Farci guidare da François Jullien nel tempo dello spaesamento
Coltivare la propria individualità è una delle caratteristiche della cultura francese. Questo è tanto più vero quanto più ci si avvicina al mondo universitario e accademico. Si può essere degli ottimi studiosi con raffinate specializzazioni, ma se non si possiede un percorso originale di ricerca difficilmente si emergerà nel panorama dell’ intelligencija d’Oltralpe. Si deve coltivare la propria singolarità nella vita così come nel pensiero.
È certamente un caso singolare quello del filosofo François Jullien, egli rappresenta il percorso originale di un sinologo capace al tempo stesso di tessere un dialogo interculturale nel contesto di un mondo ormai globalizzato.
Per tutta l’estate su cheFare in collaborazione con Feltrinelli editore e Mimesis edizioni una serie di contributi dalle principali opere di François Jullien.
Formatosi all’École normale supérieure di Parigi, Jullien partí per studiare la cultura cinese a Pechino e Shangai tra il 1975 e il 1977, quando la Cina non era ancora così vicina come oggi. Professore all’Università Paris-Diderot, vanta una brillante carriera ed è oggi uno dei filosofi francesi più tradotti. A cosa si deve tanto successo?
C’è da dire che, in primo luogo, Jullien e la sua generazione, formata da Bruno Latour, Bernard Stiegler, Michel Onfray e alcuni altri, ha preso il posto della generazione di Foucault, Deleuze, Althusser, Derrida, figure internazionali di cui la Francia si sentiva orfana. Ma, a differenza del passato, non esiste un fil rouge tra questi filosofi se non il fatto di essere letti e amati da un grande pubblico di non specialisti. Sono degli intellettuali pubblici, scrivono cioè un po’ per tutti. E infatti sono seguiti da scrittori, artisti, registi, architetti, e da chi vuole farsi ispirare da idee che sembrano voler toccare l’aspetto più profondo delle cose.
Il suo lavoro sulla cultura cinese è filosofico: il proprio obiettivo è di riesaminare il pensiero europeo a partire da un punto di vista esterno. In questo riesame della nostra cultura per mezzo di un’altra, Jullien mobilita concetti che hanno uno spessore storico notevole e sono incardinati nella filosofia europea, come la differenza tra esteriorità e alterità che, secondo il filosofo, si basa sulla differenza tra ciò che si può constatare fisicamente, perché ad esempio è al di là di un mare o di una montagna, un luogo dove parlano una lingua sconosciuta e incomprensibile, dove il tempo scorre narrando un’altra storia, e ciò che invece è costruito culturalmente, più impalpabile e che costituisce un altrove puramente mentale.
Jullien mobilita concetti come la differenza tra esteriorità e alterità.
La Cina rappresenta questa alteritá pura, questo luogo dello spirito “altro” rispetto al nostro mondo. La Cina come eterotopia perfetta e realizzata. Ma mentre “le utopie confortano, le eterotopie inquietano”. Il mondo cinese è il nostro spaesamento sulla terra, e forse anche per questo leggere qualcuno che ci spiega tanta differenza ci fa sentire più sicuri e a casa nel mondo.
In certa misura Jullien con la sua opera vorrebbe realizzare ciò che Heidegger cercava di ritrovare nella cultura pre-filosofica greca: pensare l’impensato. La differenza tra i due sta nella volontà di cercare nello spazio anziché nel tempo. Cogliere la cultura europea non in un suo “prima” ma in un suo “altrove”.
In una intervista per una rivista brasiliana, Jullien affermava che “pensare la Cina è uscire dal grande movimento pendolare tra Atene e Gerusalemme, incarnato dalla filosofia europea”.
Per uscire da questo luogo angusto e arido — ma dove chissà perché in molti vorrebbero abitare — Jullien propone alcuni concetti ispirati alla filosofia cinese. Prendiamo due esempi: il potenziale di situazione, legato a quello di efficacia, e quello di trasformazione silenziosa.
La nozione di “situazione potenziale” ci aiuta a comprendere la concezione cinese dell’efficacia, al centro del suo Trattato dell’efficacia 1(Einaudi, 1998). Piuttosto che modellare una formula ideale ponendola come meta, il che implica ripresentarsi in modo forzato nella realtà questo fine della nostra azione — come secondo Jullien facciamo noi europei —, l’efficacia in Cina consiste nel delimitare e rilevare gli elementi favorevoli che esistono all’interno della situazione che dobbiamo affrontare.
L’idea è di lasciare evolvere continuamente la situazione secondo gli elementi che via via si rivelano, in modo tale che gli effetti siano causati dalla situazione stessa. Così, se il momento attuale non è favorevole, è preferibile aspettare, piuttosto che annientarsi e abbattersi affrontando una situazione avversa. Noi europei vorremmo imporre un progetto alla realtà, mentre per raggiungere il nostro obiettivo dovremmo invece avere la pazienza e l’arguzia di capire la continuità di un processo. Da qui deriva una seconda nozione: quella di “trasformazione silenziosa”.
Secondo Jullien “uno dei temi più forti del pensiero cinese è la non-azione”.
A differenza dell’europeo, che vuole modellare la realtà secondo la propria volontà e il proprio desiderio, secondo Jullien “uno dei temi più forti del pensiero cinese è la non-azione, che non deve in alcun modo essere intesa nel senso di passività o assenza di impegno”. L’antico stratega cinese non agisce, trasforma.
Egli fa evolvere lentamente la situazione nella direzione desiderata, per influenza. “In breve, la trasformazione si manifesta come il contrario dell’azione. Mentre quest’ultima è locale, momentanea e legata a un soggetto specifico, l’altra è globale e progressiva. Non la vediamo, ma succede. Come l’invecchiamento di una persona, che percepiamo quando la confrontiamo con una fotografia di venti anni prima. Il pensiero cinese dissolve l’individualità dell’evento nel processo”.
Questo aiuta tutti noi ad avere uno sguardo più diretto su una realtà che facciamo ancora difficoltà a sentire parte del nostro mondo. A non averne paura, anche se questo non significa non poterla giudicare. Accade però, benché tale ricerca intellettuale sia animata dai più nobili fini, che i suoi libri siano letti dai nostri manager per capire meglio come avviare un business strategicamente competitivo in Cina. Miseria degli europei.
Illustrazione: collage di Enea Brigatti