È iniziato un nuovo anno, e come vuole la tradizione, il nuovo anno si avvia all’insegna dei buoni propositi. Anche se un po’ banale, c’è qualcosa di estremamente poetico (e tragico) in questa abitudine: ogni cambiamento (anche l’ovvio incremento di un intero per l’ultima cifra del datario) comporta nel nostro sistema occidentale una consapevolezza che non ci concediamo nelle nostre routine ed è per questo motivo che ci troviamo di fronte a fogli di agenda bianchi, come scrittori in erba, a decidere cosa desiderare, e come.
Proprio come scrittori in erba, confondiamo quei fogli bianchi con la libertà più assoluta di immaginazione, crediamo sia tutto possibile, dimenticandoci degli scioperi dei treni, dei raffreddori e delle giornate in cui la noia (di cui neghiamo l’esistenza) ci renderà ardua anche la più piccola azione.
I primi giorni delle agende sono meravigliosi: sono un’opera d’arte inconsapevole. Rappresentano il tentativo da parte dell’essere umano occidentale adulto di riportare l’ordine nel caos della propria esistenza. Tutto ciò è spesso superfluo, e ripetendo il rituale, ci si accorge che non di rado gli obiettivi dell’anno nuovo ricalcano quanto scritto negli anni passati.
Ciononostante reiteriamo “monacali” il rito propiziatorio. È importante. Perché la formulazione di obiettivi e di sogni ci permette di andare oltre noi stessi. Anche quando gli obiettivi sono troppo vasti per essere raggiunti in un intervallo di tempo che ad aprile, ci renderemo conto essere troppo breve.
Il mondo della cultura in Italia non è esente da questa “mania”: gli Stati Generali professano profetici obiettivi che sopravvivono immutati da anni, le dichiarazioni estatiche dei ministri promettono speranze riciclate, e noi, come gruppo imprenditoriale, proiettiamo slide di indirizzo strategico in cui inseriamo i cambiamenti auspicabili di scenario.
Le nostre idee su come questo debba modificarsi sono ormai chiare: ne abbiamo fatto brainstorming, riunioni, convegni e libri. Purtroppo i tempi non erano maturi, e si sa che l’evoluzione della Pubblica Amministrazione ha di Darwiniano più i ritmi che le finalità. Così, nonostante la stanchezza di chi ha spesso l’impressione di parlare al vento, siamo qui fiduciosi (ma non illusi) a ribadire le modifiche necessarie del nostro sistema culturale (inteso come contesto economico e legislativo nel quale gli attori privati agiscono).
Sono piccoli punti, facili facili. Come un ritornello di una hit alla radio:
La definitiva formalizzazione del Cluster delle Industrie Culturali e Creative (che oggi sembra più un’aberrazione ottica che un oggetto tangibile);
Una politica fiscale unica per il comparto (per porre fine ad un sistema di aliquote che privilegia una visione aristocratica della cultura);
Una razionalizzazione della morsa fiscale sulle start-up (il cui attuale disegno si può definire quantomeno contraddittorio);
La semplificazione della partecipazione dei privati all’equity crowdfunding per facilitare l’emersione di una nuova tipologia di accesso al credito;
Una mole minore di finanziamenti per corsi destinati ad aumentare il livello imprenditoriale dei giovani neet.
Non sono cambiamenti enormi, sono anzi spesso piccoli cavilli di legge, che però potrebbero portare una serie di miglioramenti al nostro sistema culturale e imprenditoriale: vediamo perché. Nel 2010 l’Unione Europea recepiva il comparto delle Industrie Culturali e Creative attraverso un “libro verde” (che sono -più manifestazioni d’intenti che vere e proprie politiche). Da allora il cluster delle ICC ha avuto un successo enorme, ricalcando un po’ il percorso della Creative Class degli albori, ma ancora oggi non si sa quali siano le imprese che rientrano di fatto in questo cluster e quali no.
Anche per questo, ma non solo, diventa difficile che il legislatore recepisca le necessità di un settore che si vuole industriale ma che di fatto non ha una politica, né un’identità, comprensibile. In questo caso, avviare una politica fiscale potrebbe non solo migliorare il livello di competitività di settori innegabilmente inseribili nel comparto (non da ultimo, il settore artistico), ma anche favorire un importante passo avanti nella definizione di quello che secondo molti rappresenta uno dei settori che può concorrere a determinare la ricrescita della nostra economia.
Questa convinzione è determinata dal fatto che il nostro è un Paese in cui qualsiasi politica di agevolazioni delle assunzioni (senza entrare nei dettagli) ha soltanto effetti di breve periodo, e l’unica speranza di creare posti di lavoro è spesso per i giovani la strada dell’autoimpiego, che da un lato è fortemente caldeggiata (attraverso la riduzione dei costi notarili di costituzione) ma che dall’altro non tiene conto che i costi più influenti sulla (r)esistenza di un’impresa non siano rappresentati dalla mole iniziale di investimento ma dai costi di funzionamento (come le aliquote del sistema previdenziale o quelle della tassazione degli onorari degli amministratori).
Proprio l’importanza di questi costi porta i “nuovi imprenditori” alla ricerca costante di sempre nuove modalità di accesso al credito, che nel mondo hanno permesso l’emergere di realtà oggi leader del mercato e che in Italia invece vengono paragonate ad operazioni ad “alto rischio”, mentre solo qualche settimana fa, si parlava di rendere azionisti i clienti di MPS come se fosse una cosa semplice semplice. Se dunque l’immersione di capitali all’interno del sistema imprenditoriale da parte di un pubblico generalista sembra essere poco “cauta” da parte della Consob, si punti almeno all’introduzione di capitali da parte del settore pubblico, che ancora oggi, dopo lo sciame di corsi per estetista e nail artists, spende soldi per pagare esperti per dire a giovani potenziali imprenditori “come” spendere soldi, che però di fatto, sono già stati spesi.
Non resta dunque che aspettare il 2018, per vedere se un passo avanti in uno qualunque di questi obiettivi sia stato mosso o se invece saremo costretti a un copia-incolla di questo articolo, da fare magari mentre cerchiamo altri settori in cui investire il nostro tempo e le nostre energie.