Spazio Kor, appunti per un teatro accessibile

Questo articolo inaugura una serie di pubblicazioni per approfondire il rapporto tra arti performative e accessibilità a partire dalle pratiche sperimentate a Spazio Kor, un piccolo teatro gioiellino della città di Asti, gestito dall’Associazione CRAFT con la direzione organizzativa di Fabiana Sacco e artistica dell’autrice Chiara Bersani e dramaturg Giulia Traversi.

Il 2 Febbraio il teatro ospita TESTI ALTERNATIVI PER IL FUTURO. Riflessioni e azioni verso l’accessibilità sostenibile, un convegno che restituisce alla cittadinanza la complessità delle azioni intrecciate da Spazio Kor negli ultimi tre anni, con l’aspirazione di costruire e condividere un vocabolario comune che possa fungere da punto di partenza per avviare percorsi di accessibilità per artisti/e e pubblici.

 

Prima di addentrarci nel racconto dell’esperienza di Spazio Kor, partiamo dal vocabolario. Come studiosa del rapporto tra disabilità e arti performative e socia di Al.Di.Qua.Artists, associazione di categoria di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo con disabilità, ho partecipato negli ultimi anni a diversi incontri pubblici. In contesti molto differenti tra loro, ho spesso chiesto: “Qual è la prima immagine che vi viene in mente se dico accessibilità?” la risposta è stata frequentemente: “una rampa o l’icona sulle porte dei bagni”. Questa risposta apre già alcune fondamentali questioni: purtroppo abbiamo ancora una “visione” stereotipata delle disabilità, strettamente vincolata a quelle immediatamente verificabili “a prima vista”. Il nostro agire e conoscere il mondo sono dominati dal senso della vista. Pensate ai sistemi diagnostici della medicina, gran parte dei quali radicati su processi scopici (radiografie, ecografie, risonanze Magnetiche, Tac, etc.) e basati sull’assioma di matrice positivista “se non posso vederlo non esiste”. L’universo delle disabilità è al contrario molto variegato, dinamico nel tempo, visibile e invisibile, pensare dunque a delle pratiche di accesso per persone con disabilità, significa considerare una moltitudine di esigenze, psicofisiche e sensoriali (ma non solo), simultaneamente. La seconda questione rimanda all’idea comunemente condivisa di accessibilità, strettamente correlata al panorama politico-culturale in cui è stata negli anni edificata, ovvero un sistema “accessorio” di strategie materiali, aggiunte posticciamente ad un mondo costruito a misura di un corpo normativamente abile. La rampa o l’icona nelle porte dei bagni, rimarcano simbolicamente (ma neanche troppo) delle soglie di segregazione, costrutti di pensiero che demarcano accessi preferenziali e di secondo grado al nostro agire sociale. Ingressi sfavillanti con monumentali scalinate marmoree e ingressi laterali, meglio se non visibili alla maggioranza, aggregati, in maniera correttiva, in un secondo momento.

Qual è la prima immagine che vi viene in mente se dico accessibilità?

Eppure nell’impianto teorico e applicativo dell’Universal Design l’accessibilità indica una metodologia di progettazione volta a fornire al più alto numero di utenti possibili accesso a una medesima esperienza in maniera equivalente. Da quest’ultima prospettiva, in cammino dagli anni ’80, deriva un approccio culturale che tiene conto da subito della complessità cui si rivolge un progetto, piuttosto che agire ex post per adattare un ambiente inaccessibile alle necessità di un singolo individuo. Tutt’altro che una questione formale, l’accessibilità è dunque una scelta politica che indica il grado di interazione e partecipazione che un soggetto può o non avere con l’agire socio-culturale e, in maniera direttamente proporzionale, il grado di potere esercitato da chi quel sociale lo progetta. L’accessibilità rimanda a un campo relazionale e gravitazionale imprescindibile, una finestra tra un soggetto e qualcosa cui accedere. Quanto più numerosi saranno i soggetti da prendere in considerazione, tanto più ampia dovrà essere tale finestra. Ma che succede alla finestra se consideriamo ogni singolo “soggetto” una prismatica esperienza situata, dinamica e variabile a seconda del contesto e quest’ultimo una nebulosa di tensioni mutevole nel tempo? I discorsi si complicano infatti se trasliamo queste riflessioni sul campo sensibile dell’arte, quella performativa soprattutto. Pensare una stagione teatrale accessibile, come Spazio Kor sta tentando di fare, significa non solo garantire il diritto alla cultura, già teoricamente tutelato per legge (n.104 del 1992), ma ciò che la giovane studiosa Federica D’Alessandro definisce in maniera cristallina “l’accessibilità alle emozioni”.

Come descrivere a una persona cieca una partitura di danza contemporanea che può prevedere una moltitudine sincronica di movimenti? Come riportare le relazioni millimetriche sottese tra i diversi performer e bilanciate su sospiri, sguardi, dinamiche di gestualità concitate o al contrario rarefatte nel tempo e nello spazio? E la relazione con luci, suoni, oggetti, costumi? Come raccontare un suono che ci ha trascinato, impaurito, inquietato, sorpreso a una persona sorda? E la complessità di un dialogo poetico e metaforico? Come prendersi cura delle reazioni di una persona neurodivergente di fronte a una commistione di linguaggi scenici sovrastimoltante? E soprattutto, come fare a conquistare la fiducia da comunità che per decenni sono state escluse dagli eventi teatrali e non ne hanno alcuna esperienza? Queste alcune delle domande che hanno stimolato il pensiero e le pratiche sperimentate a Spazio Kor, per il cui team l’accessibilità si delinea come un processo dinamico, situato, da negoziare di volta in volta in funzione delle estetiche degli artisti e delle necessità di pubblici specifici, nonché una scrittura percettiva che insuffli la scena come agente di senso piuttosto che come servizio aggiuntivo dal sapore “para-sanitario”.

Spazio Kor, foto di Andrea Macchia

 

Dal 2021 Spazio Kor ha intrapreso un percorso di sperimentazione nelle stagioni Paradise, Nodo Piano e l’attuale Music Non Stop, co-dirette dall’artista Chiara Bersani e dalla dramaturg Giulia Traversi, per rendere gli spettacoli in stagione accessibili a persone con disabilità motoria, sensoriale e neurodivergente. Questo processo è realizzato in collaborazione con i componenti dell’associazione Al.di.Qua Artists (acronimo di Alternative Disability Quality Artists), portatori di saperi incorporati e coordinato da Francesca Cortese, responsabile dell’audience development del teatro. Per ogni stagione è stato chiesto agli artisti/e in programma di immaginare collettivamente tattiche affiché i propri spettacoli potessero essere fruibili da più spettatori e spettatrici possibili, mantenendo le intenzioni estetiche originarie e non rinunciando alla complessità.

Ogni anno si è costituito come un piccolo passo in avanti verso la costruzione di un immaginario più equo, attraversabile da comunità spesso escluse dagli eventi artistici. Un passo lento perché l’accessibilità incorporata da Spazio Kor non è una soluzione universale applicabile a ciascun spettacolo e rivolta a ogni persona, ma uno scambio biotico e sinergico, rifondato di volta in volta in dialogo con artisti, artiste e comunità specifiche. Nella stessa lentezza, densa di incontri, verifiche, errori e cominciamenti, si è andato a costruire un metodo, elastico e dinamico, che inizia a fare da caposcuola in Italia e che ha aperto connessioni e relazioni tra le produzioni rese accessibili e festival e istituzioni sul territorio nazionale interessate a coltivarne la crescita nella lunga durata. Parallelamente Associazione CRAFT si è impegnata a porre le basi di un dialogo aperto e comune con enti locali, regionali ed extra-regionali, e invitando altre associazioni e/o organizzazioni del territorio interessate.

Nel suo complesso il percorso, reso possibile grazie alla collaborazione con Piemonte dal Vivo e Lavanderia a Vapore si prefigge sincreticamente quattro missioni:

  • garantire un’esperienza teatrale di qualità a persone con disabilità motoria, in particolare migliorando la disposizione degli spazi e l’accesso ai servizi dello spazio
  • coinvolgere interpreti LIS nella messa in accessibilità degli spettacoli per persone sorde e con ipoacusia
  • consentire il pieno accesso agli spettacoli teatrali a persone cieche e ipovedenti con l’ausilio di strumenti per l’audiodescrizione e attraverso soluzioni ad hoc (touch tour, mappa tattile, incontri introduttivi, ecc.)
  • sviluppare percorsi di introduzione e accompagnamento allo spettacolo per persone neurodivergenti

 

L’accessibilità è una scelta politica

L’innovatività di questo groviglio di sentieri, risiede in un processo bottom up che ribalta le logiche vigenti in maniera di accessibilità. Gli esperimenti e le soluzioni di volta in volta applicate agli spettacoli derivano infatti dall’esperienze incarnate di disabilità diverse degli artisti e artiste dell’associazione Al.di.Qua Artists in continuo dialogo e verifica con le comunità di riferimento, a configurare una sorta di grande laboratorio di co-design. Vista la complessità delle relazioni innescate, su base locale e nazionale, nonché la poliedricità delle strategie sperimentate, ci sembra arrivato il momento di rendere accessibile anche lo stesso processo che ha accompagnato la crescita della comunità che gravita attorno a Spazio Kor con una serie di articoli “a episodi”, da considerare come un taccuino di appunti, implementabile e in crescita, ma dovutamente da condividere, per generare pratiche trasformative e processi incantevoli di reciprocità tra la scena e le comunità che la nutrono. In attesa dei prossimi approfondimenti, non ci resta che invitarvi a Spazio Kor per ascoltare, guardare e toccare lo splendore delle parole farsi carne, sensi e viscerale trasporto per una società più equa, tutta da reinventare.