Il caso del Museo Italo-Africano ‘Ilaria Alpi’ racconta la rimozione operata nell’archivio coloniale italiane
Il 25 maggio 2020 il Museo delle Civiltà di Roma all’Eur annuncia la riapertura dell’ex Museo Coloniale, ora nominato Museo Italo-africano “Ilaria Alpi”. Le collezioni dell’istituzione sono un “bottino agrodolce” (Taussig, 2005) costituito durante la parentesi coloniale italiana che va dal 1869 al 1960. L’Italia non si è mai interrogata sul proprio passato coloniale, ragion per cui l’apertura di questo museo risulta piena di contraddizioni e una rischiosa operazione culturale di commemorazione dei fasti fascisti piuttosto che di un mezzo per ripensare al passato di una giovane nazione, che si è affidata proprio alla colonialità nel corno d’Africa per costruire una propria identità nazionale.
Un precedente emblematico in linea con la riapertura dell’ex Museo Coloniale è indicata da Igiaba Scego. Si è trattato dell’organizzazione nel 2004 di una mostra al Vittoriano dal titolo: L’epopea degli Ascari Eritrei, Volontari Eritrei nelle forze armate italiane 1889-1941. (Rino Bianchi e Igiaba Scego, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Ediesse Edizioni, Roma 2014, p. 111.)
Il rischio di una mostra come questa è quello di rinvigorire degli stereotipi sul passato coloniale. A maggior ragione questo può accadere quando ad essere riaperto al pubblico è proprio un istituto costituito primariamente con lo scopo di essere strumento di propaganda fascista. Ma procediamo per gradi.