Alessandro Papetti è un artista figurativo. La figura domina la monumentalità delle opere, sempre ampie, sempre avvolgenti, ed è tuttavia arricchita da altre ondate di informazioni che contribuiscono a crearla, attraverso la gestualità dell’artista/artigiano e attraverso lo sguardo del pittore/poeta. Pittore/poeta, per l’appunto.
Su Nuovi Argomenti, qualche tempo fa, abbiamo pubblicato uno scritto di Andrea Gentile, scrittore, che indaga la lingua nella letteratura contemporanea e parte, cito testualmente il suo scritto, da una definizione straordinaria di cos’è la poesia, che dobbiamo ad Andrea Zanzotto. “Nel 1980, appena uscito Il Galateo in Bosco, Andrea Zanzotto incontra gli studenti di una scuola di Parma. Uno studente chiede: “Come mai la poesia contemporanea è spesso difficile da capire?”. Il poeta risponde: “C’è una comprensibilità che si realizza in modo immediato, ma è quella che può avere un articolo di giornale, anzi che è indispensabile in un articolo di giornale. Nella poesia non è così (…).
Pensate al filo elettrico della lampadina che manda la luce, il messaggio luminoso, proprio grazie alla resistenza del mezzo. Se devo trasmettere corrente a lunga distanza, mi servo di fili molto grossi e la corrente passa e arriva senza perdite a destinazione. Se metto, invece, fili di diametro piccolissimo, la corrente passa a fatica, si sforza e genera un fatto nuovo, la luce o il colore. Così accade nella comunicazione poetica, nella quale il mezzo è costituito dalla lingua. L’eccessivo addensarsi dei significati, dei motivi, il sovraccarico di informazioni, può però provocare un ‘cortocircuito’, una oscurità da eccesso, non da difetto”
Scrive Stefano Dal Bianco: “Quella di Zanzotto [è] una delle definizioni universali di ‘poesia’, della sua natura e funzione, più cogenti mai formulate”. Questa definizione è, senza remore, estendibile a una precisa idea di letteratura. La letteratura è tale quando “l’eccessivo addensarsi dei significati, dei motivi, il sovraccarico di informazioni (…) [provoca] un ‘cortocircuito’, una oscurità da eccesso, non da difetto”? Ecco, nella tua opera io vi ritrovo esattamente questo addensarsi dei significati, luci, ombre, chiaroscuri, il tratto ideale del gesto pittorico materico già trascorso che ha lasciato traccia, all’apparenza simile ma capace di produrre fenomeni figurativi nuovi. E in più lo sguardo soggettivo del poeta che vede il mondo e lo filtra attraverso il suo intelletto e la sua empatia, la sua spiritualità, e produce il fatto nuovo che è l’opera.

Alessandro Papetti, Il tuffo. Trittico, 2007
Alessandro Papetti, è possibile rappresentare il reale? Un pittore può essere, a suo modo, un poeta?
Rappresentare la realtà è cosa pressoché impossibile, perché di quale realtà parliamo? Della nostra, nati qui in questa parte di mondo, cultura, latitudine? E poi anche per ognuno di noi “vicini di casa” la lettura della realtà è giustamente e inevitabilmente personale. Personale è la visione e così la percezione. Così, la mia visione del mondo e della pittura è di conseguenza autobiografica, nel senso che questa percezione viene filtrata e tradotta. In che senso quindi e perché si chiede all’artista di rappresentare la realtà? Per rispondere alla domanda “è ancora l’arte lo strumento più adatto per raccontare il presente?” mi viene da dire che in assoluto non esiste nulla e quindi nemmeno lo “strumento adatto”, né la necessità (intesa come unico scopo) di raccontare il presente.
È giusto quindi dire che “da tempo è caduta ormai ogni pretesa di oggettività della narrazione e l’inevitabile parzialità dello sguardo…come sintomo di sincerità e quindi per paradosso di credibilità”. Per contro, la presunzione di poter parlare o poter rappresentare la realtà oggettivamente intesa, si scontra con un concetto percepito e cresciuto in me come un valore, ossia di quanto la “consapevolezza dell’errore” sia importante nell’arte come nella vita. C’è poi distinzione? L’errore e il temporaneo senso di fallimento vissuto è, non nella sua oggettività ma nella intrinseca consapevolezza, uno dei più importanti e grandiosi elementi a cui attingere. A tutto questo inoltre una mia personale percezione di “presente” che in arte potremmo chiamare con un codice “contemporaneità”, mi porta a interpretare e sentire quest’ultimo concetto in altro modo.
Siamo abituati a dare per scontata una visione orizzontale e parallela della storia dell’arte (antica, moderna, contemporanea) attraverso canoni estetici, contenutistici e temporali. Questa classificazione non tiene conto di un concetto anzi, più ancora di un sentire per me fondamentale; contemporaneo non è solo ciò che attiene al presente, neppure quando questo riesce a comprendere anche una visione anticipatrice del futuro. La lettura della contemporaneità per me è trasversale.
Ci sono opere d’arte create secoli o decenni fa sempre contemporanee perché sfondano i livelli paralleli della classificazione e arrivano a noi oggi, e in parte siamo proprio noi a farli vivere nel presente. E’ quindi contemporaneo per me ciò che è eternamente vero, presente, universale, autentico e insieme abbastanza potente da riuscire a creare appunto un varco trasversale che lo libera dal tempo in cui è stato realizzato.

Alessandro Papetti, Studio per il bagno di notte, 2008
Le tue parole riportano a un altro parallelo tra arte pittorica e letteratura. Mi riferisco all’idea di continuum entro cui, lettori, analisti ed autori fino a qualche anno fa (oggi meno a causa della crisi di lettori e della proliferazione di forme di espressione attraverso il medium lento della parole totalmente derivative dalla pubblicità), cercavano ancora un territorio condiviso o un campo di battaglia comune, affinché si esercitasse insieme una specie di “senso storico”; ovvero, per dirla alla T.S. Eliot, “la sensazione che l’intera letteratura europea a partire da Omero (e in essa tutta la letteratura del proprio paese) abbia una esistenza simultanea e componga un ordine simultaneo. Questo senso storico – che è senso dell’a-temporale come del temporale, e dell’a-temporale e del temporale insieme – è ciò che rende uno scrittore ‘tradizionale’. Ed è allo stesso tempo ciò che rende uno scrittore più acutamente consapevole della sua posizione nel tempo, della sua propria contemporaneità”. È l’abbattimento della fin troppo razionale visione aritmetica e consequenziale dell’arte secondo lo studio ex-post. Per cui ti chiedo: se lo sguardo sulla realtà non può essere mai esaustivo, in che modo la realtà materica, o l’iper-realtà della rappresentazione del mondo, come ad esempio la pubblicità, interviene, modifica, influisce nel tuo lavoro? Sempre che influisca…
Non so se definirei la pubblicità “iperrealtà della rappresentazione del mondo”…o diciamo che, fosse anche in parte vero, non vorrei accettarlo. La vedo più come iperbanalizzazione della rappresentazione del mondo, secondo schemi elementari e quantitativi. Non credo abbia alcuna influenza sul mio lavoro. Mi scivola addosso.

Alessandro Papetti, Riflessi nell’acqua immobile, 2012
Guardando le tele, magnifiche, ritrovo esattamente questo tratto che mi sta molto a cuore perché in linea con un discorso sulla contemporaneità, che, nell’accezione di Giorgio Agamben, per un autore è la capacità innata di esprimersi (nel tuo caso attraverso la pittura) creando un cortocircuito. Io aggiungerei la capacità di creare un intervallo di risonanza che consente uno sguardo metafisico sulla realtà. Basta uno sguardo ai tuoi lavori (in particolare, per attitudine tematica di potenza smisurata come l’archeologia industriale, o come le serie sui Nudi, i Cantieri Navali e le Città) per esempio, per creare questa energia di assorbimento, descrizione e rielaborazione del mondo. Guardando le tue tele si prova quella sensazione fisica di eccitazione che Bernard Berenson chiamava “aumento di vitalità di fronte all’opera d’arte”. La pittura come visione personale e quindi autobiografica del mondo, dunque. E riallacciandomi a quello che prima definivi “contemporaneo”, ti chiedo: contemporaneo è l’assoluto? Contemporaneo è ciò che è eternamente vero? O contemporaneo è quello scarto di risonanza, quell’eco di assoluto? E quale rapporto intrattiene l’artista con tutto ciò che lo precede?
No, contemporaneo per me non è l’assoluto né l’eternamente vero. Prima di tutto perché assoluto e vero non sono né definibili né immaginabili. Come chiedere di raccontare il nulla. Poi perché “contemporaneo” non è “qualcosa” e “vero” non lo è in assoluto. Né tutto questo quindi e neppure un chi o un quando. È forse la vaga consapevolezza di una domanda che non vuole risposta. Sono stato vago? Si ma per forza e anche per piacere. Chi era Picasso, che diceva “Io non cerco, io trovo”? Be’, io non voglio proprio trovare…mi piace cercare.
Hai parlato di temporaneo senso del fallimento: da cosa è prodotto? È il fallimento di accorgersi che nessuna rappresentazione è mai davvero esaustiva? O è un percorso più personale, il rapporto del pittore/poeta con la sua stessa opera? Una volta un grande intellettuale come Ferruccio Parazzoli ha detto che per uno scrittore il fallimento (commerciale, sul piano del successo) è una vera e propria fortuna, perché solo così può continuare il proprio autentico percorso di ricerca, senza intrusioni di fattori di disturbo, compromessi, spersonalizzazioni. È così anche per un pittore? In che modo, se questo è il contesto emotivo, il fallimento o l’idea di fallimento per te diventa liberatoria come sembri voler intendere?
Ho parlato di “consapevolezza del fallimento”, non del fallimento. Non parlo di fallimento riferito a qualcosa. Non quindi inteso come sconfitta, non riuscita, non vittoria. Non c’entra il successo né tanto meno quello commerciale. Anzi se c’è perché no? Ben venga, purché non ti condizioni; tanto anche il fallimento ti può negativamente condizionare, disturbare, può spersonalizzarti o farti scendere a compromessi. La consapevolezza del fallimento non è un concetto negativo, tutt’altro. E’ creare quel vitale cortocircuito di cui mi parlavi.

Alessandro Papetti, Brevità di percorso, 2014
Leggendo alcune tue interviste torna spesso questa frase con cui concordo moltissimo: “Diamo per scontate un sacco di cose che in realtà sono straordinarie. La realtà è di per sé straordinaria.”. Cosa intendi precisamente? Ti riferisci al fatto che le informazioni sono così tante e le dimensioni della realtà così ampie che tendiamo a un’assuefazione dello sguardo?
Mi riferisco al fatto che non esiste una sola realtà così come non esiste un viso uguale ad un altro, ma infinite realtà, e questo è straordinario. La realtà non è certo ordinaria. Siamo noi che tendiamo a creare un ordine, ad archiviare. Ne banalizziamo il senso per nostra necessità.
Come si compone l’immaginario visivo di un pittore allora? È necessario smantellarlo ogni volta di fronte a una nuova tela? In letteratura uno scrittore si pone degli obiettivi, anche dei modelli talvolta, e poi usa il proprio immaginario come base per sovvertire ciò che ha di fronte, e se è fortunato, ispirato, può trovare l’opera attraverso il cortocircuito. A giudicare dai tuoi risultati eccezionali sembra che anche le opere pittoriche possano nascere così: porti, strade metropolitane, macchinari enormi che hanno la consistenza non ferrosa ma prendono vita nuova attraverso la lunga pennellata emotiva, cioè: prendo una gru e le consegno un’anima. Prendo la tua immagine di porto mercantile e quello sovrappongo una desolazione di blu e grigi che sembrano un addio dell’uomo alla merce. Carico, cioè, il noto immaginario del lavoro di poesia, e tolgo il lavoro, tolgo l’uomo. Ti riconosci un po’ in queste mie impressioni?
L’immaginario è “visione” (non vista ma visione). Quindi penso che non necessita e non sopporta atteggiamenti, metodi, obiettivi da porsi e da sovvertire. È una visione. Non sovrapponiamo metodi, non cerchiamo di essere troppo analitici. Non classifichiamo. Lasciamo che sia. Parli di alcuni miei temi pittorici riferendoti a quelli precedenti una svolta avvenuta (anzi in transito) negli ultimi due o tre anni. Forse cercavo un tema per fare “pittura”. Soggetti per esprimere linguaggio. Ora, forse, spero, il linguaggio è finalmente soggetto. Chissà, forse sto cominciando a lavorare sul linguaggio, a dipingere la pittura.
Immagine di copertina: Alessandro Papetti, Archeologia industriale, 2011
Pubblichiamo un estratto dall’ultimo numero di Nuovi Argomenti, Lezioni di vero