazione del tema della Biennale Arte di Adriano Pedrosa, Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere, per la quale il non essere straniero dovrebbe iniziare con il non sentirsi stranieri a se stessi. Bisogna saper ascoltare se stessi, anche il silenzio è l’esortazione di Bartolini che, facendo propria la lezione di John Cage il quale affermava che comporre significa integrare il suono e il silenzio, crea un itinerario circolare attraverso tutti gli ambienti del Padiglione in cui tra vuoti e pieni, installazioni abitabili e “sonanti”, lo spettatore vive un’esperienza inedita, meditativa, direi spirituale, proprio perché riguarda l’anima.
Immagine di copertina di Khashayar Kouchpeydeh su Unsplash