Fare geopolitica con la cultura pop

Geopolitica pop di Giacomo Natali (Treccani) è un’analisi dei fenomeni pop internazionali letti con la lente della politica culturale, e delle relazioni internazionali.

 

Che la cultura possa essere un campo di gioco del potere è evidente almeno e soprattutto dal Rinascimento. Il prodotto culturale sia come messa in mostra della propria potenza, ma anche e soprattutto come forma di controllo del territorio sia esso politico, geografico o mediatico, rappresenta uno strumento formidabile per la gestione del potere. Certo, con la definizione di società dello spettacolo molte cose hanno assunto pieghe e pose diverse. È cambiato il rapporto con i pubblici e anche con l’idea stessa di cultura. Superata l’arcinota (e noiosissima) questione dell’alto e del basso, appena in tempo con la fine del pop, è possibile oggi, tanto più in un tempo tragico di guerra come il nostro, cogliere al meglio il senso di una nuova produzione culturale. Con l’arrivo sugli scenari mondiali del mondo asiatico – e quindi con la sua potente presenza sul mercato – il fare cultura sta cambiando radicalmente sotto i nostri occhi. E se non ci sono più i film di una volta e i cartoni animati di una volta, qualcosa vorrà pur dire. E non si tratta solo di gusto, ma di politica intesa sia come potere sia come evoluzione della vita quotidiana.

Si tratta insomma di mettere in discussione quello che da destra a sinistra si ama definire come modello di società, ma che da destra a sinistra, e soprattutto in Italia, non si sa più immaginare e tanto meno progettare (figuriamoci imporre). Perché Parasite ha vinto l’Oscar? Perché Masha e Orso sono così popolari tra i bambini? E poi che ne è della famosa egemonia di gramsciana memoria? A queste domande solo in apparenza distanti le une dalle altre risponde brillantemente il bel libro di Giacomo Natali, Geopolitica Pop (Treccani Libri). La prima qualità del saggio di Giacomo Natali è sicuramente il tentativo (riuscito) di bucare un termine come geopolitica oggi finito in pasto a qualunque commentatore. La geopolitica spiega infatti ormai ogni cosa: racconta, definisce, include e nulla vi è escluso. Non è così, ma di certo la geopolitica può aiutare a rappresentare il senso del fare politica e del gestire un potere per uno Stato come per il sistema più ampio di relazioni economiche in cui vi è immerso. Ma bisogna fare un passo indietro, tornare là dove pareva che la noia regnasse incontrastata, ovvero gli anni Novanta. Quando mai avremmo immaginato di covare allora il principale sentimento occidentale, ovvero la nostalgia. E soprattutto, quando mai avremmo immaginato qualcosa di diverso da una progressione clintoniana dell’esistenza (macchie comprese). Gli anni Novanta non sono stati l’ubriacatura degli anni Ottanta, troppo aggressivi per chi cresceva a colpi di Friends e Beverly Hills 90210, ma sono stati gli anni in cui la ricchezza era scontata e la pace da valore da difendere si tramutava in un’ovvietà da divano e tv via cavo.

 

Foto di Robert Anasch su Unsplash