Street Art. Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande

Questo era il payoff di una nota pubblicità di qualche tempo fa.

Le città sono fatte di tante cose: alcune di queste sono degli errori, o almeno appaiono tali agli occhi dei più. Una grande parete cieca appare sempre come un errore, come un’occasione sprecata. Ci si poteva pur mettere una finestra, in fondo sarebbe servita a qualcosa. Una delle tendenze della street art è rispondere a questo genere di errori, ovvero di dare un senso alle grandi pareti cieche. Più è grande la parete, più grande è l’opera, più forte può essere il messaggio.

Palermo è piena di errori ed è piena di questi rammendi di senso proposti dalla street art. Facce gigantesche di eroi della lotta alla mafia e temi più o meno mistici urlano da queste pareti cieche, donandogli un senso.

Il progetto Traiettorie Urbane, che si occupa di raccontare in modo differente alcune traiettorie interne alla  città di Palermo, avrebbe potuto scegliere di operare in quel modo, ed in parte ha scelto di farlo, ad esempio con l’opera dedicata a Pio La Torre e Rosario Di Salvo, oppure, con altro sguardo, come nell’opera di Demetrio di Grado all’interno dei Cantieri Cultruali alla Zisa. Tuttavia ha scelto anche un altro punto di vista dell’intervento artistico sui muri della città. Una modalità più intima, meno monumentale e per questo più difficile e meno rappresentabile. Ha scelto un’azione, che fosse in grado di proporre al contempo una partecipazione attiva delle ragazze e dei ragazzi coinvolti del progetto.

Il termine partecipazione porta con se moltissimi sensi ed è utile chiarire quale sia quello usato nel contesto del progetto Traiettorie Urbane ed in particolare rispetto alle attività del laboratorio di street art, che mi accingo a raccontare.

In un importante scritto del 1969 Sherry Arnstein poneva le basi epistemiologiche di ciò che fosse la partecipazione rispetto ai processi generativi della città. In quello scritto veniva definita una gradazione che oscillava dalla manipolazione, al controllo diretto dei cittadini rispetto alle scelte ed alle azioni che fanno la città. I gradi di partecipazione sono secondo Arnstein, partendo dal basso: manipolazione, terapia, informazione, consultazione, conciliazione, partnership, poteri delegati ed infine controllo dei cittadini.

In quegli stessi anni Marshall McLuhan scriveva un testo altrettanto importante “Gli strumenti del comunicare”, che definiva come una parte del messaggio contenuto nei media, appartenesse ai media stessi, ovvero, che differenti forme di espressione di messaggi, necessitassero di maggiore o minore completamento da parte dei recettori dei messaggi stessi. Mettendo insieme questi due punti di vista, il progetto Traiettorie Urbane ha disegnato la sua strategia rispetto all’intervento di street art.

Se proviamo a spostare di nuovo l’attenzione sulle opere descritte in apertura e le analizziamo dal punto di vista comunicativo sono un discorso, che viene proposto al pubblico. Il loro stile realistico riduce la possibilità di completamento da parte degli interlocutori: chi guarda un murales di questo genere subisce il messaggio. Questo modo di operare è estremamente consolatorio, perchè consente al “lettore” dell’opera di sentire che, almeno ad un certo livello, la comprende. Per molti versi quindi, se si riferiscono queste opere alla scala di partecipazione di Arnstein, ci troviamo sui gradini più bassi. Tuttavia percorrere anche i gradini più bassi è necessario per salire qualsiasi scala.

Traiettorie Urbane ha affidato l’attività di street art ad un artista napoletano: Kaf. L’opera di questo artista, insieme al suo sodale Cyop, si è caratterizzata per opere enigmatiche, poste spesso alla quota umana, per opere che non si esprimessero in un punto ma in un percorso, per opere definite insieme a ragazze e ragazzi.

Il percorso di costruzione del laboratorio è partito dalle attività di mappatura fatte con le ragazze ed i ragazzi delle scuole. Questi incontri hanno portato ad una conoscenza intima della traiettoria che, partendo da piazza Noce, arriva a Danisinni, passando per i Cantieri Cutlurali alla Zisa. Durante queste passeggiate di mappatura i ragazzi erano  “armati” di gessetti e veniva chiesto loro di commentare i segni che trovavano in città. La regola era piuttosto semplice: si poteva disegnare ciò che si voleva ma almeno una linea doveva già esistere. Non si trattava di coprire quei segni ma di commentarli per farli diventare qualcos’altro. Questa prima fase è stata importantissima, perché ha definito un nuovo rapporto tra i ragazzi e lo spazio urbano, un rapporto attivo, in cui si può dire la propria, saldando insieme molti degli aspetti che riguardano la scala della partecipazione. L’esperienza artistica di streetart impone la scelta di agire e l’agire stesso. Molto spesso durante queste azioni ci si ritrova a prlare con i cittadini, che sono sorpresi da questa azione, che è palese. Molto spsso si istaura un dialogo che si basa su ciò che potrebbe essere il disegno proposto. l’esperienza stessa di questo modo di intendere la streetrt è partecipativa perchè impone un coinvolgimento diretto di operatori e cittadini.

Chiaramente la scelta dei gessi ha deresponsabilizzato i ragazzi rispetto all’esito delle loro azioni. Dopo questo primo set di incontri e dopo uno studio approfondito sulle modalità di intervento rispetto ai luoghi scelti si è proceduto alla vera e propria definizione del percorso di street art. Dalla Noce a Danisinni sono stati messi in opera più di 80 segni, in alcuni luoghi con degli elementi più grandi e visibilli ed in altri con degli interventi più minuti. In strada, a sporcarsi le mani con colla e vernici un gruppo di ragazzi ha seguito tutti gli interventi, ha giocato a disegnare sugli elementi residuali della città su cui l’intervento si è concentrato. Questo aspetto è particolarmente importante, perchè ha svelato ai ragazziun punto di vista differente di rapportarsi con gli spazi della città  e ha fatto vedere loro cose che non avrebbero notato altrimenti. Gli interventi non si sono concentrati su pareti liscie e pulite ma, al contrario, ha privilegiato vecchi pannelli per la pubblicità ormai in disuso, sportellini dei contatori scrostati, totem per la fermata degli autobus dismessi, cassette postali abbandonate, etc. Anche in questo senso il laboratorio ha portato a vedere con occhi nuovi ciò che esiste. Il giorno più bello del laboratorio è stato l’ultimo, quando il gruppo di ragazzi, che ha seguito per intero il laboratorio, (altri gruppi ruotavano e seguivano singole giornate del laboratorio), si è trovato in piena autonomia ad operare sui muri. In alcuni casi il gruppo ha proposto forme più infantili ma anche delle forme legate al modo di operare di Kaf, dimostrando come l’esperienza di agire insieme avesse fatto passare nei giovani artisti delle informazioni che andavano al di là delle nozioni.Le forme disegnate in quest’ultima fase del laboratorio sono spesso  ambigue. Sono state disegnate figure, che mettono in movimento un processo di completamento in chi le guarda. Questo movimento dell’immaginazione è alla base della partecipazione. Nel vedere queste figure tutti possono trovare ciò che vogliono, possono riflettere sugli scarti della città e possono scegliere da che parte stare. In questo senso l’intervento non ha soltanto degli esiti diretti sui ragazzi ma si propone come una piattaforma continua di partecipazione in quel grande affresco partecipativo che è la città.

Ripercorrere la traiettoria urbana, fisicizzata dall’intervento artistico è un’esperienza emozionante, perchè coagula in una realtà fisica il progetto. Insieme alla mappatura, l’intervento di street art è un atto fondativo della nuova traiettoria urbana, che ricuce i quartieri Noce, Zisa e Danisinni. Proprio ripercorrendo la traiettoria mi sono ritrovato ad osservare come alcuni interventi fossero stati “commentati” da altre persone. Lì per lì mi ha assalito un attimo di sconforto, perchè ho pensato che le opere sarebbero potute essere non comprese. Poi, però ho capito. L’intervento seviva proprio a quello: a stimolare una riflessione ed una partecipazione, in qualche misura una ribellione. Poco importa il livello artistico di questi interventi, importa che qualcuno abbia desiderato partecipare al racconto di una città nuova. In definitiva oltre alla partecipazione delle ragazze ed i ragazzi che si sono sporcati le mani con i pennelli, resta sulle pareti un invito a completare dei messaggi ed uno sprone ad agire sul corpo della città.