L’atto di nascita di Topipittori data 14 febbraio 2004. Sono trascorsi tredici anni, da allora, e naturalmente sono cambiate diverse cose. Se devo trovare un parametro che mi aiuti a mettere a fuoco i cambiamenti che hanno interessato Topipittori durante questo periodo di tempo, penso al modo in cui i nostri libri, oggi, stanno sugli scaffali delle librerie. Per un editore credo non esista test migliore che osservare il modo in cui in una libreria appaiono i propri libri, in mezzo a tutti gli altri: una prova di realtà che svincola dal sentimentalismo con cui si tendono a giudicare i prodotti del proprio lavoro.
Tredici anni fa, andare in libreria e osservare qualcuno dei nostri libri su uno scaffale era un esercizio frustrante. Erano alieni.
Fu in quegli anni, più o meno dal 2000 in poi, che alcune case editrici cominciarono a lavorare in modo innovativo agli albi illustrati, tuttavia gran parte dell’offerta era costituita da prodotti commerciali connotati da un’estetica largamente identificabile come ‘per bambini’, comune non solo ai libri, ma a gran parte dei prodotti destinati all’infanzia: alimenti, vestiti, dentifrici, giocattoli, cartoni animati eccetera. Qualsiasi cosa uscisse da quei canoni formali era percepita come non destinata loro. Nel caso dei nostri libri, infatti, con frequenza veniva espressamente dichiarato che non fossero per ragazzi. Oppure, presso un pubblico più preparato, che fossero libri per i figli degli architetti. Definizione, questa, che discende da quella, nota, con cui negli anni Sessanta e Settanta furono etichettati i libri della Emme di Rosellina Archinto (esperienza editoriale a cui abbiamo dedicato la pubblicazione La Casa delle Meraviglie.
La Emme ebbe una tale importanza nell’editoria per ragazzi, e in particolare nella produzione di libri illustrati, che fu determinante non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Tuttavia, dagli anni Ottanta, quando l’esperienza si concluse e il marchio passò ad altra proprietà, la sua eredità si perse, o per lo meno si inabissò, per poi tornare alla luce molti anni dopo. Il fatto è che durante i vent’anni della sua vita il pubblico e il settore rimasero diffidenti verso la sua proposta, talmente innovativa da risultare ai più incomprensibile, e prendere la sua straordinaria ricerca editoriale per un’operazione di elitarismo fine a se stesso. Questo fu di ostacolo all’eredità dell’Archinto e allo sviluppo di un’idea più evoluta di libro illustrato, al passo con quanto accadeva in altri paesi del mondo.
Ricordo bene, non so se nel 2006 o 2007, durante un dibattito a cui fui invitata a partecipare da Fahrenheit, su Radio3 Rai, una bravissima e nota editor italiana, affermare recisamente che in Italia, mancando la tradizione del picture book, i libri illustrati potevano interessare al massimo in quanto strenne o merchandising legato a fenomeni planetari di mercato. Niente di più sbagliato, come ha poi ha dimostrato quanto è successo. Questo per dire quanto in quegli anni persino professionisti di settore preparati e competenti fossero ciechi rispetto a un fenomeno di grande interesse, di cui non percepivano né l’importanza né le potenzialità.
In verità i nostri libri, esattamente come quelli della Emme, erano e sono sempre stati libri per bambini e ragazzi, come dimostrano i dati di vendita e come oggi ci testimonia il contatto quotidiano con genitori, insegnanti, bibliotecari, librai specializzati e non, promotori della lettura eccetera.
Tuttavia la prima volta che ebbi la sensazione che la nostra produzione editoriale potesse stare a pieno titolo su uno scaffale per ragazzi di libreria, collegata in modo organico e coerente con il resto della produzione libraria, fu a Bruxelles, alla libreria Tropisme Jeunesse. L’area europea di lingua francese, quanto a creatività, nell’ambito dell’editoria per ragazzi, ha sempre avuto un primato di eccellenza e quando cominciammo a fare libri fu a quel modello che guardammo, con la precisa idea di commercializzare i nostri libri in tutto il mondo, data la limitatezza del nostro mercato per un prodotto editoriale di quel genere.
La vistosa distanza fra quello che proponevamo e la produzione libraria corrente fu alla base del nostro progetto di comunicazione, risultato decisivo per la crescita della casa editrice. Per colmarla era necessario informare i potenziali lettori in merito alle caratteristiche e alle finalità della nostra idea di libro illustrato. Da qui la nascita nel 2007 di una guida gratuita alla lettura dei libri del nostro catalogo, il Catalogone, realizzato fino al 2013 da Giulia Mirandola, che si è poi affermata come una delle voci più interessanti nel campo della letteratura illsutrata, e nel 2010 l’avvio di un blog e di una pagina Facebook legati alla casa editrice, non finalizzati alla sola promozione dei titoli di catalogo, ma alla diffusione dell’informazione sui temi della cultura per l’infanzia (oggi il blog ha fra le 40 e le 50 mila visite mensili, e la pagina FB 31 mila follower).
Se nel 2004 e per alcuni anni dopo, Topipittori è stata descritta come casa editrice ‘nuova’, ciò è avvenuto non solo dal punto di vista anagrafico, ma anche in relazione al tipo di offerta e di ricerca, percepite come innovative.
Oggi, dopo tredici anni questo, naturalmente, dal punto di vista anagrafico non è più vero. E tuttavia pensiamo di aver mantenuto la caratteristica dell’innovazione, non solo nella produzione libraria, ma anche nella commercializzazione e nella comunicazione ponendo sempre grande attenzione ai nuovi canali che si aprono e permettono forme nuove di contatto e informazione. In questi tredici anni, per esempio, è nata l’esigenza, accanto ai picture book propriamente detti, di sperimentare altri ambiti del libro per ragazzi – dalla narrativa al fumetto, alla divulgazione sia nel campo dell’arte sia in quello scientifico. In tutti questi casi, la progettazione è nata sulla base della percezione di lacune di mercato e quindi di interessanti spazi rimasti vuoti da colmare con idee, forme, contenuti, autori e illustratori inediti.
Naturalmente, oggi, il nostro catalogo si sviluppa non solo nel senso dell’innovazione, ma anche della coerenza, del consolidamento e dell’approfondimento. Autori e illustratori che dieci e più anni fa erano nuovi, alla loro prima opera presso di noi, oggi sono affermati professionisti. Della maggior parte di loro ci interessa seguire il lavoro che sentiamo ancora perfettamente nelle nostre corde, e sappiamo anche quanto sia importante costruire una fisionomia editoriale riconoscibile e affidabile che aiuti i lettori a orientarsi. Tuttavia la curiosità nei confronti di illustratori e autori nuovi, e spesso molto giovani, permane intatta e continua a caratterizzare le nostre uscite, così come la ricerca di forme nuove di libro. Perché anche questa ricerca ha sempre connotato la nostra fisionomia.
Oggi, se guardiamo i nostri libri sullo scaffale di una libreria, riscontriamo che le cose sono molto cambiate: non sono più degli alieni, e stanno in mezzo a una produzione editoriale che dichiara una decisa evoluzione nella direzione di una migliore qualità e di una generale voglia di innovazione. Il mercato dei libri illustrati, infatti, probabilmente è quello che nell’ultimo decennio in ambito editoriale ha registrato il cambiamento e l’allargamento più drastico. Al punto che si potrebbe dire che in Italia sta avvenendo ciò che in Francia è avvenuto già da tempo: una saturazione creata da un’offerta molto vivace, in crescita, in parte interessante, ma spesso motivata dal tentativo, da parte di attori improvvisati, di presidiare lo spazio apertosi. Quindi se prima il problema era non risultare visibili a causa di un eccesso di innovazione in un contesto uniforme, oggi è quello di non risultare visibili a causa di una ricerca di coerenza in un contesto che cerca di appropriarsi del linguaggio dell’innovazione.
Nel cercare soluzioni a questi problemi, oggi come ieri, siamo stati aiutati da una pratica che fin da subito abbiamo fatto nostra.
Ci siamo sempre chiesti quali fossero le scelte giuste da fare, in ogni momento della nostra storia: quale catalogo volevamo costruire e stavamo costruendo, consapevoli del rischio di sbagliare, ma soprattutto di quello di cedere alla tentazione della facilità ovvero di scorciatoie, innamoramenti, gusti e disgusti personali, mode, giudizi facili ma immotivati. Ci siamo sempre obbligati a riflettere sulle ragioni delle nostre scelte, facendo in modo di salvaguardare quell’equilibrio necessario che deve esserci fra istinto e raziocinio a guidare un percorso complesso come quello di una casa editrice, che è un’impresa economica, ma anche creativa; che genera ricchezza economica, ma anche culturale; che è il prodotto di idee individuali, ma si rivolge a una collettività; che è ben radicata nell’immaginario di chi la crea, ma anche in quello di chi la circonda e che si chiama contesto sociale e culturale. Tutti aspetti da cui non è mai è possibile né bene prescindere.