101 è il codice che nelle università americane identifica i corsi che trasmettono le conoscenze di base di ogni materia. Oggi, mentre cambiano la società, le arti, la mediasfera, l’ecosistema, dobbiamo rifondare su nuove basi anche la nostra idea di cultura. O meglio di culture, visto che la cultura da sempre si nutre di pluralità e differenze.
A partire dalle riflessioni sviluppate in Cultura. Un patrimonio per la democrazia (Vita & Pensiero, 2023), cercherò di segnalare in questa rubrica esperienze, ricerche e processi innovativi, per esplorare e discutere con l’aiuto dei lettori di cheFare i nodi problematici di questa svolta culturale. Qui le puntate precedenti
Cultura 101. Ogni quindici giorni un intervento di Oliviero Ponte di Pino per cheFare
Pinocchio cede l’Abbecedario che Geppetto era riuscito a comprargli vendendo il suo unico cappotto, per vedere il teatrino dei burattini. A leggere la ricerca Le abitudini di studio all’Università – realizzata per l’Associazione Italiana Editori e presentata il 6 febbraio 2024 a Roma alla Camera dei deputati – il burattino di Collodi sembra il punto di riferimento dei numerosi studenti universitari italiani, che oggi si preparano agli esami senza aprire un libro, né cartaceo né digitale, per affidarsi a materiali forniti dai docenti (saggi, dispense, quiz) oppure autoprodotti (appunti e mappe concettuali, o la patinata schematicità delle slide) o anche appunti, dispense forniti dai colleghi o scaricati online. Molti studenti utilizzano questi materiali insieme ai libri di testo, ma solo il 59% degli studenti (sui 1000 giovani tra i 19 e i 30 anni interpellati da Talents Venture) ha usato libri e risorse digitali editoriali per preparare l’ultimo esame.
In genere chi studia sui libri preferisce la carta (78%, rispetto al 15% che preferisce il digitale, con un 7% di indifferenti), con motivazioni interessanti. I principali vantaggi del libro di carta sono la possibilità di annotare e sottolineare (47%), la facilità di lettura/studio (44%) e la facilità di concentrazione (43%): questo dato pare confermare le recenti ricerche che segnalano come la “lettura profonda” si accompagni più spesso a una lettura su carta che su schermo (vedi Maryanne Wolf, Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale, Vita e Pensiero, 2018). Chi preferisce il digitale, segnala la sostenibilità ambientale (44%), la possibilità di accesso ovunque ci si trovi (41%) e la facilità di trasporto (40%). Ma quattro studenti su dieci si potrebbero laureare senza né leggere né studiare un libro, cartaceo o digitale. Questo implica una mutazione profonda nelle modalità di trasmissione del sapere, che per secoli si è basata sulla lettura, sulla discussione e sul commento di un testo scritto. Il modello è il Talmud, con i suoi commenti potenzialmente infiniti al testo sacro. Il progresso scientifico ha funzionato per certi aspetti in maniera analoga, mettendo ogni volta in discussione le verità ereditate dai predecessori, procedendo per congetture e confutazioni (per dirla con Karl Popper).
Il libro stampato, con la sua autorialità e le responsabilità editoriale, garantisce la stabilità e dunque l’autorevolezza del testo, rispetto ad appunti che partono da una comunicazione orale o a pagine web che possono essere modificate (o falsificate) in ogni momento. Nel libro, in qualunque libro, è implicita una tensione metafisica alla verità (e di conseguenza all’eternità) che altre forme di trasmissione del sapere non hanno (e non sono nemmeno interessate ad avere). La forma lineare e dunque narrativa di qualunque testo sottende inoltre una sequenzialità storica o logica, che gli ipertesti tendono a superare, a favore di connessioni e associazioni di altro tipo.
Un’altra conseguenza dell’enorme disponibilità “qui e ora” dei materiali accumulati nel corso dei secoli e dei millenni e riversati in rete è il “presentismo”, ovvero da un lato la preponderanza di materiali (più o meno rilevanti) prodotti in questi ultimi anni, e dall’altro l’appiattimento sull’attualità digitale di espressioni culturali che avevano una materialità che li radicava nella storia.
Questo diverso atteggiamento nei confronti della conoscenza dipende, oltre che dai nuovi strumenti tecnologici, anche dalla moltiplicazione di saperi sempre più specialistici, costantemente aggiornati con velocità impressionante, che rendono rapidamente obsolete molte acquisizioni del passato anche recente.
Una parte minoritaria ma assai significativa dei giovani studenti universitari – la futura classe dirigente del paese – tradisce una disaffezione nei confronti del libro, e forse anche una difficoltà a usare lo strumento conoscitivo che ha caratterizzato gli ultimi secoli, dalla Bibbia di Gutemberg all’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert.
I commentatori della ricerca Le abitudini di studio all’Università hanno notato che lo studio appare finalizzato quasi unicamente a superare l’esame. Ed è funzionale a un sistema educativo che considera gli studenti degli “utenti” ai quali trasmettere (o meglio vendere) una serie di nozioni o di tecniche da utilizzare in ambito lavorativo. Ma forse la funzione educativa non può limitarsi a questo. Anche in un’ottica puramente funzionale, deve prima di tutto “insegnare a imparare”, vista la rapida obsolescenza di ogni sapere.
In quest’ottica, il dato diventa ancora più inquietante se lo si incrocia con un’altra ricerca, un’indagine dell’AIE del 2015, secondo la quale il 39,1% dei dirigenti e professionisti italiani non legge nemmeno un libro all’anno, contro il 17% di Spagna e Francia. Tra i laureati italiani, i non lettori erano il 25,1%, contro l’8,3% in Spagna e il 9,1% in Francia. Di questa classe dirigente allergica alla lettura fanno parte anche i politici: evidentemente in Italia la cultura non serve nemmeno per la scalata al potere. «La verità è che la classe dirigente, politica ma non solo, non sa nemmeno cos’è un libro», aveva commentato Federico Motta, all’epoca presidente di AIE. «Viviamo nella società della conoscenza, dove la capacità competitiva del Paese risiede nella sua cultura. Con questi dati siamo destinati al declino».
Immagine di copertina di Priscilla Du Preez 🇨🇦 su Unsplash