Un viaggio dentro Mutonia, l’utopia che diventa parco

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Passeggiare per la Romagna può trasformarsi in una occasione di incontri incredibili e che non ti aspetti. Alle porte di Santarcangelo, un paesino non troppo distante da Rimini, sulle rive del fiume Marecchia, vive oramai da venticinque anni la Mutoid Waste Company, di origine inglese, un gruppo di artisti e artigiani dell’arte, performers, scultori. Sono gli autori di grandissime sculture che si richiamano a un immaginario robotico e fantascientifico create a partire da materiali di recupero, ferri vecchi e carcasse di oggetti in disuso.

    Chiamati all’inizio degli anni Novanta al festival teatrale di Santarcangelo, i Mutoid hanno eletto la zona come loro luogo di insediamento e lì hanno creato un particolarissimo villaggio abitativo e di lavoro. Nel frattempo i bambini sono cresciuti, i ragazzi sono diventati padri e il loro ambiente, solo alcuni mesi fa a rischio di distruzione per via di una causa legale che voleva allontanarli dalla zona, da qualche giorno è diventato il Parco Artistico di Mutonia. In questo quarto di secolo, la comunità Mutoid ha articolato un rapporto inedito di scambi e avvicinamenti sempre più intensi con il paese vicino. I cittadini santarcangiolesi vi hanno intravisto le loro caratteristiche di un tempo: la vita a contatto con la natura e lo stare all’aria aperta, estate o inverno che sia, l’abitudine e la virtù di non sprecare niente e di riutilizzare tutto quello che si trova.

    A ciò, questa comunità artistica ha unito elementi propri tipici di una vita in controtendenza rispetto ai tempi che viviamo: la semplicità delle esistenze, un rapporto viscerale con l’habitat che li ospita, il “campo” (“the yard”), un allontanamento dagli assunti economici e dalla frenesia delle vite quotidiane di oggi. I santarcangiolesi hanno fatto l’abitudine a certe loro stravaganze e, senza eccessive difficoltà, li hanno incorporati nel loro dna cittadino, dopo anni di convivenza ravvicinata.

    A lungo hanno portato là i propri “rifiuti”, motori usurati e non più funzionanti, metalli vecchi e deteriorati per vederseli trasformati in oggetti di arte contemporanea secondo una poetica artistica del tutto nuova e non da manuale. Oggetti vecchi che rimodellati hanno proseguito la propria esistenza sotto forma di luminarie natalizie del paese o di addobbi della sagra.

    La creatività dei Mutoid parte proprio dal rimettere al centro del discorso artistico quello che è uscito dal centro del ciclo produttivo. Questa poetica, però, con il tempo sta diventando difficile da sostenere, dovendosi scontrare con le leggi sempre più restrittive che disciplinano tutto, perfino la vita degli oggetti non più utili.

    Con il recente riconoscimento di Parco Artistico, le amministrazioni di Santarcangelo hanno dato effettivo valore all’attività dei Mutoid, ne hanno finalmente riconosciuto il dato di “bene cittadino” e hanno adottato in maniera formale questa comunità, senza volerla cambiare e anzi accettandola come un plus artistico e culturale della propria società. D’altronde è nelle tradizioni di quella terra il costume della conservazione, della custodia anche solo di uno sperduto spillo.

    Basti pensare che a Gambettola, un paese poco distante, è ancora forte una lunghissima tradizione di recupero che ha forgiato nei decenni l’economia stessa del paese: una cittadina dove nei cortili delle abitazioni campeggiano vecchi pezzi di aerei e carri armati lasciati dai tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale, pezzi di treni smontati, eliche di elicotteri che non vanno più.

    Un paese dove la distinzione tra rottamatori e demolitori è sensibile, ma fondamentale a definire generazioni di professionisti. La Mutoid Waste Company si è inserita dunque in questo terreno, rileggendolo in una chiave non più lavorativa, ma artistica.

    Tra i pochi materiali prodotti a raccontare questa esperienza di vita particolarissima voglio citare un documentario straordinario del collettivo bolognese Zimmerfrei. Dico “straordinario” soprattutto per la capacità di entrare in punta di piedi all’interno di Mutonia muniti di telecamere e di voglia di regalarci uno spaccato di un mondo insolito per noi, di scelte di vita assolutamente radicali ai nostri occhi: esistenze che ruotano attorno a un luogo, a uno spazio, quello appunto del campo (e questo era anche il titolo originario del lavoro, poi cambiato).

    Zimmerfrei si è mossa con totale delicatezza, rispettando le persone che aveva di fronte e Hometown Mutonia ci restituisce un bel ritratto del percorso che la comunità Mutoid ha fatto negli anni, dalle origini del loro arrivo alla loro particolare integrazione. Molti bambini frequentano le scuole, parlano italiano e non più solo inglese, a volte vanno a dormire da amichetti che abitano in case “fatte di mattoni” e questo non smette di sorprenderli. Il documentario è stato presentato in anteprima un paio di anni fa al Festival di Santarcangelo: una visione per quattro, cinque persone per volta perché avveniva all’interno di una roulotte.

    La compagnia dei Mutoid ha mescolato al suo interno un mix di elementi differenti dando vita a un esempio abitativo innovativo. I suoi componenti si richiamano certamente a una modalità di vita che precede lo scempio urbanistico dell’abitare in massa un luogo e delle costruzioni intensive. Nel loro insediamento hanno rispettato senza eccezioni le poche regole che erano state imposte all’inizio degli anni Novanta dall’amministrazione locale, come il divieto di costruire abitazioni troppo alte e l’obbligo invece di tutelare il paesaggio del fiume. Si sono messi al lavoro per costruire fosse biologiche evitando gli scarichi al fiume e dimostrando un amore e un rispetto raro per quell’habitat (che ha pochi uguali nella nostra società industrializzata).

    Hanno privilegiato quali loro abitazioni vecchi autobus o vecchi camper con i quali erano arrivati in zona o che hanno poi trovato: poco importa, la loro vita, inverno o estate che sia, si svolge soprattutto all’aria aperta. Ma, al contrario della loro vita quotidiana, la loro forma artistica risponde invece a una aspirazione che è assolutamente post-industriale e metropolitana, che rimanda a uno scenario futuristico, costruzioni che sembrano uscire da fumetti giapponesi.

    Sta in questo l’utopia sociale e culturale di Mutonia, un discorso profondamente interessante e gravido di novità: una concezione che viene da un gruppo che ha conosciuto il dato dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, che l’ha sviscerato quel dato e che poi lo ha consapevolmente superato, mantenendone solo una cifra artistica.

    Note