Dopo nove anni dalla pubblicazione dell’edizione italiana (Luca Sossella editore, 2015) torna nelle librerie il saggio di Claire Bishop Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell’arte partecipativa in un’edizione aggiornata con una nuova prefazione scritta dall’autrice in occasione del decimo anniversario dell’edizione originale in lingua inglese (Verso, 2022).
Tra i vari e molti meriti che riconosciamo a Bishop per questo volume, considerato un “classico” dalla comunità artistica internazionale per l’indagine storica e il taglio innovativo, ci sono quelli di aver preferito l’espressione “arte partecipativa” rispetto a tutte le altre fornendo un’analisi attenta della partecipazione nell’arte e della sua ambivalenza nella politica; di aver fatto del concetto di “spettatorialità” una specifica categoria teorica e una pratica performativa che fa riferimento alle condizioni, alle potenzialità di azione e ai limiti dell’essere spettatore; di aver parlato per prima di pubblico “secondario” sottolineando che la spettatorialità non si può eliminare per la semplice ragione che la partecipazione non è mai totale.
L’autrice, nell’esaminare la funzione dell’arte che ha luogo nel mondo e indaga il sociale, presenta una lunga storia dei rapporti tra progetti artistici e avvenimenti socio-politici in alcuni Paesi dell’emisfero occidentale ponendo in triangolazione tre momenti chiave – il 1917, il maggio ’68 e il 1989 – che costituiscono il trionfo, l’ultima eroica resistenza e il collasso di una visione collettivista della società. E se nel 2012 il punto di arrivo della sua trattazione erano stati gli anni Duemila con due tendenze dell’arte partecipativa accomunate da una temporalità espansa oltre quella dell’opera, quali la performance per delega e i progetti pedagogici, dieci anni dopo nella nuova prefazione Bishop riprende dal punto in cui aveva lasciato, ovvero dalle strategie artistiche messe in campo dal movimento Occupy Wall Street dell’autunno 2011 per attraversare gli anni Dieci e arrivare fino ai giorni nostri.
In queste pagine troviamo un aggiornamento teorico degli argomenti principali del libro attraverso gli sviluppi indotti dalle stesse pratiche performative, partecipative e relazionali per effetto del cambiamento dell’atmosfera politica globale in senso autoritario e repressivo, di un vocabolario diverso per le relazioni sociali e dell’emersione di nuove questioni identitarie. Di conseguenza l’antagonismo e la rottura delle avanguardie storiche e della controcultura diventano norma politica intensificando il dramma tra la critica artistica e quella sociale del capitalismo, la partecipazione come discorso si frammenta in una serie di termini in competizione tra loro, come assemblea, coinvolgimento e cura, e la politica dell’arte partecipativa cede il passo a quella della cura che tende a definirsi in opposizione a ciò che è dominante – in questo caso, l’individualismo, l’oggettivazione, il danno.
Immagine di copertina di Ahmad Odeh su Unsplash