Tre pensieri e buone pratiche dall’estero contro l’overturism in Italia

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    Per agire contro l’overtourism bisogna ragionare su tre livelli diversi, passando oltre le Scilla e Cariddi dello snobismo di chi può permettersi le vacanze fuori stagione e del consumismo forsennato di patrimoni culturali e naturali.

    Il primo livello riguarda le precondizioni. Tanto più un’economia locale è diversificata, tanto meno sarà interessata a considerare il turismo come unica fonte di valore. Questo vuol dire evitare la logica della monocultura, investendo strategicamente nei settori ad alto valore aggiunto, in cui la produzione di beni e servizi richiede ricerca, conoscenze avanzate e processi complessi.

    Il secondo livello riguarda la regolazione. L’intervento pubblico può evitare l’iper-concentrazione di turisti e la costruzione di ghetti. Limitare fisicamente l’accesso dei turisti a specifici luoghi o beni culturali (come al Parc Guell di Barcellona) può favorire al contempo l’accesso libero ai residenti. Il turismo “mordi e fuggi” va scoraggiato, con politiche e tasse specifiche.

    È cruciale limitare il numero di case su piattaforme di affitto temporaneo, e le giornate di affittabilità, così come le seconde case. In questo senso, Amsterdam sta sperimentando l’obbligo di residenza nelle nuove case acquistate in città.

    Allo stesso tempo, è necessario sanzionare pesantemente le irregolarità. Barcellona, ad esempio, nel 2022 ha eliminato quasi 6000 affitti illegali a breve termine grazie al lavoro di un team di 70 persone, costato quasi 2 milioni di euro. È fondamentale inoltre destagionalizzare i flussi, ridistribuendoli in periodi diversi dell’anno: si può fare lavorando al contempo su ricettività, sull’organizzazione delle ferie nei lavori e nelle organizzazioni, sulla pianificazione in anticipo delle presenze in determinati territori.

     

     

    Immagine di copertina di Milo Miloezger su Unsplash

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