Enti filantropici e imprese sociali: come far incontrare due binari paralleli?

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    «Perché oggi in Italia – come in Europa – solo l’1% del capitale di cui le imprese sociali hanno bisogno proviene dagli enti filantropici? In teoria, gli enti filantropici dispongono proprio del capitale – flessibile, paziente, solidale – di cui le imprese sociali necessitano», l’intervento segretaria generale di Assifero e vicepresidente di Philea- Philanthropy Europe Association

    Nonostante i promettenti sviluppi della finanza etica e interessanti sperimentazioni anche in Italia, oggi il sistema finanziario risulta profondamente inadeguato alle esigenze specifiche delle imprese sociali: persiste, in tutta Europa, uno squilibrio tra la domanda e l’offerta di finanziamenti, sia in termini di accesso al debito e al capitale, che di tassi di interesse e attese di rendimento realistiche.

    Le imprese sociali che affrontano le grandi cause che ci stanno a cuore – questioni su cui gli Stati e il privato hanno fallito per decenni se non per secoli – e su quelle cause vogliono produrre un cambiamento sistemico, hanno bisogno di un tipo capitale molto specifico: flessibile, svincolato, paziente, solidale e – aggiungo e sottolineo – gentile, a sostegno di organizzazioni e non di attività, di processi e non di progetti.

    Ed è proprio il tipo di capitale di cui gli enti filantropici dispongono, che li caratterizza. Eppure, il mondo della filantropia e quello delle imprese sociali sono praticamente estranei. Secondo il rapporto Accelerating Impact di Impact Europe, gli enti filantropici rappresentano in Italia – come in Europa – appena l’1% del totale dei finanziamenti veicolati alle imprese sociali. Non c’è da stupirsi dato che la gestione dei patrimoni è conservativa e il passaggio dagli investimenti tradizionali all’investing for impact da parte della filantropia è molto lento.

     

    Immagine di copertina di Clark Tibbs su Unsplash

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