I media visti da un marziano intelligente

Oggi non è più la minaccia della forza a garantire che i media presentino notizie e problemi entro un quadro che serve gli interessi dei gruppi dominanti. I meccanismi sono molto più raffinati e sottili. Nonostante ciò, esiste un complesso sistema di filtri, sia nei mezzi di informazione che nel sistema scolastico, che alla fine garantisce che i punti di vista non conformistici siano annullati o in qualche modo messi ai margini.

Il risultato finale è molto simile: quelle che all’interno del sistema dei media vengono presentate come opinioni “di sinistra” o “di destra” offrono una visione parziale e limitata dei problemi, che riflette le esigenze del potere privato, e sostanzialmente non si trova nulla nei media che vada al di là di queste posizioni “accettabili”.

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Pubblicazione in collaborazione con la casa editrice Il Saggiatore

Perciò quello che i media fanno, in realtà, è prendere la serie di schemi precostituiti che rispecchiano le idee del sistema della propaganda – sulla Guerra fredda o sul sistema economico o sugli “interessi nazionali” e così via – e presentare al pubblico un dibattito variegato, ma all’interno di quegli schemi.

Per cui il dibattito non fa altro che confermare i propri presupposti, inculcandoli nella testa della gente fino a farle credere che in essi sia compresa tutta la gamma delle opinioni e dei giudizi possibili.

Vedete, nel nostro sistema quella che potremmo chiamare “propaganda di stato” non si esprime come tale, così come avverrebbe in uno stato totalitario. Piuttosto è implicita, è presupposta, e costituisce la struttura del dibattito fra le persone che sono ammesse alla discussione entro i limiti di questo schema generale.

Di fatto, la natura del sistema di indottrinamento occidentale generalmente non è compresa dai dittatori. Essi non capiscono l’utilità, a fini propagandistici, di un “dibattito critico” che si fonda sui presupposti fondamentali delle dottrine ufficiali, e che quindi emargina o elimina un’autentica discussione critica e razionale. Nell’ambito di quello che viene a volte chiamato “lavaggio del cervello in regime di libertà”, le voci critiche, o quanto meno i cosiddetti “critici responsabili”, danno un contributo di prim’ordine circoscrivendo il dibattito entro determinati limiti accettabili; per questo sono tollerati, o addirittura tenuti in grande considerazione.

Ebbene, tanto per cominciare, nel sistema dei media americano esistono vari strati e varie componenti: il National Enquirer che si compra al supermercato non è la stessa cosa del Washington Post, per esempio. Ma se si vuol parlare di presentazione delle notizie e di informazione, l’elemento fondamentale è costituito dai media che “fissano le priorità”: esiste un certo numero di mezzi di informazione che determinano una sorta di struttura alla quale i media minori devono più o meno adattarsi.

I grandi giornali, le grandi reti televisive hanno in mano le risorse essenziali, e gli organi minori, sparsi per tutto il paese, sono virtualmente costretti a adeguarsi allo schema fornito da quelli maggiori, perché se i giornali di Pittsburgh o di Salt Lake City vogliono sapere qualcosa dell’Angola, diciamo, ben pochi di essi sono in grado di inviare laggiù i loro corrispondenti e di avere i loro analisti politici e così via.

Se poi guardate i grandi organi di informazione, scoprite che hanno in comune alcune caratteristiche essenziali. Prima di tutto, queste fonti primarie – quelle che, appunto, fissano le priorità – sono grandi società commerciali a redditività molto alta, e nella grande maggioranza sono collegate a gruppi economici ancora più grandi.

Come le altre grandi società commerciali, hanno un prodotto da vendere e un mercato cui vogliono venderlo: il prodotto è il pubblico, e il mercato sono gli inserzionisti pubblicitari. Per cui la funzione economica di un giornale è quella di vendere lettori ad altri operatori economici.

Vedete, la loro preoccupazione principale non è vendere i giornali al maggior numero possibile di persone; in realtà, molto spesso un giornale che si trova in difficoltà finanziarie tende a ridurre le tirature, e quindi le vendite, e cerca invece di attrarre un pubblico economicamente superiore, perché questo servirà ad aumentare le tariffe delle inserzioni.

In sostanza non fanno che vendere il loro pubblico di lettori ad altri operatori economici, e per organi guida come il New York Times e il Wall Street Journal si tratta di vendere un pubblico privilegiato, d’élite, ad altri gruppi d’affari; i loro lettori appartengono per lo più alla cosiddetta “classe politica”, ossia alla classe che nella nostra società prende le decisioni più importanti.

Bene: immaginate di essere un marziano intelligente che osserva il sistema appena descritto. Ciò che vedete sono grandi gruppi economici che vendono pubblici relativamente privilegiati, appartenenti alle categorie che prendono le decisioni, ad altri gruppi economici. Allora vi domanderete: quale quadro del mondo potrà risultare da un simile assetto? Ebbene, una risposta plausibile è questa: un mondo che ponga in primo piano punti di vista e prospettive politiche che soddisfino le esigenze e gli interessi dei venditori, degli acquirenti e del mercato. E sarebbe sorprendente se non fosse così. Per cui io non la chiamo “teoria” o alcunché del genere: in pratica si tratta solamente di un’osservazione.

Quello che Ed Herman e io abbiamo definito il “modello della propaganda” nel nostro libro sui media [La fabbrica del consenso] è una verità ovvia, lapalissiana: vi dice che bisogna aspettarsi che le istituzioni operino nel proprio interesse, perché se non lo facessero non durerebbero molto a lungo.

Quindi penso che questo “modello della propaganda” sia utile soprattutto come strumento per ragionare sui media: in realtà non approfondisce più di tanto.


Pubblichiamo un estratto da Noam Chomsky, Capire il potere (Il Saggiatore)